Provincia, la riforma può attendere

Nonostante le insistenze della Lega e di Matteo Salvini, il ripristino delle Province salta ancora una volta. Sempre per lo stesso motivo: serve un miliardo di euro che non c'è. Tensioni politiche tra Fratelli d'Italia e Lega. Che voleva votare le nuove Province già in primavera. Il 22 dicembre si va alle urne a Frosinone con il vecchio sistema del voto ponderato per sindaci e amministratori comunali

Antonella Iafrate

Se è scritto chiaro si capisce

Niente da fare. Nonostante le insistenze della Lega e di Matteo Salvini. I soldi non ci sono: per rimettere in piedi le Province ed annullare la riforma Delrio serve un miliardo di euro. E nessuno li ha. Per raccoglierli andrebbero limati da altri capitoli di Bilancio: con il rischio di innescare la rabbia degli italiani chiamati ad una nuova stretta di cinghia per finanziare il ritorno delle amministrazioni cancellate.

Lo stop era scattato all’inizio dello scorso mese di settembre. Era saltata la seduta in Senato: sine die. Da allora le insistenze di Matteo Salvini e della Lega sono state senza sosta: puntava a votare per le Province ripristinate già la prossima primavera insieme alle Europee. Niente da fare. Da oggi è ufficiale che almeno fino a dopo le elezioni non se ne parla. Perché nel pieno della sessione di Bilancio tema è stato archiviato, impantanato nelle paludi della commissione Affari Costituzionali di palazzo Madama.

La questione del ripristino delle Province in Italia è diventata un campo di battaglia politico, con la Lega e il suo leader Matteo Salvini da una parte e Fratelli d’Italia dall’altra. La promessa di Salvini di riportare le Province all’elezione diretta, con il ripristino delle vecchie competenze, presidente e consiglieri scelti direttamente dai cittadini, finanziamenti adeguati, si scontra con un ostacolo insormontabile: la mancanza di un miliardo di euro necessario per annullare la riforma del Dem Graziano Delrio e voluta con forza da Matteo Renzi. (Leggi qui: La Provincia non si tocca).

I Fratelli non ci stanno

Giorgia Meloni

I numeri dei sondaggi dicono che in questa fase il centrodestra prenderebbe la maggioranza delle nuove amministrazioni provinciali. Ma nessun Ragioniere Generale dello Stato metterebbe la firma su un provvedimento privo delle coperture necessarie. Con i soldi invece il ragionamento cambierebbe.

Fratelli d’Italia da quell’orecchio non ci sente. Togliere soldi agli italiani per finanziare il ritorno delle Province vecchia maniera sembra il finale del film di Checco Zalone con il mito del Posto fisso. Il partito di Giorgia Meloni rifiuta di sostenere la proposta della Lega. Il dossier delle Province, attualmente in commissione Affari Costituzionali del Senato, è stato archiviato durante la sessione di Bilancio.

La sottosegretaria Wanda Ferro, una fedelissima della premier, sembrava aver inserito il ritorno delle Province nell’accordo tra Lega e Fratelli d’Italia sul pacchetto di riforme istituzionali. Nel pacchetto c’era il taglio del quorum del 50% per vincere le Comunali nelle città più grosse portandolo al 40% (favorisce il centrodestra che come coalizione può raggiungere l’asticella, il Pd senza M5S nemmeno se beve una botte di Cesanese riesce a vedere quel traguardo). Nello stesso pacchetto lo sblocco del limite dei due mandati consecutivi per i sindaci, portato a tre.

Invece salta tutto. La mancanza di risorse è diventata un ostacolo insormontabile. Il governo non ha trovato i fondi necessari per le competenze da riassegnare alle Province.

Alta tensione

Matteo Salvini

La situazione è complicata, con tensioni politiche tra Lega e Fratelli d’Italia. Il presidente della commissione Affari costituzionali Alberto Balboni ha minimizzato la situazione, sottolineando che al momento non ci sono sviluppi concreti. Nel frattempo le Province restano in uno stato di limbo e la situazione sembra destinata a perdurare.

I leghisti temono che la questione delle Province possa rimanere in sospeso fino a dopo le elezioni Europee, rallentando il processo di ripristino delle istituzioni provinciali. Inoltre, un’altra misura cara a Salvini, ovvero il limite di mandato per sindaci e presidenti di Regione, potrebbe essere presentata separatamente. Il che creerebbe un fronte trasversale su un emendamento che riguarda solo il terzo mandato per i sindaci. Lo appoggerebbero anche i Dem.

Il voto di secondo livello

Per ora resta tutto come prima. A Frosinone si vota il 22 dicembre per rinnovare i 12 Consiglieri provinciali che restano in carica due anni mentre il presidente Luca Di Stefano resta in carica quattro anni.

Si vota con il sistema del voto ponderato: votano solo i sindaci ed i consiglieri comunali ed il loro voto ha un peso differente in base al numero degli abitanti rappresentato. In base alle tabelle aggiornate il 22 novembre sono solo due Comuni sono nella fascia oltre 30mila abitanti: Frosinone e Cassino, ogni voto dei due sindaci e dei loro 56 consiglieri vale 306 voti ponderati.

Nella fascia 10mila – 30mila abitanti ci sono 10 Comuni: Alatri, Anagni, Ceccano, Ferentino, Fiuggi, Isola del Liri, Monte San Giovanni Campano, Pontecorvo, Sora e Veroli. Lì votano 10 sindaci e 160 consiglieri comunali e ciascuno dei loro voti ne vale 205 ponderati. Nella fascia 5mila – 10mila abitant ci sono altri 10 Comuni: Arce, Arpino, Boville Ernica, Ceprano, Cervaro, Paliano, Piedimonte San Germano, Ripi, Roccasecca e Sant’Elia Fiumerapido. A votare sono 10 sindaci e 120 consiglieri comunali, con un indice di ponderazione pari a 118.

Sono sedici i Comuni della fascia 3mila – 5mila abitanti: Amaseno, Aquino, Atina, Castelliri, Castro dei Volsci, Castrocielo, Esperia, Morolo, Patrica, Piglio, Pofi, San Giorgio a Liri, San Giovanni Incarico, Serrone, Supino, Torrice. Lì votano 16 sindaci e 192 consiglieri comunali, ciascuno con un indice di ponderazione pari a 66.

I restanti 53 Comuni sono nella fascia fino a 3mila abitanti. Votano i sindaci e 530 consiglieri comunali. Ogni loro voto ne vale 30 ponderati.