Il 25 aprile del socialista: il coltello per difendere la libertà (di L. Grassucci)

La commemorazione del 25 Aprile divide un Paese sempre più ignorante. Sempre meno consapevole delle proprie radici. E per questo più fragile. Il racconto, da sinistra, di Lidano Grassucci.

Lidano Grassucci

Direttore Responsabile di Fatto a Latina

Mio nonno aveva poche camicie, nessuna nera. Mio padre aveva qualche camicia in più, nessuna nera. Io ho delle camicie ma nessuna nera. E’ un filo, lungo, lungo. Un filo che non intendo spezzare.

Mi hanno insegnato che “gl’uomo non se leva mai i capeglio, manco dinnanzi agli papa“. Mi hanno insegnato: “Gl’omo po sta co gli amici fino alle 4 della domano, ma alle 5 se teta arizza e i a fadia“. Mi hanno insegnato che “la legge è quella degli rispetto se su rispettato“. E il coltello non è negato, il coltello taglia il pane, ci si sbucciano le mele. Ma se davanti hai un cane che morde, allora il coltello è la tua vita; se di fronte hai un cane rabbioso, il coltello è la tua libertà.

È uso “revisionare” la storia, i pavidi e i mediocri rivedono la libertà, gli uomini nello stesso passo stanno nel diritto a Resistere, il coltello del pane diventa di libertà.

Parole di Sandro Pertini, socialista.

“Il fascismo per me non può essere considerato una fede politica. Sembra assurdo quello che dico, ma è così: il fascismo a mio avviso è l’antitesi delle fedi politiche, il fascismo è in contrasto con le vere fedi politiche. Non si può parlare di fede politica parlando del fascismo, perché il fascismo opprimeva tutti coloro che non la pensavano come lui”.

Sono “le parole” per i liberi, senza se e senza ma.

Leggo e sento “revisionisti” aggiungere alla condanna al fascismo il però… però bonificò le paludi pontine, però edificò città. Ecco io sono di quelli che non scambio neanche un millimetro di mito per un ragazzo morto in Africa, in Russia, nei Balcani. Abbiamo aggredito 19 nazioni del mondo, siamo stati complici del più grande genocidio del mondo, ogni però è una bestemmia alla libertà e la libertà non si bestemmia.

Parole di Antonio Gramsci, comunista.

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”. 

Sono parole che spiegano la differenza tra vivere, ed essere partigiano, e non vivere ed essere complice e servo.

Il coltello di mio nonno serviva a tagliare il pane, a sbucciare le mele, ma se davanti un cane rabbioso mi dice quello che debbo fare quel coltello si chiama libertà.

Ora e sempre Resistenza.

E non è finita perché arriverà quello che vedeva Pietro Nenni, un vento : il vento del nord è atto di fiducia nelle popolazioni che per essere state più lungamente sotto la dominazione nazifascista, dovevano essere all’avanguardia nella riscossa. Era il riconoscimento delle virtù civiche del nostro popolo, tanto più pronte ad esplodere quanto più lunga ed ermetica sia stata la compressione. Era anche un implicito omaggio alle forze organizzate del lavoro ed alla loro disciplina rivoluzionaria. Ed ecco il vento del Nord soffia sulla penisola, solleva i cuori, colloca l’Italia in una posizione di avanguardia.”

Manca un pezzo, quello della Giustizia.