Non siamo razzisti, siamo solo stanchi

L'accusa di essere diventati un popolo razzista è cresciuta in questi giorni. Ma è davvero così? Il professor Lucio Meglio, sociologo dell'università di cassino, ha analizzato la situazione. E risposto che siamo solo un popolo stanco. Molto stanco.

di LUCIO MEGLIO

Università di Cassino e del Lazio Meridionale

Sociologo

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L’Italia è sempre più un paese xenofobo e razzista. È questo il grido di allarme che da settimane riecheggia sia a livello internazionale sia in vari ambienti intellettuali nostrani. Ma è veramente così?

Stiamo assistendo alla fermentazione di nuove sacche d’intolleranza razziale? Anche in provincia di Frosinone?

La risposta a queste domande passa necessariamente per una analisi sociologica poggiante su un principio chiave: i problemi di oggi possono essere capiti solo considerandoli come un prodotto del passato.

Il mondo sociale è essenzialmente storico, possiamo costruire nuovi mondi, ma soltanto sulla base e nel quadro di ciò che hanno costruito i nostri predecessori.

Dunque gli italiani sono un popolo di razzisti? No! Gli italiani sono un popolo stanco, ancora soffocato da una crisi economica e sociale profonda dove una intera generazione (trenta-quarantenni di oggi) si è vista espropriare di un futuro lavorativo certo e stabile: 1 milione e 41 mila a marzo 2018 sono i disoccupati nella fascia 35-49 anni.

Sono un popolo dove nel giro di dieci anni la povertà è quasi raddoppiata: le famiglie in condizioni di povertà assoluta nel 2017 sono 1,8 milioni, con un’incidenza del 6,9%, in crescita di sei decimi rispetto al 6,3% del 2016 (era il 4% nel 2008).

In condizioni sociali di questo genere è naturale l’insorgere in vaste sacche della popolazione di quello che Nietzsche nella sua Genealogia della Morale definisce il sentimento del ressentiment, risentimento, definendolo come desiderio di attenuare un dolore segreto divenuto insostenibile attraverso una più violenta emozione di qualsiasi tipo.

Applicando questo concetto al contesto contemporaneo notiamo che le nuove forme di intolleranza non sono altro che una emozione violenta ad una condizione di ingiustizia e sofferenza sociale che attanaglia la nostra nazione.

Del resto basta leggere i numerosi “post” presenti quotidianamente sui social nei confronti del tema immigrazione per constatare come la maggior parte dei commenti, se non la totalità, non sono rivolti contro la “razza” in quanto tale, ma si riferiscono ad una forma di privazione che vede nell’altro come colui che ci priva di quello che lo Stato dovrebbe dare a noi (30 euro al giorno e mio figlio senza lavoro…. alloggio e vitto gratis e noi che dobbiamo pagare affittiinvece di aiutare i giovani li manteniamo senza fare niente .. etc.).

Un popolo stanco, troppo spesso irrazionale, che non si ferma a pensare che se domani mattina decidessimo di espellere dal nostro territorio nazionale tutti gli immigrati irregolari, dal primo all’ultimo, il tasso di disoccupazione, i livelli di povertà, e l’insicurezza nelle nostre strade resterebbero praticamente uguali.

A ciò si aggiunge una classe politica, frutto del crollo delle ideologie classiche, che continua a parlare esclusivamente alla pancia delle persone (non alla testa) cavalcando una insoddisfazione sociale da loro stessi provocata. È accaduto anche durante l’ultima campagna elettorale per le elezioni politiche in provincia di Frosinone.

È così che si affermano partiti politici che da sempre hanno utilizzato il tema del “noi e loro” nei propri slogan politici.

Solo che dieci anni fa l’altro era il meridionale (prima il nord, quando guarda caso le popolazione settentrionali vedevano nel sud l’approfittatore dei soldi che loro stessi versavano alle casse dello Stato con le tasse, esattamente quello che oggi vediamo negli immigrati) oggi è l’immigrato (prima gli italiani).

Nulla di nuovo nella storia europea: come non pensare alla Germania degli anni venti del Novecento, dove la disoccupazione superava il 20% della popolazione, l’inflazione monetaria era ai massimi storici e i tedeschi ridotti all’estremo delle loro forze rinsaldarono lo spirito nazionale a discapito “dell’altro”, visto come l’usurpatore e sfruttatore della ricchezza tedesca. I ricorsi storici!

Concludendo una società “sana” da sempre è aperta all’accoglienza ed al rispetto delle differenze (vedasi la Svezia), l’intolleranza nasce da una forma di sofferenza diffusa che può trovare soluzione solo nella ricostruzione di una solidarietà civile intesa nel significato sociologico del termine, ossia di coesione sociale.

Solo affrontando i gravi problemi economici e sociali che affliggono l’Italia con la stessa foga, se non di più, con la quale si affrontano i problemi legati all’immigrazione riusciremo a ricostruire quel tessuto solidale proprio della nostra nazione. 

Non siamo un popolo xenofobo siamo solo un popolo stanco! Una stanchezza che portata alle estreme conseguenze porta con sé odio, rabbia e intolleranza.