Di nuovo in viaggio nel Sannio vitivinicolo per scoprire una realtà molto particolare. Vini tradizionali e un giovane Pirata che sguazza nello spaghetti western...
Stavolta partiamo dalla fine, le note. O meglio, partiamo da una scena, la scena. Esterno giorno, caldo torrido ed una corsa spasmodica tra tombe e sabbia arida, cavalcando e saltellando tra un morto e l’altro cercando il malloppo. È L’estasi dell’oro del Maestro Ennio Morricone che cresce in sottofondo.
La musica rimane, il caldo torrido pure, ma ci spostiamo nel Sannio, a Guardia Sanframondi dove, con una piccola dissolvenza, ci troviamo di fronte ad un garage con la serranda nera ed un X enorme a darci il benvenuto.
Apriamo la porta del garage, L’estasi dell’oro sta per arrivare al suo big climax, c’è del vino su una botte, lo stappiamo e iniziamo a sorseggiare. Ce lo godiamo e pensiamo a quanto possa diventare bella una giornata grazie ad un buon abbinamento vino-musica.
Questa di solito è la chiosa dei miei articoli, il connubio nettare-melodia che tanto apprezzate stavolta ha una diversa collocazione. Perché tutto questo? Perché non c’è altra musica che possa venire in mente guardando le bottiglie di Cantina Pirata. Ci arriveremo.
Il giovane Sannio che scalpita!
Ebbene sì, ci sono cascato di nuovo! Sono tornato nella mia amata Guardia Sanframondi in compagnia di mio fratello (pericolo!) per raccontarvi una nuova storia nata tra i filari delle colline circostanti.
Una storia relativamente giovane, perché Filippo Mancini, il protagonista, ha poco più di trent’anni: “Si, sono giovane e ho ancora tanto da imparare ma mi sono buttato a capofitto nella viticoltura perché mi piace e perché ho potuto sfruttare l’esperienza nel campo di mio padre”.
Papà Alessandro per tanti anni è stato l’enologo della Cantina Sociale di Guardia, ora sorveglia a distanza il figlio che ci crede più che mai: “Era arrivato il momento di dare una svolta e l’ho fatto tornando a Guardia dopo l’esperienza universitaria. L’ho fatto per passione ma anche perché non volevo perdere il patrimonio di conoscenze che mi sta dando mio padre, nel 2015 abbiamo reimpiantato i vigneti e per qualche anno abbiamo fatto degli esperimenti per testare le nostre possibilità”.
Il Pirata molla gli ormeggi…in piena pandemia!
Dopo qualche anno di ricerca e studio nel 2021 la decisione di salpare, aprirsi al mondo ed esplorare il mercato. Ma gli anni delle sperimentazioni personalmente li ricordo bene e la nostalgia prende il sopravvento.
Dovete sapere che quando io e mio fratello avevamo l’enoteca a Telese Terme fummo tra i pochi fortunati ad assaggiare le prime annate di Cantina Pirata: sorsi che lasciavano intravedere qualcosa di interessante e L’estasi dell’oro cominciava a farsi sentire in sottofondo, la cavalcata stava iniziando.
Poi la pandemia…e quindi stop? Tutt’altro: ”E’ stato proprio durante il lockdown che ho deciso di svoltare, facevo diverse cose nella mia vita, progettazioni europee, accoglienza Erasmus per ragazzi provenienti dall’estero… La pandemia ha fermato tutto e quindi quello che era il mio piano B è diventato poi la mia priorità. Ho sfruttato anche le mie esperienze nel campo dell’associazionismo e sono partito!”
Cantina Pirata, il Sannio e il Vecchio West
Non è l’incipit di una barzelletta, questi sono gli ingredienti pazzi della neonata azienda e, nonostante la pazzia, hanno un significato e delle radici: “Cantina Pirata perché sono stato alla ricerca spasmodica di un nome ma nell’era di Internet non è facile essere esclusivi. Poi alla fine abbiamo optato per Cantina Pirata perché alla fine ci rispecchiamo nel nome, nel modo di concepire il vino, nel modo di lavorare e vivere un po’ fuori dagli schemi. E poi funziona, è immediato ed è rappresentativo del percorso che abbiamo intrapreso con i nomi delle bottiglie”.
Biondo, Tuco e Sentenza. La prima Trilogia
Ed è proprio qui che volevo arrivare, fin dalle prime righe. Rimettete su L’estasi dell’oro, fate ripartire la musica che ora si gode. Ricordate i protagonisti di quel film? Ebbene sono anche i protagonisti della nostra degustazione: le prime creazioni di Cantina Pirata rendono omaggio al capolavoro del Maestro Sergio Leone e si chiamano proprio Tuco, Biondo e Sentenza.
Sulle bottiglie il nome e anche il disegno dei personaggi. Tutto ciò è veramente bello, devo ammetterlo, etichette accattivanti e dall’impatto visivo assicurato ma…se sono belle e non ballano la magia svanisce. E invece…
Biondo – Falanghina 2021
Cominciamo dagli occhi di ghiaccio di Clint Eastwood, a questo punto c’è chi simula un sigaro in bocca e chi mente. Abbinamento nome/tipologia di vino facile, Clint era biondo, quindi qui non c’è bisogno di spiegazione alcuna. C’è solo da bere perché questa Falanghina non chiama il calice ma possibilmente un secchio. Fresca ed immediata, dai profumi caratteristici, agrumi, pesca e fiori bianchi. In bocca la sapidità galoppa e la salivazione è abbondante. Quindi bere e bere ancora, soprattutto in questi giorni di tremenda canicola, Biondo non vi deluderà.
Tuco – Aglianico 2020
Tuco Benedicto Pacifico Juan Maria Ramirez è sicuramente il personaggio più istrionico del film di Sergio Leone, un vero balordo. E’ però quel genere di villain che poi alla fine si ama incondizionatamente, anche per le sfaccettature del suo carattere: rude, goffo, loquace. Brutto per titolo. Ma Tuco di Cantina Pirata brutto non lo è per niente, anzi. E’ però spigoloso come Eli Wallach, come il suo ghigno, come il suo sorriso beffardo, come un vero Aglianico in purezza.
Raccolta manuale delle uve in cassette, pigiatura e poi via in fermentazione per circa dieci giorni. Pressatura soffice con torchio manuale e poi metà in acciaio e metà in barriques a godersi un meritato riposo per almeno dodici mesi. Affinamento su fecce fini, con bâtonnage, fino all’imbottigliamento e 3-6 mesi in bottiglia. Dopo averlo assaggiato in cantina ho poi aperto una bottiglia qualche mese dopo e devo ammettere che l’ho trovato in condizioni migliori. More, prugne e pepe nero al naso, in bocca è secco e di impatto. Mai domo, mai semplice l’Aglianico, però ti resta dentro, autentico come non mai. Profondo, dai tannini decisi e dall’ottima persistenza, roboante come l’urlo di Tuco: “Biondo lo sai di chi sei figlio tu? Sei figlio di una grandissima putt*******!”
Sentenza – Camaiola 2020
Sotto quel cappello da Cowboy Lee Van Cleef nascondeva uno sguardo truce, furbo e tagliente. Sentenza ne sintetizza le caratteristiche ma la vera motivazione del nome è un’altra: “ Non potevo non dare questo nome alla nostra Barbera, la Camaiola. E’ nel suo carattere, è così. Ti inganna facilmente col suo colore, con i suoi profumi, ma poi dopo tre bicchieri la senti arrivare e… diventa ‘na sentenza!” . Ebbene si, ci siamo passati tutti noi (ex) giovani sanniti con la Barbera, tante tante storte!
Filippo però ha intrapreso una strada diversa rispetto alla vinificazione classica di quest’uva, ha preso in prestito il metodo del ripasso utilizzato in Valpolicella e l’ha applicato a Sentenza. Una parte delle uve viene messa ad appassire, l’altra parte viene pigiata in giornata e messa a fermentare.
Dopo qualche settimana di appassimento la massa già fermentata viene rimessa in fermentazione con le uve appassite. Quindi una doppia fermentazione per altre due o tre settimane e poi in acciaio per circa un anno.
Risultato? Una Sentenza, tra capo e collo. Ma gentile, garbata. Un vino che racchiude tutte le caratteristiche classiche della Camaiola: colore rosso impenetrabile dai contorni violacei, naso pieno di frutta matura, rose e viole. Sorso pieno ed appagante, con i tannini molto lievi. Il ripasso però gli conferisce una marcia in più senza snaturarlo, ne amplifica il corpo, la struttura e le note olfattive, dando sentori speziati che difficilmente troviamo in una Camaiola classica. Sorprendente, davvero.
Il futuro e nuove trilogie
Cantina Pirata rappresenta una boccata di aria fresca per il Sannio e la cosa bella è che siamo appena all’inizio. La nave è appena partita, non siamo ancora in mare aperto e già ci sono tre ottimi vini, una forte dose di consapevolezza e voglia di mettersi in gioco. Spero che questo viaggio sia lungo perché Filippo lo merita, ha saputo in pochi anni coniugare tradizione ed innovazione, con un rappresentazione simpatica e moderna dei vini che hanno fatto la storia del nostro territorio.
Il lavoro prosegue, l’ispirazione del vecchio west pare si sia impossessata del garage con la X enorme, si vocifera che da alcuni filari della tenuta siano usciti fuori anche Trinità, Indio e Ramòn…ho i brividi, devo tornare in quel garage e ci ritornerò. Intanto stappo un’altra bottiglia di Sentenza, alzo il calice al cielo e…Fuck The Resilienza!