Bebé a quattro zampe e cuccioli senza coda

Rita Cacciami

In punta di stiletto. Il veleno è previsto nella ricetta.

 

Che non mi si fraintenda. Scrivo quanto segue perché adoro gli animali. A prescindere. Ad oltranza. Senza freni. Anzi, è proprio perché li amo così tanto che voglio anche tutelarli dalla dilagante schizofrenia che non accenna a diminuire. E che prima o poi li stritolerà in modo irrimediabile.

Accade che si umanizzi ciò che è animale e spesso, ben più grave, si tenti il processo contrario. Riuscendovi alla perfezione. Vado a spiegarmi. Un tempo i bimbi di età inferiore ai dodici mesi gattonavano prima di barcollare sui due piedini che ben presto sarebbero diventati piante ben salde, come la figura retorica ci insegna. Adesso, su due zampe ci finiscono cani e gatti. Di loro si dirà che alcuni sono acrobatici e già basterebbe. Invece, a spingerli in pose plastiche e inconsuete per la loro natura sono spesso i padroni. Quei tiranni dei piccoli, che per divertirsi un tempo tiravano solo la coda al cane. E che da adolescenti sono diventati alimentatori di materiale da candid camera da inviare alle tv. Immagini in cui, oltre ai tuffi di testa nelle pozzanghere e ai salti dal tetto nel mare di foglie, la gran parte delle imprese ardite sono ad opera di animali domestici.

Si ride, si scherza. Sono buffi. Fanno i musetti strani. Quando sono soli in casa arrivano a spostare sgabelli, aprire forni, rubare cibo cotto e pronto per la cena. Salvo poi rimettere tutto a posto. Questo è il lato intelligente dell’animale. Quello che io preferisco. Ma all’uomo padrone non è sufficiente. Deve vestire il proprio cucciolo. Irrimediabilmente convinto che il pelo non basti ad evitare le basse temperature. Arrivando anche ad acquistare i calzari per preservare le zampette. Non solo. Il processo di identificazione deve essere totale.

Il padrone diventa papà, la padrona assume i connotati della mamma. Gli abbracci e i baci sono direttamente proporzionali alla confusione dei ruoli. Al punto che le coppie, prima di avere un figlio, prendono un cucciolo. Quello che dovrebbe essere un predatore si trasforma ben presto in un bebè fedele quanto peloso. Ma viziato. Capriccioso. Piange se esci. Piange e ti salta addosso quando rientri. Ma il cucciolo di casa chi è? Quello con il pisellino che sul fasciatoio fa la pipì sulla camicia del papà che lo sta cambiando. O non forse l’altro, che ti battezza divani e sgabelli. Poltrone e tv. E ti lascia schizzi e pozzanghere per dirti che la prossima volta che lo fai sai cosa ti capiterà. E non il contrario.

Perché certo, gli animali vanno sgridati. Ma senza urlare. Rincorsi con il giornale. Solo per giocare. Mai stressati. Né traumatizzati. E se proprio li vogliamo correggere, allora parliamogli. Con calma e senza usare un tono imperioso. Capiranno che non devono farlo più. Proviamo.

Magari saremo più fortunati con loro che con l’adolescente di casa. Quello che bofonchia, sbatte la porta della stanza ma non sporca. E non divora tutto ciò che gli capita a tiro. Ma abbaia a più non posso.

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