Cosa c’è dietro alla chiusura di Reno de Medici

Il caso della chiusura della cartiera RdC di Villa Santa Lucia solleva importanti questioni sull'industria e l'economia della provincia di Frosinone. Un sito strategico, considerato un'eccellenza nazionale. Che produce utili. Che chiude per i soliti problemi legati alle autorizzazioni. Nonostante gli sforzi per rispettare gli standard ambientali.

Il caso della Reno de Medici con l’annuncio della chiusura della cartiera di Villa Santa Lucia impone una serie di riflessioni. Fondamentali per capire il futuro industriale della provincia di Frosinone e della sua economia. Perché rischia di diventare un caso emblematico.

Non è bollita

L’ingresso della cartiera RdC a Villa Santa Lucia

Per essere chiari: non parliamo di una realtà decotta e vicina al collasso. Al contrario: quello stabilimento è parte di RDM Group cioè il secondo produttore europeo di cartoncino patinato a base riciclata, il primo in Italia in Francia e nella Penisola Iberica. Il fatturato 2020 è stato di 679 milioni di euro ed ha in tutto 1.729 dipendenti. Lo scorso anno ha prodotto 1,34 milioni di tonnellate di materiale e la sua rete commerciale tocca 70 Paesi. Quello di Villa Santa Lucia è uno dei 6 stabilimenti del Gruppo: ha una capacità produttiva di 220mila tonnellate, concentrate nel settore Wlc.

Ma c’è un ulteriore dato a far comprendere quanto Villa Santa Lucia sia un’eccellenza. È strategica. Sul piano della produzione e dei conti. Per questo oggi è nel portafogli del fondo americano Apollo dopo essere stata una delle gemme della canadese Cascades. Gente che muove milioni di dollari ogni ora. Chiaro che non parliamo di un rottame ma di uno spiderino mica male.

Ma allora perché l’azienda annuncia la chiusura ed il licenziamento collettivo? Prima, un altro elemento.

Non è Taranto

Il caso della Reno de Medici non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello della Ilva di Taranto, la celebre acciaieria che dava lavoro a migliaia di persone ma inquinava in una maniera implacabile. Avvelenando l’aria ed uccidendo la popolazione. In Puglia ci fu una fase storica nella quale quale la gente si ritrovò di fronte alla più crudele delle scelte: morire di fame o di inquinamento. Qui non c’è niente di simile anche se la storia prende le sue mosse da una delicata questione ambientale.

La chiusura dello stabilimento Reno De Medici di Villa Santa Lucia con il licenziamento collettivo dei suoi 163 dipendenti diretti ed una perdita vicina ai 300 posti di lavoro considerando l’indotto è legata ad una sola parola inserita in un documento. Che però cambia completamente il ciclo produttivo della fabbrica e la pone al di fuori del contesto europeo del settore. Lo ha spiegato questa mattina RdM Group con una dichiarazione nella quale conferma che la sua decisione di cessare l’attività in provincia di Frosinone “arriva in seguito a una mancata risposta dalla Regione Lazio alla richiesta dell’Azienda di continuare l’attività seguendo una prassi consolidata per tutte le cartiere italiane ed europee sulla gestione dei fanghi primari”.

In pratica Reno de Medici ha avviato una serie di lavori per adeguare il suo ciclo di depurazione, prendendo atto delle indagini della Procura di Cassino sul funzionamento del depuratore del consorzio industriale Cosilam nel quale vanno i suoi scarichi. Gli adeguamenti attuati hanno consentito la ripresa delle attività produttive: a novembre 2023 il Tribunale di Cassino ha autorizzato il riavvio del depuratore in “marcia controllata”.

La parola che fa la differenza

Foto © Carlo Carino / IA Mid / Imagoeconomica

Il tribunale ha posto una serie di vincoli, tra cui quello di “smaltire come rifiuto tutti i fanghi che saranno prodotti”. È la parola ‘tutti’ a fare la differenza. Creando una condizione che per Reno “è tecnicamente impraticabile se si considera che il riutilizzo dei fanghi, soprattutto quelli cosiddetti “primari”, è prassi comune per tutte le cartiere italiane ed europee produttrici di carta per imballaggi a base di fibre riciclate, e quindi anche per gli stabilimenti di Rdm Group”. Cosa significa?

In pratica: Villa Santa Lucia fa la carta utilizzando i fanghi pieni di fibre riciclate, smaltirli “tutti” come dice il provvedimento significa perdere una sua materia prima, aumentare i costi di smaltimento ed i costi di produzione. Non solo. Per l’azienda “il non utilizzo di tali flussi comprometterebbe la qualità del prodotto stesso e una perdita di efficienza produttiva insostenibile, con ingenti danni all’ambiente e impatti economico-finanziari sulla Cartiera tali da rendere il business non più sostenibile”.

Ancora più semplice? Faccio un cartoncino di qualità e green perché recupero i fanghi pieni di fibre e li faccio tornare materia prima. Se mi obbligate a smaltirli come un comune fango industriale mi state togliendo la materia prima per la carta.

Ancora una volta il tema delle autorizzazioni

Ancora una volta torna al centro il tema delle autorizzazioni. E qui va fatto un chiarimento a scanso di equivoci. L’ambiente e la salute delle persone stanno in cima alla scala delle priorità e non c’è margine per le deroghe. Ma è altrettanto chiaro che la normativa in materia di inquinamento sia scritta male, in maniera generica al punto da consentire ad ognuno di darle un’interpretazione differente.

Lo ha scritto nero su bianco l’assemblea delle attività produttive del territorio quando ha elaborato il documento per gli Stati Generali della Provincia di Frosinone. Industriali e sindacati non hanno chiesto norme meno severe: hanno chiesto norme più chiare. A dimostrare quanto queste regole siano scritte in maniera generica c’è la recente sentenza di assoluzione per l’ex presidente della Provincia Giuseppe Patrizi e mezzo mondo industriale ciociaro. C’è il caso emblematico della legge regionale sulla Qualità dell’Aria che ogni Provincia del Lazio può interpretare come meglio ritiene. Perché è scritta male.

Rdm Group oggi sottolinea ancora una volta di essere stata costretta ad arrivare alla decisione di chiudere Villa Santa Lucia nonostante abbia messo in atto tutte le misure necessarie per rispettare i più alti standard ambientali e offerto in ogni passaggio la massima collaborazione con le autorità per soddisfare tutte le richieste utili a una rapida ripartenza.

L’AIA sempre lei

In attesa che la Regione Lazio decida se, come e quando metterci mano (a Frosinone il presidente Francesco Rocca si è impegnato ad esaminare la questione insieme al presidente della Provincia Luca Di Stefano) si segue l’iter consueto. Ed è anche questo ad avere convinto RdM che fosse arrivato il momento di fare le valigie. Perché?

Si legge nel documento inviato ad Arpa Lazio che “al fine di pervenire nel più breve tempo possibile ad una soluzione al riguardo, la Scrivente Società richiede formalmente alla Regione il riavvio del procedimento di AIA e la tempestiva fissazione di una riunione in Conferenza di Servizi specificamente dedicata a tale questione, che la Società considera necessariamente preliminare rispetto all’effettivo riavvio dell’impianto”.

Tanto per fare un parallelo: Saxa Gres ha atteso 7 anni il completamento di quella procedura. Mentre Catalent ha spostato nel Regno Unito il suo investimento da 100 milioni di euro programmato su Anagni. E decine di aziende non cambiano i loro impianti con altri più moderni per non finire nel girone interminabile delle procedure Aia del Lazio.

Ora è più chiaro perché Reno de Medici abbia salutato dicendo di essere costretta ad andare via.