D’Amato, il pragmatico di Azione che era in azione da prima

Gli piace risolvere problemi e per "farlo meglio" ha scelto di abbandonare il Pd che lui vede in gara col M5S. E che lo aveva "silurato" alle Regionali

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

In alcune faccende mettere in chiaro le precondizioni di uno scenario è più facile che in altre. E la schiettezza ad esempio di Alessio D’Amato aiuta molto. Quella e una buona dose di buon vecchio imbonimento pop. Lui ha spiegato di aver studiato ma non nell’altera Losanna, bensì “a Labaro, borgata storica di Roma, e desidero continuare a fare politica con lo stesso spirito di sempre. Due elementi chiave per cominciare dunque. Le origini borgatare contrapposte a quelle alto-borghesi e il fatto che le stesse gli diano birra per fare servizio pubblico esattamente per quelli che più ne hanno bisogno.

Una via di mezzo fra praticità ed orgoglio dunque, una combo all’insegna della quale l’ex assessore alla Sanità laziale è transumato armi e bagagli dal Pd di Elly Schlein ad Azione di Carlo Calenda. Cioè, secondo la sua lettura, dalla metafisica sbragata addosso ai Cinquestelle alla concretezza in soliloquio dei riformisti-manovali.

E Carlo Calenda gongola come Corrado Ferlaino col “Pibe”, come non lo faceva da tempo. Lo fa per due ottime ragioni. Innanzitutto perché la sua “campagna acquisti”, che per sua bocca ossimora non c’è e non è finita, è come una botta di defibrillatore addosso al tipo che stava malemale. Poi perché con D’Amato, Calenda punta a piazzare un fuoriclasse in casella Europee 2024 dove con il proporzionale servirà però una barca di voti anche solo per esistere.

La sconfitta alle Regionali: con onore

Carlo calenda e Alessio D’Amato (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

D’Amato ha i numeri per essere l’uomo di Azione e l’uomo di Calenda, non foss’altro perché lui “in azione” ci è stato sempre. Il tipo è praticone al punto giusto, contro il Covid ha fatto sfaceli ed è diventato un mezzo totem di affidabilità strategica. Poi, da candidato alla Pisana contro il vincente Francesco Rocca, le aveva prese ma in chiave ecumenica, non ascrivibile a sue tare cioè. Alle Regionali del Lazio D’Amato era stato sostenuto sostenuto dal “suo” Partito Democratico, poi da Azione, Italia Viva e +Europa.

Rocca aveva svolto egregiamente il ruolo di briscola laica del centrodestra e si era preso il 53,88% dei voti, venti punti in più rispetto al concorrente diretto. Donatella Bianchi, candidata fantasma del Movimento 5 Stelle, si era accontentata del 10% prima di sparire senza avere mai messo piede neppure un minuto nell’emiciclo della Regione Lazio; alimentando il sospetto che la sua candidatura servisse solo a far perdere il centrosinistra.

Ecco, quella là era ed è la chiave di lettura dell’addio di D’Amato ai dem e dello striscione ideale di benvenuto che Calenda ha esposto nella Sala Nassirya del Senato. Nel Lazio il campo largo zingarettiano non c’è più e il Partito guidato da Giuseppe Conte è ormai più bravo a regolare i conti che a contarsi in sinergia.

Alessio-Hannibal: gli piacciono i “piani ben riusciti”

Alessio D’Amato (Foto © IchnusaPapers)

D’Amato l’ha messa meglio ex post: “Con il Pd ho sollevato una questione di subalternità rispetto al M5S. Ho pubblicamente detto che non condividevo alcune iniziative intraprese. E prendo atto che non ci sono state risposte né chiamate. Lo faccio dolorosamente ma in maniera consapevole. Ecco perché ho scelto di aderire ad Azione”. Insomma, Elly Schelin è un ottimo movente ma il motivo è più territoriale.

Lo è nella misura in cui D’Amato è un profeta della praticità spiccia, è come Hannibal Smith dell’A-Team e gli piacciono da matti i “piani ben riusciti”. E’ un profeta laico della logistica e l’approdo sul fronte calendiano ha molto più del fisiologico che del tignoso di ritorno. E come Ligabue lui sa stare a metà strada esatta tra palco e realtà, cioè un po’ dice il vero, un po’ calca su quel vero per fare cassa politica.

“Dai messaggi che ricevo sono tanti. È chiaro che non è facile ma io penso che nei prossimi mesi ci saranno altre scelte come la mia. Non significa essere in contrapposizione, significa lavorare nel campo del centrosinistra ma rafforzando il profilo riformista”. Calenda lo annuncia, D’Amato lo insinua, e tutti e due non lo sanno. Ma sanno che dirlo fa curriculum.

La diaspora dal Pd: un po’ vera, un po’ utile

Foto © Vince Paolo Gerace / Imagoeconomica

Che significa? Che in teoria moltissimi nel Pd approvano quello che ha deciso e che molti sono pronti a fare come lui, sempre con Calenda in modalità fiera reception. Al leader di Azione non pare vero di aver pescato il jolly e saggiamente lo fa notare puntando sulla skill massima del “nuovo” arrivato.

“Alessio D’Amato è stato il migliore nella gestione regionale del Covid, nella vaccinazione. E’ una persona che abbiamo sostenuto come candidato alla regione Lazio, di assoluto valore dal punto di vista di capacità amministrativa, è un riformista pragmatico. Sono molto felice anche perché Azione si conferma il luogo in cui le persone parlano di come risolvere i problemi”.

“Non di fascismo, comunismo, destra, sinistra ma si ispirano ai valori della Costituzione. Con particolare attenzione all’istruzione, alla sanità, al lavoro dignitoso, alla formazione e lavorano su come far avvenire le cose. Tradotto: dove ci sono cose da fare e non da enunciare lì c’è il mio Partito che le mette a sistema. Tutto questo, signori miei, mentre gli altri se le danno sui ring ideologici alla faccia di quel che davvero serve al Paese. Dirlo prima di avere D’Amato in squadra era legittimo, sostenerlo adesso che D’Amato in squadra c’è è giusto.

Caro Rocca ti interrogo: sulla Sanità

In queste ore D’Amato ha inaugurato la nuova casacca con una interrogazione a Rocca “su quali misure si stanno adottando per contenere il disavanzo sanitario 2023. La situazione è molto preoccupante, infatti, per la prima volta dopo 10 anni c’è il rischio concreto di avere un disavanzo superiore alla soglia di allerta del 5 per cento del Fondo Sanitario”.

Eccolo, l’esperto di anatomia che sa a memoria dove sta nascosta la giugulare. E che poi la azzanna: “Ovvero oltre i 700 Mln di euro, come dichiarato in più occasioni dallo stesso Rocca. Questo inevitabilmente comporterà il ritorno al regime di commissariamento. Le chiacchiere stanno a zero”.

Il “pop” capitolino e la Roma allo stadio

Il nuovo arrivato ha anche quella lardellatura pop che va a stemperare l’immagine di un partito un po’ da “generone romano”. E’ del 1968, sposato, ha una laurea in Sociologia e chi lo conosce bene giura che quando gioca la “Maggica”, la Roma, a D’Amato serve un defibrillatore piazzato a meno de due metri. D’altronde tempo fa aveva detto (non aveva negato dietro imbeccata) di sentirsi il “Mourinho del centrosinistra”.

Il senso è che il suo è stato un approdo spontaneo su una sponda più consona, non il frutto di un corteggiamento mercatale che ha fatto leva sui dissapori con il Nazareno a trazione massimalista.

In realtà le due cose non si escludono affatto, ma Calenda vive con la sindrome del talent scout appiccicata sul groppone. Perciò ha detto: “Spiace sentir parlare di campagna acquisti. L’importante è che le persone arrivino, ma non vengono sollecitate ad arrivare. Nei prossimi mesi ci saranno altri arrivi e noi ne siamo contenti”.

I Dem in competizione con i Cinquestelle

Elly Schlein e Giuseppe Conte a Firenze (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Poi lo spiegone sistemico, una cosa che l’ex ministro fa raramente perché sa di mettersi sul ciglio dello stesso trappolone da cui vuole distinguersi da sempre, quello delle categorie concettuali.

“La destra della Meloni non sta diventando una destra conservatrice ma sta tornando su posizioni rumorose estreme. E mentre “il Pd slitta, legittimamente, verso una posizione che cerca di competere con il M5S, Azione punta” ad altro. Cioè a tenere “le porte aperte a elettori e classi dirigenti che vogliono tornare a fare politica in modo serio, pragmatico e istituzionale. Questo rappresenta l’arrivo di Alessio oggi”.

Tutto in soluzione di continuità dunque, con la prova del nove delle Europee che ormai è rotta sotterranea o sfacciata di ogni strategia di partito. Prima delle piazze serve il piazzismo e fare altera eccezione significa voler perdere.

L’uomo giusto per le Europee 2024

Carlo Calenda ed Alessio D’Amato (Foto: Paola Onofri © Imagoeconomica)

E con la certezza che per quell’appuntamento elettorale ci sarà una chance in più. Perché l’impegno-intento ad una lista unitaria con l’ex “amico” Matteo Renzi per Bruxelles-Strasburgo e il setaccio del proporzionale sono tagliola doppia. Bisogna al limite esserci in due ma evitare esiti unilaterali ed essere elemento imprescindibile di un’equazione irrazionale.

D’altronde si sa, ed Herry Kissinger fa scuola: “Non puoi fare una guerra in Medio Oriente senza l’Egitto. Non puoi fare una pace senza la Siria. E le tregue fragili hanno sempre bisogno di uomini forti. Forti come Alessio D’Amato, quello che in azione ci stava già prima di entrare in Azione. E che tra un anno servirà come il pane.