“Che fai mi cacci?”. No, me ne vado da solo e pure di corsa

Foto: © Imagoeconomica, Daniele Scudieri

La triste parabola discendente di Forza Italia è iniziata in realtà quel 22 aprile 2010, quando Berlusconi sfrattò Gianfranco Fini. Poi se ne sono andati tutti, soffocati dall’insopportabile mossa del cerchio magico. Adesso l’esodo finale e la fine di una lunghissima stagione.

Era il 22 aprile 2010, giorno della direzione nazionale dell’allora Pdl. Sì, si chiamava ancora Popolo delle Libertà. Davanti alle telecamere si consuma uno strappo politico storico, che determinerà anche una svolta nel percorso politico e personale di Gianfranco Fini. La valenza di quella giornata è riassunta nel ditino alzato dell’ex leader di Alleanza Nazionale contro Silvio Berlusconi e in quell’urlo: “Che fai, mi cacci?“.

Sì, Silvio Berlusconi lo cacciò, anche con la collaborazione di molti ex colonnelli di Alleanza Naizonale, che, dopo anni di mutismo rassegnato e frustrato al cospetto di Fini, intravedevano l’occasione della rivincita di Fantozzi.

Quanto a Gianfranco Fini, i suoi errori li aveva fatti, a cominciare dallo scioglimento di Alleanza Nazionale a vantaggio del Pdl. Non poteva competere con la potenza organizzativa, economica e mediatica di Berlusconi. Gianfranco Fini perse quella battaglia e da lì iniziò il suo declino politico.

Ma quel 22 aprile 2010 iniziò pure la discesa di Silvio Berlusconi e di quella che sarebbe tornata a chiamarsi Forza Italia. Sua Emittenza non poteva saperlo, certamente non immaginava che nel futuro davvero prossimo il suo governo sarebbe poi stato travolto dallo spread e sacrificato sull’altare di Mario Monti. Quello che però doveva immaginare è che se alla fine tutti se ne volevano andare, qualcosa non funzionava.

All’inizio fu  Fini, mentre Pierferdinando Casini aveva deciso già di intraprendrere altre strade, non sacrificandosi sull’altare del Pdl. Oggi è parlamentare del Partito Democratico. Ma da quel momento le truppe berlusconiane cominciarono a ridursi, mentre tanti ufficiali andavano via semplicemente perché non vedevano spazi veri per svolgere un minimo di attività politica.

Le elezioni del 2013, quelle nelle quali il Pd di Pierluigi Bersani arrivò primo senza vincere, rappresentarono il bivio finale. Possibile mai che tanti fedelissimi di Berlusconi erano improvvisamente diventati dei “traditori”? No, non era possibile. Angelino Alfano fece le sue scelte, Raffaele Fitto pure. E con loro tanti altri. Fino ai giorni nostri. Giovanni Toti non è un grillino sovversivo sulle barricate, è stato portavoce di Berlusconi. Eppure non vede altra strada che lo strappo per cercare di salvaguardare una comunità politica che non può riconoscersi in quello che è diventato un siparietto in servizio permanente effettivo. E a reti unificate. Parliamo del “cerchio magico” berlusconiano.

Ma non è solo Toti: basta vedere i tanti che hanno preso altre strade. Elisabetta Gardini per esempio. Dalle nostra parti lo stanno facendo personaggi che hanno dato tutto a Forza Italia, personaggi molto diversi tra loro: Claudio Fazzone, Mario Abbruzzese, Antonello Aurigemma, Pasquale Ciacciarelli, Adriano Palozzi. Negli anni avevano capito l’andazzo Alfredo Pallone e Alfredo Antoniozzi. Poi sono usciti pure Antonello Iannarilli, Alessia Savo. Mentre Nicola Ottaviani aveva avuto perfino il coraggio di attaccare il “cerchio magico” dal palco di Fiuggi, in casa di Antonio Tajani, ribattendo a muso duro alle obiezioni di Renato Brunetta e Gianfranco Micciché.

È iniziato tutti da quel “che fai mi cacci?”. Oggi però se ne vanno da soli. Correndo.