Nel Continente Nero: l’esame Niger per la Meloni atlantista

La difficilissima posizione della premier sulla crisi in Shael, il "duello" con la Francia e le opposizioni che infilano il piede nel varco

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Soltanto pochi mesi fa quella che oggi arriva dal Niger sarebbe stata grana in testa al generale Francesco Paolo Figliuolo. Era lui infatti il Comandante Operativo di Vertice Interforze. Poi era arrivata l’alluvione in Emilia-Romagna e la greca più famosa d’Italia era andata a fare il Commissario per quella tragedia. Ed anche a voler considerare la assoluta centralità di quel dramma italiano c’è il rammarico per il fatto che Figliuolo non abbia più in agenda cose come quelle che stanno accadendo in Niger.

Un rammarico che immagonisce soprattutto Giorgia Meloni, che con il golpe dello Shael occidentale si sta cimentando di fatto con la sua prima grande prova di realpolitik estera.

Sbaglierebbe chi pensasse che le cose dell’Africa sono solo cose degli africani, sbaglierebbe e commetterebbe l’errore nel quale proprio la premier non è voluta cadere con il tema dei migranti.

Altro che Tunisi, ora in Africa si deve fare sul serio

Il generale Francesco Paolo Figliuolo (Foto via Imagoeconomica)

Solo che adesso non siamo più alla fase dell’enunciazione ma a quella della messa in pratica di ciò che si era enunciato. Perché se con la Tunisia Giorgia Meloni era riuscita a battezzare una linea per cui essere attivi con i Paesi-spot era relativamente facile, ora è diverso. Con il Niger adesso è tutta un’altra cosa.

Inquadriamo il problema partendo non dall’estero, ma dall’Italia. L’esecutivo di destra-centro ha fatto vanto assoluto di aver rimesso l’Europa a traino di una precisa necessità. Quale? Quella di contenere i flussi migratori non arginandoli sulla linea di confine ma depauperandoli all’origine.

In che modo? Intervenendo sui quei Paesi che dei flussi sono origine o base di lancio privilegiata. Con cosa? Con aiuti, accordi ed interlocuzione diretta tra governi. Investi in quei posti, aiuti quei Pil disastrati e rendi goccia quello che prima era fiume. E lo fai tra Roma ed ogni capitale di Paesi che i flussi migratori li lanciano verso nord come fionde.

Per fare questo però l’Italia, cioè Meloni, aveva ed ha bisogno di alcune cose.

Il cuscinetto delle migrazioni è saltato: tutto

La prima è che le zone dell’Africa in cui la migrazione fermenta e prende slancio siano saldamente sotto controllo dell’Europa. Di essa e dei Paesi “master and commander” del post colonialismo, in primis la Francia. La seconda è che quei Paesi, ove fossero sfuggiti al controllo diretto della logica democratica, conservino almeno degli avamposti da cui poter agire.

Ecco, con lo Shael, cioè con l’Africa sub-sahariana che dall’Atlantico arriva al Mar Rosso, non è andata proprio così, e proprio “grazie” al Niger.

Qui il problema si biforca. In senso più ampio e da sempre lo Shael era faccenda della Francia, perché Parigi in quel micro continente ha un passato coloniale robustissimo. E con esso interessi spaventosi. Quali? Il Niger, tanto per dirne una, produce da solo il 16% del fabbisogno di uranio di tutta l’Ue: è la stanza dei dolciumi del nucleare di tutti i Paesi che abbiano centrali civili o armi atomiche.

Ovvio quindi che su quel Paese, dove è in atto un golpe, fosse più che mai necessario tenere in arcione la democrazia come forma di governo.

Se vuoi la pace…

Ma le democrazie vanno anche difese. Pure con le armi, se necessario. La Francia ci aveva pensato da anni con il suo Dgse e con il II Rep della Legione. Sono reparti attivi ed ultra operativi che avevano sorvegliato le infiltrazioni della Wagner e della Russia di Putin. Ed accettato a denti strettissimi le ingerenze cantieristiche e creditizie sul debito pubblico della Cina.

Ora però il Niger, che era l’ultimo bastione con governo democratico in un oceano di golpismo trucido è passato nel club dei Paesi in mimetica che abbaiano ai vecchi leader coloniali. Cioè suscettibili alle lusinghe del competitor russo, pronti a radicalizzare terroristi e prontissimi a lanciare migranti a frotte. L’instabilità esacerba la povertà e la povertà è carburante primevo per migrare verso l’Europa, cioè verso l’Italia.

E qui arrivano le dolenti note per Meloni. La premier italiana è in una situazione scomodissima. Perché deve operare concretamente per ristabilire la democrazia in Niger o accettare il fatto compiuto della fine della democrazia. E con esso accettare il fatto che la sua linea è fallita.

Mosca competitor e grossi guai all’orizzonte

Giorgia Meloni

Non è solo un problema di prestigio da mantenere ma di strategia da applicare. E il solo modo attivo per applicarla è cooperare con Parigi. Farlo per destituire materialmente (arrestare o eliminare) il generale Tchiani e rimettere in arcione il presidente destituito Bazoum.

Cooperare con la Parigi di Macron però è difficile ed operare da solisti è impossibile, perché l’Italia non ha skill geopolitiche attive di così ampio respiro. Senza contare che la Francia in certe cose è molto poco europea e molto ma molto attaccata alla sua “grandeur”, perciò balla da sola contando sulle sue storiche quinte colonne in Shael.

Cosa significa da un punto di vista politico? Che Meloni è vulnerabile e che all’opposizione lo sanno benissimo, specie se ad esprimersi sono membri dell’opposizione in quota Copasir. Membri come il dem Lorenzo Guerini, che non le ha mandate a dire. “Chi mi conosce sa che apprezzo la prudenza. L’Italia in Niger ha saputo aprirsi spazi anche per un atteggiamento rispettoso della realtà locale. Ne sono testimone diretto: nei tre anni da ministro la nostra presenza lì, militare e no, è cresciuta grazie alla nostra serietà.

Macron balla da solo e Guerini incalza

Lorenzo Guerini (Foto: Leonardo Puccini / Imagoeconomica)

“Ma ciò non significa cedere alla tentazione di lasciare solo ad altri l’iniziativa. Bisogna portare il nostro contributo per superare questa crisi”. Tradotto: la grana è grossa e adesso si va sotto esame, caro Governo, non farti soffiare il piatto da Parigi.

E ancora: “Penso sia necessario mantenere la nostra presenza militare in Niger. Il Mali ci insegna che quando ritiri questi assetti poi altri attori prendono il tuo posto. Certo l’attenzione alle condizioni di sicurezza dei contingenti deve essere massima. Tradotto: fare intelligence attiva è il solo modo per evitare che si ripeta lo sfascio della Libia del dopo Gheddafi, dove esattamente Francia e Russia (e Turchia) fecero quel che vollero e noi “togliemmo mano”.

Poi l’affondo skillato: “Da alcuni anni la frontiera meridionale dell’Europa si è spostata a sud nel Sahel. Regione in cui diverse sigle terroristiche di ispirazione islamica, da Isgs ad Aqmi, da Jnim a Boko Haram, flagellano le popolazioni”.

Di povertà, terrorismo ed altre grane

Foto: Gage Skidmore / Surprise

Lo fanno “sfruttando le situazioni di estrema povertà di quei paesi e di fragilità politica. In una regione, peraltro, in cui ci sono rotte utilizzate dai trafficanti di esseri umani e non solo. Qui di traduzione non ce n’è bisogno: cara premier adesso hai in mano il cerino acceso di terrorismo e incremento delle migrazioni che dici di voler fermare. E sta a te soffiarci sopra, ma per farlo devi essere una post colonialista europea, non una hooligan atlantica. Roba nuova per te, Giorgia.

E perché qui in zona l’attenzione di Zio Joe Biden per ciò che accade è flebile per sua stessa ammissione, dato che la riserva indiana di Washington è un altro sud, il Sud America. La matta della premier è quindi doppia, doppia e delicata. Deve coordinare con i servizi ciò che accadrà nella Base Aerienne 101 dell’Aeronautica Militare al comando del Generale di Brigata Aerea Nadir Ruzzon. E mettere a frutto il lavoro nei centri di addestramento di Niamey, Agadez e Arlit. Posti dove il 9 Reggimento pionieri e l’Aise hanno formato ed armato i militari locali.

Insomma, per la prima volta da quando è premier Giorgia Meloni deve dimostrare nel concreto quel che ha detto in comunicazione e politica attiva ma “soft”. E non sarà affatto facile.