L’arrampicata sugli specchi dell’eroico presidente Acea

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Il presidente di Acea Ato 5 Ranieri Mamalchi l’altro giorno si è lanciato, con mirabile sprezzo d’ogni pericolo, in una missione talmente ardimentosa che ha avuto l’effetto di suscitare ammirazione e tenerezza anche nei cuori più induriti. Si sono sciolti pure quelli ormai pietrificati dalle sue bollette: quelle spedite in ritardo, corredate da tributi per depuratori inesistenti o non funzionanti, gonfiate da canoni per metri cubi fatturati benché mai erogati. Vederlo arrampicarsi sugli specchi per cercare di convincere la gente che la fusione tra le società Acea Ato2 e Acea Ato 5 sia una buona cosa per loro è stata una missione commovente ed eroica nello stesso momento.

Incurante del rischio di ricevere pernacchie e commenti ironici, lo statuario presidente Mamalchi, con il suo metro e 92 di innocenza celati dietro una barba ispida da Sputafuoco, sulle pagine del quotidiano La Provincia è apparso come un bebè con il pannolone mentre tenta di scalare lo specchio nell’armadio della camera da letto.

Leggesi testualmente nell’articolo: «La fusione porterà solo vantaggi per l’azienda che si riorganizzerà e irrobustirà, e per gli utenti che avranno un servizio migliore, a costi minori e fornito da un soggetto molto più solido». Lo stesso Cesidio Vano, giornalista mai tenero con il colosso multiutility romano, ha riconosciuto un palpito nel cuore ed ha ammesso «Ranieri Mamalchi, si è voluto impegnare in un’opera che sembra una delle fatiche di Ercole». In effetti, sostenere che l’incorporamento della società che gestisce il servizio idrico in Ciociaria (Acea Ato5 spa) in quella che svolge il medesimo lavoro su Roma e provincia (Acea Ato2 spa) abbia solo vantaggi e non comporti alcuna ricaduta negativa in provincia di Frosinone, appare come l’invito ad avvicinarsi, fatto dalla improbabile nonna pelosa alla piccola Cappuccetto Rosso.

Abituati in questi anni a dover digerire, per diverse vie, cetrioli di varia e comunque abbondante fattezza, gli utenti di Acea hanno avuto ancora più sospetti quando il granatieresco presidente in pannolone ha dichiarato: «La fusione è una questione interna dell’azienda. Gli utenti non si accorgeranno neanche del cambiamento, se non per il logo aziendale. Non comprendo i timori dei sindaci: qui ci sono due aziende entrambe controllate al 98% da Acea Spa che si fondono. Acea Spa erano prima, Acea Spa saranno dopo. Per questo non cambierà nulla».

Se il presidente non comprende i timori, proviamo, sommessamente, a spiegarglieli.

Prima che apparisse in provincia di Frosinone la sua rispettabile azienda a gestire l’acqua a seguito di regolare quanto scalcinata gara d’appalto, lo stesso servizio veniva erogato da vari e variegati consorzi locali. Che facevano acqua da tutte le parti, erano imbottiti di incompetenti e nullafacenti collocati lì dalla politica. Ma avevano due pregi: il primo era che l’acqua arrivava (perché se non usciva dai rubinetti, mamma telefonava al signor sindaco, gli faceva una partaccia come Achille ad Ettore sotto le mura di Troia e quello, a costo di venire lui con due taniche da 25 litri in mano, l’acqua per mettere a bollire la pasta a papà e risciacquare i pedalini te la faceva avere); il secondo pregio era che le bollette potevi pure non pagarle: se stavi con l’acqua alla gola (si fa per dire), andavi in municipio e lì una soluzione la trovavano sempre, tanto poi i conti si mettevano a posto in qualche maniera (mica tanto, dal momento che il Consorzio Acquedotti Riuniti degli Aurunci è uscito di scena lasciando un conto milionario che ancora nessuno ammette di dover pagare; chissà chi se lo digerirà questo cetriolo…).

Il problema, Presidente, è – sia detto con ogni rispetto – che non si capisce bene chi sia stato più furbo tra Acea (la casa madre che possiede il 98% della società da Lei presieduta) ed i sindaci. Se sia stata più geniale Acea ad accaparrarsi il business e poi tirare fuori i problemi (come quel marito che esibisce i difetti solo dopo avere piazzato la fascetta dorata intorno all’anulare sinistro), oppure i sindaci a scaricare su Acea le responsabilità che invece sono soltanto le loro (come quelle mogli che, scoperte in adulterio, si difendono dicendo che la colpa è dei mariti perché le trascurano e non le capiscono).

Simpatiche furbate ce ne sono state dall’una e dall’altra parte. Per capirci Presidente, la sua stimata Società, dovrà ammettere che un po’ di faccia l’ha persa quando, in tempi recenti, ad Esperia ha recapitato a tutta la cittadinanza i solleciti di pagamento senza avere mai consegnato la bolletta. Ma ai suoi geniali collaboratori, ai potentissimi computer che vi affiancano in ogni operazione, non è passato per la testa che se un intero paese non ha pagato la bolletta forse c’è qualcosa di anomalo? Dal tragico si balza senza ritegno nel ridicolo quando si tenta, in pannolone, di arrampicarsi sugli specchi: «La ditta privata a cui abbiamo affidato il recapito non ha trovato gli indirizzi». Perbacco, Presidente: per recapitare i solleciti però gli indirizzi li hanno trovati. Hanno fatto sicuramente un corso accelerato di toponomastica esperiana. Sia detto con chiarezza: il recapito è stato affidato ad una ditta che non è Acea Ato 5 ed Acea non ne è responsabile. Ma il logo che è su quella bolletta è il vostro ed a me utente m’interessa ben poco che lei, per risparmiare 2 centesimi a lettera, si affida ad uno che non trova l’indirizzo e poi lo trova dopo venti giorni.

Se poi vogliamo parlare dell’analogo caso accaduto ad Anagni, comprenderà che la diffidenza è diventata, a ragione, di casa tra i suoi utenti. Lì le bollette sono arrivate ma quando erano già scadute. Torno a ripetere: “ma se un’intera città non vi paga, a voi non suona un campanello d’allarme?” Anche qui, in quanto a comicità, la risposta data dai suoi comunicatori è degna del migliore teatro dell’opera: «Si è tratto di un disguido postale». Suscitando la piccata replica di Poste Italiane che, nella sostanza, ha commentato: «Disguido nostro un par de ciufoli: siete voi che ci avete consegnato le bollette quando erano già scadute». E mettici ‘na pezza.

Vogliamo renderci conto, Presidente, che ormai, quando arriva la bolletta di Acea, nelle case dei suoi utenti va in scena un rito che coinvolge l’intera famiglia? La moglie segnala la presenza del plico nella cassetta delle lettere, il figlio minore corre a prendere il cellulare e registra la scena affinché ci sia la testimonianza filmata, il figlio maggiore si colloca in posizione accanto al raccoglitore della posta esibendo in favore di telecamera il quotidiano comprato al mattino affinché non ci siano dubbi sulla data, il capo-famiglia apre con solennità la cassetta. E finalmente, tutti insieme, possono dissigillare il plico con la bolletta: sotto l’occhio elettronico del cellulare, con la garanzia del giornale a fare fede sulla data. «Allora, è arrivata scaduta pure questa volta o no?»

Presidente, è questo, ciò che rende diffidenti. Se in bolletta ci sono oneri concessori, bolli, ammennicoli vari, all’utente non interessa. L’utente vuole due cose sole: l’acqua e qualcuno con cui parlare se ha un problema. Non un call center che se parla in italiano è una grazia del cielo e comunque quando ci parli sembra di entrare nei meandri del castello di Kafka.

In questo quadro generale, Presidente, dovrà ammettere che per i sindaci è stato facilissimo scaricare tutto su Acea. Comprese le colpe che sono soltanto loro. Perché i 75 milioni di euro che stiamo pagando a titolo di differenza tra la tariffa provvisoria e quella definitiva, è solo colpa dei sindaci che non l’hanno decisa quando dovevano. Certo, bisogna comprenderli, poveri sindaci. Sembra di sentirli durante le riunioni dell’assemblea, capitanate con tonitruante piglio da Antonello Iannarilli: «Ma sei scemo a votare: così domani sui giornali esce che abbiamo detto si all’aumento. E poi in paese chi mi elegge più? Tanto, quando arriverà il momento di pagare, mica dobbiamo andare noi a chiedere la differenza». Infatti, la lettera che reclama i soldi porta il logo di Acea, mica quello del Comune. Su questo, sono stati geniali.

E dei lavori mai eseguiti, ne vogliamo parlare? Nessuno ha spiegato agli utenti che se blocchi l’approvazione della tariffa, fermi anche i lavori sulle condotte perché vengono finanziati proprio con i soldi delle bollette. Anche su questo, i sindaci sono stati geniali: «Le nuove condotte non vengono costruite? E noi che c’entriamo, la gestione è passata ad Acea». E la gente se la prende con Acea.

Vogliamo parlare delle condotte che si rompono in continuazione? Ma si, parliamone: «Che ci posso fare se stanno sempre rotte… lo sapete come le fanno le riparazioni questi di Acea…» A nessuno passa in mente che i tubi sono quelli di trent’anni fa e in tutto questo tempo le case si sono moltiplicate perché se non fai costruire poi non ti vota nessuno; l’acqua alle case nuove gliela devi mandare: e chi se ne frega se quei tubi erano stati posati negli anni Ottanta, dimensionati per centinaia di case in meno, e pompandoci l’acqua per tutta quella gente in più è normale che si crepano. Tanto la colpa è di Acea.

Per non parlare di come è stata gestita la gara d’appalto: i sindaci hanno fornito cifre campate in aria al punto che Acea, dopo un paio d’anni di gestione, si è accorta che non quadrava un bel niente. Ma di questo, parliamo un’altra volta.

Ecco presidente. Per dirla tra noi, tanto alla fine di queste righe ci saranno arrivati in due o tre soltanto, io, lei e forse il direttore Paolo Saccani, il problema è questo. Risparmi la fatica d’arrampicarsi sugli specchi. In queste condizioni, ammetterà, cercare di convincere gli utenti è una missione suicida. Per la quale ha tutta la nostra ammirazione.