Internazionale, i protagonisti della VIII settimana MMXXII

I protagonisti della VIII settimana del 2022 sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

UP

VOLODYMYR ZELENSKY

Volodymyr Zelensky

Addestrato come un Contras slavo malgrado un passato poco da giungla e molto catodico, ha dovuto subire l’onta di tutti i Contras della storia: quella di essere blanditi per fare qualcosa e, una volta fatta, di essere lasciati a marcire con i loro guai. Guai loro e dei popoli che quelle dottrine sinuose avevano seguito. Come il popolo ucraino, che nella dottrina ultima di Volodymyr Zelensky portata a massa critica dalla guerra ci ha visto la possibilità di scardinare il giogo di Mosca e di avviare un gioco con una Nato prestigiatrice ed elusiva.

E malgrado queste skill non proprio favorevoli ed un battage nazionalista e popolare di pancia che fanno di lui più un capo truzzo del XXmo secolo che un presidente fino del XXImo, Zelensky ha tenuto botta. Lo ha fatto dove il 90% dei suoi omologhi avrebbe tenuto solo le braghe piene e la valigia pronta per una esfiltrazione di comodo grazie a mamma Cia. Un po’ come ha fatto il presidente afghano Ghani una manciata di mesi fa, per quelli corti di memoria che volessero un raffronto recentissimo sui capi di Stato che mollano il cassero mentre la nave affonda.

Lui invece, il comico Zelensky consegnato all’epos che non voleva, non è scappato. Si è ancorato alla mistica omerica e ad un attaché Usa che gli offriva una comoda fuga, anche per paura che da catturato cantasse cose di cui è meglio bruciare lo spartito, ha risposto alla sua maniera. Lo ha fatto sapendo benissimo, da showman, che la sua frase avrebbe fatto il giro del mondo: “Non mi serve un passaggio, mi servono munizioni”. Come Patton ma con la faccia di Jeremy Renner negli Avengers.

E con un colpo solo Zelesnky è stato campione binario. Perché come politico ha ricordato all’Occidente che non si fomentano campeggi armati vicino casa di Putin senza garantire protezione ai campeggiatori e come guida in mimetica ha rammentato ad un popolo fra i più orgogliosi e cazzuti della storia che un capo magari muore con i suoi, ma non se la svigna. Non in un paese dove i 20enni si sposano di gran fretta e poi imbracciano il Kala per sparare ai russi per le strade. Le loro strade, loro e di Volodymyr, che da fantoccio sciantoso è diventato guerriero nibelungo senza passare per la scomoda e difficile fase intermedia di statista.

Celtico redento.

PORNHUB

In tema di sanzioni alla Russia, paese che un po’ subisce, un (bel) po’ cavalca il cesarismo di Vladimir Putin, le hanno fatto di tutto: scambi commerciali, piattaforme di transazione bancaria, import-export, voli da e per, perfino i 400 e passa miliardi di dollari a cuccia nella Banca Nazionale. Mancava solo che embargassero i dischi di Toto Cutugno e il cerchio era chiuso.

Tuttavia a sostanziare lo stato dell’arte delle sanzioni ci ha pensato il portale per adulti Pornhub. Portale che ha bannato i russi da una faccenda che sarà pure secondaria rispetto al Pil o alla Borsa, ma solo dopo che l’hai portata a mission. Perché nel mentre la compi quella mission, e birbaccia chi mente, nulla di nulla di niente di alcunché è più importante. In buona sostanza i figli della Grande Madre Russia che in questi giorni volessero lustrarsi gli occhi con una sudaticcia incursione nel lascivo mondo del sesso in tutte le salse non trovano vestiti che calano, ma stoffa che sale.

E’ la stoffa gialla e azzurra della bandiera ucraina che surroga le cosine discinte a cui i tizi miravano e che sembra ammiccare ironica ed altera. Altera nel dire che per colpa di Vladimiro lì, in mezzo a quei pixel dove un alzabandiera non è atto patriottico ma masculo sacrificio a Priapo l’unica bandiera che vedranno se operano da un Ip russo è quella del paese a cui il loro capo ha portato la morte in casa.

Perciò dato che Pornhub non tratta di morte ma solo di “petit mort” ha pensato bene di punire i russi con la sola cosa in cui Pornhub è più letale ed autorevole di Biden, von der Leyen e Johnson messi insieme e infilati in sequenza di P Greco: la “garrota alla papera”. E in un mondo in cui quelle mentali sembrano aver preso definitivamente il sopravvento che ci sia qualcuno che ha riportato allo stato dell’arte quelle altre a noi ha fatto un sacco piacere.

Mo’ mandatele a Lukashenko.

DOWN

DONALD TRUMP

Donald Trump

Appena ha sentito l’usta favorevole che gli arrivava sull’onda del cigolio dei tank di Putin che sfasciavano i palazzi ucraini ha calato l’asso. E trattandosi di asso politico uno magari lo avrebbe anche potuto capire ed addirittura incasellarlo, il tipo, in uno dei rari step in cui Donald Trump si prende un Up pieno. Ma nella sua campagna martellante per ridicolizzare l’immobilismo di Joe Biden sulla guerra fra Russia ed Ucraina il Pensionato in Chief non ha tenuto conto di due fattori.

Il primo, che basterebbe anche come ultimo, per cui quando c’è una guerra e la gente muore a pezzettoni in strada la politica del cuneo bizantino è aberrante e meschina. Il secondo, che la debolezza (oggettiva) dell’avversario che vuoi colpire dopo la figuraccia in Afghanistan e con le elezioni di midterm in arrivo non ti autorizza a sparare palle clamorose. Palle come quella per cui Trump si sarebbe auto incensato come “unico presidente del 21mo secolo sotto il quale Putin non ha fatto guerra a nessuno”.

Falso, falsissimo in forma e in merito. In forma perché se Putin non ha mosso guerra a “nessuno” con Trump presidente è stato solo perché gli accordi di Minsk ancora reggevano. Per quello e non certo perché per “cortesia” Vladimiro, che è matto come un cavallo e lucido come una murena, non muoveva i battaglioni per rispetto di Donaldo suo. Secondo perché Putin con Trump presidente di guerre ne ha fatte e come: le ha fatte con il suo gruppo di paramilitari della Wagner con cui ha scippato mezzo Shael alla Francia e ne ha fatte in Azerbaijan con truppe regolari.

Solo che il mondo tende a vedere profughi in lacrime e sangue versato in maniera direttamente proporzionale a quanto quel sangue sia mainstream ed europeo, perciò ci sono tipi di sangue che gocciolano più forte sulle coscienze. E Donald Trump, che è meschino, ci ha marciato per dire che Biden è stato “suonato come un tamburo”. Il problema è che è vero, ma in un mondo solidale, davvero solidale contro la guerra, bisognava tacere e tacendo dare una mano.

Tamarro, punto.

VLADIMIR PUTIN

Vladimir Putin (Foto: Kremlin.ru)

Una cosa andrebbe ricordata quando si parla della aberrante sindrome Ninby di Vladimir Putin: che quella del “non nel mio cortile” è una logica che fra i grandi paesi non ha mai lasciato immune nessuno. La mettiamo meglio? In circostanze storiche diverse ma omologhe e non proprio remote gli Stati Uniti fecero più e più volte la stessa cosa che Putin ha fatto nel cominciare la sua guerra.

Nel 1962 per esempio lo Zio Sam di turno, uno che di nome faceva John e di cognome Fitzgerald Kennedy, non proprio un orco da bambini al letto dunque, portò il mondo sull’orlo della guerra mondiale e nucleare per la crisi dei missili di Cuba. Gli Usa proprio non lo tollerarono che a 90 miglia da Miami ci fossero i Sam russi acquartierati in un paese una volta loro dependance ed allora nemico giurato. Bene, togliete Cuba e metteteci Ucraina, poi togliete Mosca e metteteci Washington e infine scalciate via Putin e metteteci JFK e il quadro sarà omologo, non eguale ma omologo.

Detto questo però, Vladimir Putin la sua partita se l’è giocata male per altri motivi: dopo essersi cinturato la madre patria di stati cuscinetto come la Bielorussia, la Crimea e la Georgia si è sentito al sicuro, ma lui capoccia massimo della Russia lo era già prima e i leader di lungo corso hanno ragioni e torti storici che agli altri non toccano. Che significa? Che negli anni in cui la Nato sbugiardava se stessa e gli rosiccchiava infida da sotto il naso i Paesi baltici e l’area balcanica magiaro-romena Putin non ha battuto ciglio.

E non lo ha fatto perché quelli erano gli anni in cui Pechino era già grossa ma non ancora gigantessa. E perché erano anni in cui al liberismo adolescente e selvaggio di Mosca serviva un Occidente impunito che con la stabilità di rapporti gli riempisse patria e casa di capitali monstre più di quanto gli servissero nemici e casus belli.

Appena invece il Covid ha iniziato a mordere il pianeta e con la Cina titana ormai nuovo interlocutore economico Vladimiro si è messo l’elmetto mentre tutti indossavano il camice e col mondo distratto ha approntato l’exploit horror dell’Ucraina suonando la fanfara della gemellanza con il Donbass. E se da un punto di vista politico certe cose uno potrebbe anche chiamarle capolavori da un punto di vista etico fa bene a chiamarle abomini. Perché non è vero, non lo è mai stato, che con Machiavelli sotto il braccio e facendo a braccio di ferro con gli orsi diventi uno statista.

No, con quella roba in punta di mistica al limite diventi un tiranno, e se hai 5000 testate nucleari al tuo comando magari anche un tiranno pericoloso, perché per dominare il mondo un mondo da dominare prima devi avercelo.

Talpa e falco sotto la stessa giacca.