Chi era Giuseppe Ciarrapico, l’editore scomodo che non contava le copie ma le pesava

Foto: copyright Daniele Scudieri Imagoeconomica

Andreottiano di ferro e poi berlusconiano, ha attraversato decenni di vita politica della Prima e della Seconda Repubblica. Con le sue testate locali è stato un pioniere dell’editoria.

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

«Vede, il segreto è semplice: le copie dei giornali non si contano ma si pesano»: il cancro che sta uccidendo l’editoria in Italia lui lo aveva individuato subito, a differenza di tutti gli altri. Perché Giuseppe Ciarrapico era un Editore. Gli altri no.

Una vita a Destra

Veniva dalla stampa fascista: quasi clandestina, fatta con i ciclostile. Perché era quello l’unico spazio concesso alla sua corrente di pensiero in un mondo nel quale l’egemonia culturale stava tutta a sinistra. Lui ci mise del suo per collocarsi ancora di più ai margini: fu un revisionista. Un po’ per convinzione politica e un po’ per convenienza economica, dal momento che nessuno aveva il coraggio di pubblicare la Storia raccontata dal punto di vista di quelli che avevano perso. Una mossa da editore: il ‘peso’ di Ciarrapico in quell’area in breve tempo divenne enorme. Influente.

Sostanza. Che superava la leggenda, da lui stesso alimentata, secondo la quale da giovanissimo aveva partecipato ai funerali clandestini di Benito Mussolini, portando a spalla anche lui la bara. Una storia che accreditava o smentiva a seconda delle circostanze.

Negli anni ’70 Giorgio Almirante, storica figura della Destra Sociale in Italia lo chiamò alla direzione amministrativa del Secolo per rimettere in ordine i conti del quotidiano dell’allora Movimento Sociale Italiano. Portò a termine la sua missione e poi tornò alla sua attività.

L’amico del Principe

In proprio. Perché Giuseppe Ciarrapico era un antipatico direttore d’orchestra fuori dal coro. Ma anche un formidabile conoscitore di uomini. Capace come pochi di allacciare relazioni, tessere rapporti, costruire alleanze. Come avvenne un giorno degli anni Sessanta ad Hannover alla fiera europea della tipografia: fu lì che conobbe per caso il principe Carlo Caracciolo, cognato di Gianni Agnelli ed appassionato editore del Telegrafo di Livorno.

Una vulgata vuole che fossero entrambi di fronte alle prime roto offset arrivate dagli Stati Uniti. Senza sapere chi fosse quel distinto signore al suo fianco, Ciarrapico ne individuò subito l’occhio competente: «Bella vero?», «Si, in effetti», «Peccato che costa un botto», «Beh, non costa poco». «Senti, vogliamo fà ‘na cosa, ne compriamo due: una te ed una io e ci avvalliamo le cambiali a vicenda». Carlo Caracciolo aveva la disponibilità per comprarsi l’intera fabbrica ma aveva una passione innata verso i personaggi come Ciarrapico.

La leggenda (raccontata dallo stesso Giuseppe Ciarrapico) vuole che si fossero ritrovati l’indomani alla stazione ferroviaria di Hannover dove nel frattempo era arrivato in treno il suo factotum da Roma, con una valigia piena di cambiali. Che insieme al principe iniziarono a firmare per una mattinata intera.

Ciociaria Oggi e Latina Oggi

Leggende. Che si mischiano alla realtà. Ma Ciarrapico era così, un po’ italica cialtroneria ed un po’ arte di arrangiarsi, unite ad un fiuto ineguagliabile ed una capacità innata di conquistare. Pragmatico. Rapido. Efficace. Come la volta in cui seguì Giulio Andreotti negli Stati Uniti.

Il Jet Lag non lo fece dormire ed allora il Ciarra si alzò ed andò a fare un giro: notò che nel Bronx c’erano delle bacheche in plexiglas con all’interno il quotidiano locale. I lettori prendevano la loro copia e lasciavano il loro quarto di dollaro, nessuno rubava il giornale, nessuno evitava di lasciare la monetina.

«Perché lo sentivano un pezzo di loro, una parte del loro quartiere, quei giornali avevano un’identità: fu lì che capii che dovevamo realizzare dei quotidiani locali»

Fu così che nel 1988 nacque Ciociaria Oggi, seguito nel 1989 da Latina Oggi. Due straordinarie imprese editoriali per raccontare la cronaca delle province di Frosinone e di Latina. Ma soprattutto per assumere un peso e un ruolo politico determinante in questi territori. In base allo stesso principio, in poco tempo si lanciò in altre avventure editoriali: in Molise, in Abruzzo, nella zona dei Castelli Romani, perfino in Sicilia.

Conoscitore di uomini

Conosceva gli uomini, li fiutava, ne comprendeva subito le capacità ed il talento. Per far partire Ciociaria Oggi si affidò a Paolo Brunori, detto il Conte: ne annusò subito la capacità organizzativa e strategica. Era l’uomo giusto per costruire da zero la sua impresa: i primi quotidiani locali in un panorama dominato fino a quel momento solo dai colossi nazionali che al limite si degnavano di aprire una redazione provinciale per fargli confezionare un paio di pagine.

Invece no. Ciarrapico chiese a Brunori di realizzare un quotidiano provinciale con redazioni cittadine, strutturato come un giornale nazionale. Non lo sapevano: ma in quel momento stavano costruendo la prima operazione Glocale nell’editoria.

Per il secondo step Ciarrapico chiamò un direttore dalla personalità forte come Umberto Celani, colonna della redazione di Frosinone de Il Tempo. Fu lui a dare un carattere ed un’impronta a quel quotidiano costruito da Brunori. Un successo di autorevolezza. E per una volta finalmente anche di copie che si potevano contare in abbondanza e pesare.

Quando fu necessario imporre una svolta più aggressiva, fiutò Mauro Benedetti, già inviato de La Stampa e caposervizio al Secolo XIX: uno che da cronista si infiltrava nei cortei degli Autonomi per raccontare tutto stando in prima linea. Furono gli anni dei record di vendite uno dopo l’altro.

Ma a Peppino Ciarrapico spettava sempre l’ultima parola. Era capace di far rientrare a Frosinone un suo direttore con qualche giorno di anticipo dal viaggio di nozze. Rimborsandogli profumatamente lo scomodo. Solo per fare un semplice punto sulla situazione: in realtà per ricordargli che l’editore era sempre lui. E con lo stesso metodo era capace di far saltare vacanze e cerimonie. Un modo quasi per testare la fedeltà alla testata, all’azienda, ed al mito del Ciarra.

Partito dal nulla

Giuseppe Ciarrapico, morto stamattina presso la clinica Quisisana di Roma, è stato un personaggio capace di guadagnarsi la scena partendo dal nulla. O lo amavi o lo odiavi: un personaggio  a tinte forti e nette.

Uomo di punta della corrente andreottiana della Democrazia Cristiana: celebre la sua contrapposizione con Vittorio Sbardella, detto lo “Squalo”. Ma Ciarrapico era un uomo di destra e non l’ha mai nascosto. Neppure edulcorato. Poi l’avvicinamento a Silvio Berlusconi e l’elezione a senatore del Popolo delle Libertà.

La strada di Berlusconi l’aveva incrociata da tempo, da quando fu incaricato (da Bettino Craxi e Giulio Andreotti) di risolvere il cosiddetto “lodo Mondadori”, tra lo stesso Cavaliere di Arcore e Carlo De Benedetti, numero uno del gruppo editoriale L’Espresso – La Repubblica. Giuseppe Ciarrapico lo fece, anche nel nome dell’antica amicizia fortissima e partecipata con Carlo Caracciolo, principe, partigiano, uomo di sinistra e punto di riferimento de L’Espresso – La Repubblica. Più di qualche giornale li aveva soprannominati “Il Principe Rosso e il Fascista”. L’amicizia era vera, solidissima, fatta di frequentazioni quotidiane.

Gli amici potenti

E le frequentazioni di Giuseppe Ciarrapico non erano banali. Amava circondarsi di uomini che lo stimolassero. capaci di tenergli testa. O con i quali confrontarsi. È così che ha conosciuto e frequentato uomini come Giulio Andreotti, Bettino Craxi, Giorgio Almirante, Silvio Berlusconi, Gianni Letta.

In provincia di Frosinone ha dominato la scena costantemente. Da alleato o da avversario. Attraversando decenni di vita politica locale: da Romano Misserville e Bruno Magliocchetti a Gian Franco Schietroma e Paolo Fanelli. Senza dimenticare i confronti (e gli scontri politici) con Fernando D’Amata, Angelo Picano, Anna Teresa Formisano, Antonello Iannarilli, Alessandro Foglietta. O l’amicizia con Francesco StoraceItalico Perlini e Biagio Cacciola.

Celebre anche la sua contrapposizione a Gianfranco Fini, allora leader di Alleanza Nazionale. Con il quale pure aveva avuto ottimi rapporti per anni.

Il divo Giulio

Ma l’amicizia più importante fu quella con il sette volte presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Ciarrapico era uno degli uomini più leali e fidati.

Era il suo braccio operativo sulla provincia di Frosinone, da Cassino a Fiuggi. Nel sud della provincia aveva le tipografie che davano lavoro a decine di persone: grazie anche alle pubblicazioni che Andreotti faceva commissionare o che comprava, garantendo ossigeno e stipendi. Nel nord aveva le acque minerali: durante la sua gestione Acqua di Fiuggi raggiunse livelli di diffusione mai più eguagliati. A Roma controllava la Sanità.

Fu per questo rapporto di fiducia che Andreotti chiese a Ciarrapico di occuparsi della Roma calcio ed evitare che fallisse. Miracolosamente le casse delle banche si aprirono. Durante una contestazione da parte dei tifosi della Roma, Ciarrapico rispose così: “Fischi? Non ne ho sentiti? Solo contestazioni di gioia”. E di Giulio Andreotti disse: “Un accorto gestore di una democrazia malata”.

Governò fino a quando lo tsunami giustizialista lo chiamò in causa due volte, nel ’93 e nel ’96.

Le spalle larghe

Non era uno che si nascondeva. Grande motivatore, quando c’erano delle responsabilità da assumere lo faceva in prima persona. Come la volta che si presentò in tribunale e sollevò da ogni responsabilità tutta la catena di comando del suo giornale: «Signor giudice, sono stato io in qualità di editore ad imporre che venisse fatta quella cosa. E l’ho imposta contro la volontà delle persone che avete tratto a giudizio, che hanno dovuto eseguire in quanto miei dipendenti. Sono io e solo io il responsabile». Pagò per tutti.

Se ne va un pezzo di storia politica italiana della Prima e della Seconda Repubblica. Ma soprattutto uno degli ultimi grandi editori, non soltanto locali. Uno dei pochissimi capaci di capire che le copie si pesano e non si contano.