Elezioni, vengo dopo l’ultimo click

I comizi sono diventati un pezzo di antiquariato. Qualcuno verrà fatto in campagna elettorale, ma insomma niente a che vedere con gli appuntamenti di qualche anno fa, quando ancora passavano le macchine con il megafono ad annunciarli.

Manifestazioni in piazza con il contagocce, anche perché il rischio flop è reale e gli unici che non lo temono sono i Cinque Stelle. Manifesti, perfino quelli selvaggi, in diminuzione drastica, bigliettini, volantini e brochure distribuiti con il contagocce, nella consapevolezza che magari finiranno nel primo cestino utile sulla strada.

La campagna elettorale ormai si fa sui social network, perfino più che in televisione o sui giornali. Messaggi, foto, caricature, sfottò e polemiche viaggiano on line. A colpi di mi piace, da un cinguettio ad uno smile più o meno sorridente. In questo modo però ognuno parla al suo popolo.

Come le tifoserie di calcio. Se uno è dell’Inter non diventerà della Juventus perché l’allenatore bianconero ha vinto di più. Se uno è della Lazio non sventolerà la bandiera della Roma perché Totti ha dimostrato di essere più bravo in quel ruolo. Quindi, ogni schieramento voterà il proprio candidato a sindaco. Resta una fascia di persone che sui social non partecipa e che deciderà alla fine se andare a votare e come e chi votare.

Sociologi e filosofi stanno cimentandosi nella formazione del consenso di questi ultimi anni. Cercando di capire perché ha vinto Trump e perché ha trionfato la Brexit. Sistemi elettorali a parte, perfino il dibattito politico è diventato virtuale.

Vince chi fa più click? Non sempre. Ma intanto tutti a caccia della massima condivisione.

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