Il brigatista pentito, Paolo Villaggio e il memoriale Moro: 44 anni fa Via Fracchia

In queste ore di 44 anni fa l'odore di polvere da sparo era ancora dentro il covo BR di via Fracchia. E nonostante il tempo trascorso i misteri sono ancora senza una soluzione.

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Che “Mauro” fosse un pesce grosso questo Carlo Alberto Dalla Chiesa lo aveva capito fin da subito. Lo capì da quando quel Mauro là che in realtà si chiamava Patrizio Peci si era deciso a vuotare spontaneamente il sacco sulle cose più delicate e terribili delle “sue” Brigate Rosse.

Dall’inizio e per i pochi mesi a seguire che gli restavano da vivere il futuro Prefetto di Palermo si mise sempre a muso duro, quando gli nominavano Peci ed il suo ruolo. Dalla Chiesa sapeva essere lapideo e rigido come pochi, quando un’intervista prendeva la piega sghemba dell’irritualità delle azioni dei suoi Carabinieri. E su via Fracchia qualcuno aveva mormorato e proclamato cose non solo di giustizia, ma anche di vendetta e target mirato per le “barbe finte”. Giorgio Bocca ci provò, a ravanare in quella lettura con il generale: ma Dalla Chiesa gli rispose a muso durissimo che quei brigatisti avevano finto di arrendersi e poi sparato ad un suo maresciallo, in faccia, questione chiusa.

Come stava messa quell’Italia là

Patrizio Peci

Quando Peci venne arrestato l’Italia era da tre anni nel pieno di una tempesta di fuoco sovversivo. E quando fece il nome di quell’appartamento dove il gotha delle Brigate Rosse pare tenesse conclavi aprì un vaso di Pandora. Lo fece tenendosi sul vago, citando un appartamento in una strada in salita che ricordava bene. Questo perché aveva il nome di un notissimo personaggio interpretato da Paolo Villaggio in un film.

Anni bui, anni di piombo, in tutto il Paese, dove il piombo fischiava nelle carni. E dove la città di Genova era diventata il luogo di ripiegamento dei terroristi dopo i grandi blitz lombardo-veneto-piemontesi. La città era rossa per battage, metalmeccanica e portuale e facile al proselitismo ideologico. Non sarebbe stato così facile fare sodali, invece, perché Genova era più comunista che brigatista.

Sembrava che quel discrimine di sostanza fosse destinato a dissolversi. E forse stava davvero per accadere. Ma poi in quella Genova passò Sandro Pertini a rimettere le cose in chiaro: il partigiano – presidente non tremò davanti ai nazifascisti figurarsi se provava timore davanti a ragazzini con la pistola. Senza esitazione tuonò: “Non vi parla il Presidente della Repubblica, vi parla il compagno Pertini. Io le Brigate Rosse le ho conosciute: hanno combattuto con me contro i fascisti, non contro i democratici. Vergogna!. Silenzio. Assoluto. Sbandamento. Il discrimine da evanescente torna in un attimo orgogliosamente netto: comunisti e non brigatisti. Qualcuno iniziò a battere le mani. Ed alla fine un lungo applauso rabbioso suggellò la cacciata delle Brigate Rosse dal mondo delle fabbriche italiane. (Leggi qui: Quando le fabbriche chiusero i cancelli in faccia alle Br che uccisero Guido).

L’omicidio De Rosa a Cassino

Francesco Giangrande

Bisognava pescare tra gli operai e tirarci fuori adepti o fiancheggiatori. Come a Cassino, dove la Fiat di Piedimonte San Germano era sotto attacco per gli stessi motivi. Quei giorni tragici li aveva ricordati l’attuale coordinatore regionale della Uilm Francesco Giangrande di San Vittore del Lazio. Nel 1978 era un operaio. E quando venne ammazzato l’ex maggiore della Benemerita Carmine De Rosa che era capo dei servizi di sicurezza della Fiat di Piedimonte il gelo rovente del terrorismo si fece sentire anche all’ombra dell’abazia.

Quella morte brutale venne rivendicata dal gruppo Operai armati per il comunismo che avevano complici nello stabilimento. Il 4 gennaio, quando De Rosa venne ucciso, Giangrande era nel novero di coloro che trovarono negli spogliatoi i volantini di rivendicazione. (Leggi qui: Come fermammo i terroristi in Fiat. E come non capimmo gli operai).

Avrebbe detto il sindacalista: “C’era un contesto politico variegato con il quale il confronto diventava sempre più difficoltoso, sempre più difficile. (…) Dovevamo confrontarci anche con chi poi probabilmente aveva la necessità di andare oltre i limiti e oltre ciò che la legge imponeva di non fare“. Ecco, due anni dopo a via Fracchia quel veleno era andato a massa critica. Accadde tutto relativamente in poco tempo.

“Niente Ucigos, andiamo noi, punto”

Carlo Alberto Dalla Chiesa

Peci venne arrestato a febbraio ed iniziò a parlare con il colonnello dei Carabinieri Nicolò Bozzo, il braccio destro di Dalla Chiesa. Parlò molto, il capo brigatista, e dato che aveva partecipato alla Direzione Strategica genovese, fece il nome di quell’appartamento e di quella strada. I riscontri arrivarono dal fascicolo sull’omicidio di Guido Rossa, che pure citavano un luogo preciso di summit, perciò scattò il blitz.

Non dell’Ucigos della Polizia ma dell’Arma, con Dalla Chiesa che si impuntò e volle mettere in campo i suoi che fecero allontanare i poliziotti. Dopo sei giorni di sorveglianza scattò il blitz, erano le 4 del mattino del 28 marzo 1980. I carabinieri ci andarono armati come irediddio: non solo con i Pm12 e le Beretta ma anche con un fucile a pompa, un Benelli capace di sfondare pareti divisorie e porte, all’occorrenza.

La versione ufficiale è che il team bussò, invitò gli occupanti ad arrendersi ed entrò. E gli occupanti inscenarono una resa farlocca per poi aprire il fuoco e colpire in faccia un maresciallo che era entrato per primo in corridoio. A quel punto i carabinieri scatenarono un inferno di piombo che stese quattro brigatisti, ma non erano figure di primissimo piano. Erano Riccardo Dura, Lorenzo Betassa, Piero Panciarelli e la padrona di casa Annamaria “Cecilia” Ludmann. La fine di quell’inferno controverso coincise con una serie di indagini.

Quattro morti e l’ombra del caso Moro

Aldo Moro (Frame da ‘Aldo Moro 40 anni dopo’)

Indagini sui terroristi uccisi, sul ruolo di Peci e sul protocollo di ingaggio dei carabinieri di Dalla Chiesa. Qualcuno molto a sinistra gridò alla macelleria punitiva dopo la pubblicazione di foto che ritraevano i morti in posizioni eccentriche rispetto i verbali. E qualcun altro dallo Stato e con sentenza rispose che tutto era accaduto perché c’era stata la finta resa e la reazione. Ci fu anche chi, in zona barbe finte loquaci, insinuò una terza via di lettura dello scontro a via Fracchia.

Dalla Chiesa aveva fretta di fare irruzione perché Peci non gli aveva detto solo che lì c’erano brigatisti. No, Peci aveva parlato anche di documenti, carte roventi. Cioè il memoriale mai ritrovato e le bobine con i nastri di registrazione degli interrogatori ad Aldo Moro.

Per giorni interi i carabinieri impedirono l’accesso a via Fracchia a cronisti e perfino magistrati ordinari. Tutto questo mentre nel giardino adiacente l’appartamento qualcuno scavò come un ossesso, ufficialmente senza trovare nulla.

Il fascicolo scomparso

Enrico Deaglio tra Enrico Mentana e Lilli Gruber nel 1987 (Foto: Carlo Carino © Imagoeconomica)

Enrico Deaglio cita una frase che Dalla Chiesa avrebbe rivolto a Peci dopo il blitz: “Ora tutti nelle Br sanno che sei stato tu il traditore. Non ti resta che dire tutto e affidarti a noi“. E sì, Peci parlò ancora. E tanto. Tanto che per rappresaglia un anno dopo le Br gli ammazzarono il fratello Roberto. Era l’agosto 1981 ed un anno dopo lo stesso generale sarebbe morto sotto il colpi della mafia a via Carini a Palermo.

Nel 2017 un ricercatore universitario a suo tempo vicino all’eversione rossa ma mai censito a condanna penale perché prosciolto fece aprire un fascicolo di indagine. Chiedeva di fare luce sulla morte di uno dei quattro brigatisti di via Fracchia. Si cercavano riferimenti anche ad un’altra arma usata dai militari durante il blitz. Era un revolver che camerava colpi del 38 special, un’arma a tamburo spiccia, non in dotazione ai Carabinieri ma molto in voga come “seconda fondina” tra i membri del Servizi.

Arma che aveva fatto fuoco addosso a Panciarelli, solo che la relativa perizia balistica era finita nel fascicolo sulla morte di Dura. Quel fascicolo non venne mai trovato. Nei 37 anni trascorsi era scomparso dall’archivio. E con esso, forse e secondo un loop tristemente comune in quegli anni, un pezzo della verità su via Fracchia.