Il pantheon in un bus di Roma

Il tempo di poche fermate sul bus può essere sufficiente per scoprire un mondo intorno a noi fatto di mille sfaccettature. Ma tutte con lo stesso denominatore. Basta volerlo leggere

Lidano Grassucci

Direttore Responsabile di Fatto a Latina

Sono su un bus di Roma, luglio con un sole strano. Sopra, tre suore completamente vestite in bianco, sono sedute e conversano. Una fa da improbabile guida di una Roma che conosce poco ma racconta col candore che hanno le suore. Dietro una coppia di giovani, lei è velata, segno di un’altra fede. Chissà perché il Signore, per le religioni che lo onorano unico, vela le donne. 

Un Papa che durò pochi giorni, Giovanni Paolo I, alla sua elezione disse ai cardinali “Che il Signore vi perdoni per ciò che avete fatto” e poi candidamente aggiunse che “Dio è donna”. Forse lui voleva introdurre l’amore madre in un mondo in cui non vediamo nell’altro i figli ma Satana. 

Stanno sullo stesso bus, la suora spiega alle consorelle il Pantheon dicendo che è chiesa di martiri e non di ogni modo di pregare Dio. La signora velata parla in arabo con affetto al suo ragazzo. Le suore con dolcezza di una Roma dove i riferimenti sono le mille chiese e gli ospedali che hanno sempre nomi di santi o di pietà: “Vicino al Bambino Gesù‘”, dice.

Il sole invade il bus come se un signore misericordioso volesse dare a tutti la stessa luce. Eppure non lontano da qui, e anche qualche tempo fa qui, quella luce è chiamata in esclusiva per ciascuno, come se il mare sbattesse l’onda per il modo di pregare il medesimo Dio e non per la devozione con cui si fa. 

Qui a Roma le religioni non nascono, ma arrivano come si dessero appuntamento e poi la città le assorbe in quell’unico posto al mondo dove il tempo è inutile perché qui giocano con l’eterno. Se scavi trovi un altro modo, ma la stessa richiesta di pietà, se costruisci immagini quella pietà in cui stai. La preghiera è cosa che hai dentro prima che fuori, è il rispetto del creato che è diversità meravigliose e non uniformità deficienti (nel senso che mancano del resto).

A Roma tutto si mischia, turisti luterani ammirano le bellezze di San Pietro a bocca aperta dimentichi del distacco loro proprio per il “prezzo” di quella bellezza. E tutti di ogni Fede si ritrovano davanti alla Pietà che è l’amore di ogni madre per ogni figlio fosse anche il figlio di Dio,  ogni figlio per la madre è creatura di Dio.

Roma è delle suore ma qui i figli di Israele sono da 2000 anni, romani come si è romani a Roma perché si sceglie di esserlo. Sale sul bus un signore distinto, con gli occhiali, e in testa il copricapo degli ebrei. Le suore continuano il loro dialogo, la coppia di ragazzi dell’Islam il suo amarsi che è dei ragazzi del mondo e il nuovo entrato sorride per il sole. Ogni tanto queste persone così miti impazziscono e sterminano e escludono, e cancellano, e fanno pulizia come se quelle diversità fossero mostruose bestemmie all’unicità che è sì mostruosa. 

La suora racconta di come sono belle le fontane di Roma, ha un accento del nord Italia, le consorelle annuiscono, salgono giapponesi che pregheranno altrimenti ma…

Questa città ha la chiave per la gentilezza che è questa idea caduca del tempo presente per la convinzione di un tempo eterno. 

A Gaza si sparano, in Africa c’è chi uccide chi segna la croce, in Iraq bombardano i templi bestemmiando non il Dio di quel tempio ma ogni versione di amore di Dio.

La risposta, forse, era su questo bus prendere ciascuno la luce del sole per come arriva non pensando che questa è esclusiva di ciascuno ma ne avanza anche per far crescere il grano e mangiare domani.

Scendo dal bus, i turisti riempiono le strade, escono dagli alberghi indecisi dove andare perché sono a Roma e le strade finiscono qui, e quando sei qui sei arrivato e nessuno ti chiede: da dove vieni?