Un buco da 40 milioni di euro nei conti dell’Università di Cassino. Un cratere contabile che rischia di mettere in discussione il futuro dell’ateneo, le sue capacità di sviluppo. E soprattutto rischia di ingabbiarlo all’interno di un piano di rientro che durerà anni. Il caso è all’ordine del giorno del prossimo consiglio di amministrazione, fissato per giovedì 23 febbraio.
All’appello mancano versamenti dei contributi Inps e imposte sugli stipendi dei dipendenti per un totale di 31 milioni. Non risultano versati in maniera completa i contributi pensionistici relativi agli anni dal 2011 a febbraio 2015. Stessa situazione per la quota di imposte sugli stipendi dei circa 600 dipendenti (300 docenti e 300 amministrativi). Totale del debito: 31 milioni. Ai quali si aggiungono altri 9 milioni di euro tra interessi e sanzioni che sta per chiedere l’Agenzia delle Entrate. Portando il conto a 40 milioni tondi.
Il caso è emerso in modo banale. L’università ha avuto bisogno di un Durc: il certificato dal quale risulta che una ditta è in regola con il versamento di tasse e contributi sui dipendenti. E l’Inps ha rilasciato un Durc negativo. Significa che non erano stati versati tutti i contributi. All’inizio si è pensato ad un equivoco burocratico. Invece le verifiche hanno evidenziato una serie di buchi nei versamenti. Pare siano stati fatti a singhiozzo. Alcuni mesi si e in altri no.
A quel punto è stata disposta la revisione dei bilanci, affidata a due società specializzate. Lo ha deciso il rettore Giovanni Betta per avere la massima trasparenza.
Spulciando i vari capitoli e facendo i riscontri, i revisori esterni hanno notato che tutto quadrava. Il bilancio era tecnicamente perfetto e c’era sempre qualcosa che (sulla carta) rimaneva in cassa. Ma andando a controllare gli F24, cioè i bollettini con cui si fanno i versamenti delle tasse, effettivamente c’erano dei buchi. In alcuni mesi degli anni scorsi i versamenti non risultano, in altri sono state versate somme più basse del dovuto. In altri mesi veniva versato il giusto.
Ma perché i versamenti erano incompleti o fatti a singhiozzo? Il dubbio è che si sia ricorsi ad uno stratagemma contabile per tamponare i ritardi con cui il Ministero inviava i fondi necessari alla sopravvivenza.
Il sospetto è che per evitare si scoprisse tutto, i versamenti dei contributi pensionistici venissero fatti saltare ai dipendenti assunti da poco. In questo modo c’era più tempo per ripianare la situazione. Se i mancati versamenti avessero riguardato gli ‘anziani’ sarebbe stato scoperto tutto appena uno di loro avesse presentato domanda per andare in pensione.
Ma che fine facevano i soldi? Nessuna. Semplicemente non c’erano e allora si ricorreva a questo trucco. Nessuno – stando alla prima ricognizione fatta dal rettore – ha intascato un soldo.
Ora il caso passa al Consiglio di Amministrazione convocato per. Dovrà verificare se è stata applicata una norma o un’interpretazione che consentiva la riduzione. Intanto ci si è preparati al peggio. E’ stato predisposto il ricorso alla cartella esattoriale, in modo da risparmiare i 9 milioni di sanzione. C’è un piano di rateazione dei milioni dovuti all’Inps per spalmarli negli anni: sono stati concessi 24 mesi ma il rettore punta ad arrivare a 5 anni.
C’è il rischio di dover tagliare buona parte dell’attività di ricerca. Che è la linfa per un ateneo. Se giovedì verrà riconosciuto il debito, tutto dovrà essere segnalato alla Corte dei Conti. Perché è stata generata una sanzione con interessi pari a 9 milioni.