Giovanni, il mio compagno ingegnere divenuto frate (di L. Duro)

Foto: © EdeDPhotos/Enrico de Divitiis

L'album dei ricordi del professor Luciano Duro: già sindaco ed assessore, papà del Liri Blues Festival. Ma soprattutto custode di tanta memoria

Luciano Duro

Narratore e Sognatore

La macchina procedeva lentamente, si inerpicava per i greppi e per le balze, su per la montagna, la strada era sconnessa e non priva di pericoli, resi evidenti dalla presenza di materiale roccioso sulla carreggiata. Ecco apparire, in un paesaggio fiabesco, fra querceti secolari e boschi di faggio, la Certosa di Trisulti che si ergeva come guardiana della selvaggia vallata dei Monti Ernici. 

Non era la prima volta che mi recavo a Trisulti, da ragazzo l’avevo visitata su invito di Peppe Re che era affascinato da quel tempio che appariva ai suoi occhi come un monastero Buddista trasferito, per un magico gioco, dal Tibet alla vetta della Rotonaria. C’ero stato una seconda volta nel 1990 con Zoot Money, una leggenda del rock inglese di scena al “Liri Blues”. Visitammo la farmacia e Zoot volle comprare dei distillati ed estratti a base di erbe selvatiche prodotti dai monaci, secondo  procedimenti di trasformazione tramandati nei secoli. Fu in quella circostanza che incontrai,  Giovanni un vecchio compagno di scuola ai tempi dell’Istituto Chimico di Arpino: mi avevano riferito che dopo il conseguimento della laurea in ingegneria, si era chiuso in un monastero,  aveva preso i voti ed era divenuto un monaco cistercense. 

Entrò con passo svelto nella Farmacia, sembrava non aver tempo da perdere, ma alla mia vista si arrestò come sorpreso da quell’incontro inatteso. Non fu difficile riconoscerlo sebbene fossero trascorsi più di venti anni. Lui mostrò imbarazzo, si accarezzava il mento, voleva prender tempo per identificare quell’uomo il cui aspetto era familiare, poi un luminoso sorriso e un saluto affettuoso.

Sebbene indossasse il saio e una leggera peluria incorniciasse il volto, lo avrei riconosciuto tra una moltitudine di persone, così lo ricordavo e il tempo scivolò indietro come una pellicola che si srotolava mostrando ogni fotogramma. Lo vedevo seduto all’ultimo banco, non perchè volesse sottrarsi al controllo dell’insegnante, era il più alto e il più robusto di tutti.

Lo studio non era un pesante fardello, ciò che gli costava fatica era il viaggio. Veniva dalle campagne della Val di Comino, si alzava molto presto, percorreva un tratto a piedi per prendere il treno, forse per questo sia in inverno che in estate calzava scarponi da montagna, poi un autobus lo trasportava a scuola. Nelle stagioni fredde tornava a casa che era buio e studiava durante il tragitto. Si, lo vedevo ancora, con la faccia rubiconda, segno di salute e di floridezza che si associava all’aspetto lieto e gradevole di bambinone cresciuto in fretta, la sua età sembrava indefinita, non saprei,  potevi dargli dai 14 ai venti anni. Sebbene fossimo una classe di discoli dediti al furto delle merende, risparmiavamo Giovanni perchè sapevamo che quella sostanziosa “stozza” era per lui il pranzo giornaliero.

Fu molto gentile, ci accompagnò nella visita della Certosa e ci introdusse anche in ambienti non accessibili ai visitatori. Trisulti è un  luogo magico e misterioso, prodigo di messaggi ermetici. Ciò che mi sorprese furono gli  affreschi dipinti ai lati della volta, stupendi quanto macabri,  descrivevano una realistica “Strage degli innocenti”, ma ancor più mi avevano scosso le singolari sculture lignee che ornavano lo splendido coro e ritraevano personaggi buffi e deformi, insieme a  strani e mostruosi animali. C’era in quelle forme un qualcosa di esoterico, una simbologia non casuale, sicuramente riferita a dottrine e ad insegnamenti segreti, destinati a chi  stesse vivendo una particolare esperienza religiosa e mistica.

Chiesi a Giovanni spiegazioni. “Sono storie di secoli”, rispose mentre mi guardava negli occhi, quasi a scrutare dentro l’anima in subbuglio. 

Nella biblioteca sono custoditi 360 mila volumi – continuò –  essi potrebbero dare risposta alle tue domande“.

Nella storia delle religioni sono esistiti orientamenti di pensiero e dottrine riservate a pochi discepoli o iniziati, che ne rifiutano la divulgazione, occultandole in espressioni rituali, simboliche, mitologiche, che solo gli aderenti al gruppo possono comprendere. Le mura, le immagini e i manufatti ci rivelano che questo monastero fondato nel 1204, è stato teatro di antichi riti e controverse teorie, considerate non propriamente in linea  con all’ortodossia cattolica

Lo guardavo mentre parlava con voce ferma e sicura, non era più il ragazzo della scuola, così timido che se lo osservavi abbassava gli occhi per pudore.

Ci congedammo, “Tornerò a trovarti – dissi –  non so se mi troverai, non sono sempre fermo nello stesso posto, il mio destino è  andare vagando, da un luogo all’altro, da una chiesa a un monastero, non saprei tra qualche tempo dove sarò, ma non pensare che io sia un romantico Fra Gualdino, non faccio miracoli, e non sono un questuante in cerca di carità, viaggio in autobus, in treno, a volte cammino, non mi costa molto, sono abituato, da ragazzo, lo facevo per andare a scuola, ma quando cerco la pace e ho bisogno di solitudine, di raccogliermi in preghiera e di digiunare, vengo qui e prima o poi mi troverai. So che mi cercherai, hai tante cose da chiedermi e io tante risposte da darti”.

Zoot continuava solitario a scrutare l’interno della chiesa, noi ci salutammo, c’era un forte desiderio di abbracciarci ma un velo di timidezza lo impedì. Ricordavo quell’incontro mentre mi avvicinavo alla Certosa di Trisulti, da allora non l’avevo più cercato, ma una tragedia nel frattempo aveva sconvolto la mia famiglia. Nel marzo del 2003 mi aveva lasciato Massimo il secondo figlio, si era ammalato a 10 anni e se ne era andato a 23. Era trascorso un anno e non trovavo pace, la ferita sanguinava e come spesso accade in tali circostanze, si pensa sempre di non aver fatto abbastanza, per questo il dolore si accompagnava ad una profonda afflizione e rimorso. Dovevo dimostrami forte in casa, ma sentivo la necessità di confidarmi con qualcuno, pensai a Giovanni e alle sue prole di commiato: “So che mi cercherai, hai tante cose da chiedermi”. Non sapevo se fosse al monastero ma andavo avanti fiducioso.

Quando la porta si aprì chiesi al frate del mio amico e lui con cortesia mi fece entrare e pregò di attendere.

Arrivò, non lo vedevo da 13 anni, era invecchiato e camminava lentamente, come se trascinasse un peso, mi riconobbe subito, “sei tornato – disse – lo sapevo, sei una persona sempre in cammino che vuole scoprire, sapere, conoscere. Ti ho guardato attentamente l’altra volta,  ho scrutato nelle profondità del tuo cuore, non eri felice, eri triste: chi non conosce la tristezza non ha mai pensieri profondi”.

In quel momento ogni argine fu infranto e le parole uscirono dalla  bocca come un fiume in piena, raccontai di mio figlio degli anni della sua malattia, della disperazione e la consapevolezza di non poter fare nulla, nel vederlo andar via giorno dopo giorno.

Mi interruppe e parlò adagio e con voce flebile, come se pregasse: “quanto spreco di dolore c’è nel mondo! La tua ferita non potrà mai rimarginarsi e la sofferenza sarà compagna inseparabile nel corso della tua vita, ma  il dolore può renderci più profondi, può conferire luce al nostro agire e una risonanza più ricca alle nostre parole. Vedi è come dissodare un terreno   per renderlo adatto a ricevere la semente,  se così farai il grano crescerà alto e giallo e potrai raccoglierlo, quando ciò avverrà tu stesso avrai la percezione di essere migliore di prima”.

Non disse altro, fece un breve segno di saluto con la mano, poi le congiunse e andò via, lentamente così come era venuto, senza voltarsi. Lo seguii con lo sguardo fino a quando aprì una piccola porta ed entrò. Non ho più visto Giovanni, mi recai ancora  a Trisulti ma riferirono che era in giro e non avevano notizie di lui.