Il rancore di Luigino, il gelo di Conte: il Lazio prossimo laboratorio

Foto © Imagoeconomica, Stefano Carofei

Il veleno di Luigi Di Maio. Il gelo di Giuseppe Conte. Lo scontro interno al M5S. Due assessori della Regione Lazio tra i papabili ministri e sottosegretari. Uno in quota Gentiloni ed uno per Zingaretti.

L’agonia di Luigi Di Maio è lenta e rancorosa. Non ne vuole sentire di salire sul patibolo del nuovo Governo. Quello che verrà guidato ancora una volta da Giuseppe Conte. E nel quale avrebbe voluto essere lui a dettare i tempi e la linea. Sa che il varo del nuovo esecutivo coinciderà con la fine del suo ruolo: se rimarrà vice lo sarà solo di nome, il Conte 2 sarà senza i lacci del Conte 1. Niente spazio per badanti e premier occulti.

Il rancore dello sconfitto sta tutto nella nota che Luigi Di Maio legge appena uscito dallo studio del premier al termine delle consultazioni. «No a qualsiasi tipo di patrimoniale» che però, deve subito ammettere, nessuno gli ha chiesto di mettere. Inserisce una serie di temi che fino ad oggi non avevano fatto parte del confronto: «No a nuovi inceneritori, giustizia per le vittime del Ponte Morandi, subito il taglio dei parlamentari e un accordo con la Ue per la redistribuzione dei migranti». E poi: «Riforma delle adozioni ed i Decreti Sicurezza si tengono e basta». O è un tentativo disperato di sabotaggio o un modo per affondare con dignità e sperare di riciclarsi.

Giuseppe Conte

Oltre la porta, davanti al televisore, ascolta l’intervento il premier dal quale Luigino si è appena congedato. Giuseppe Conte è l’uomo al quale Beppe Grillo ha capito che deve affidare il MoVimento se vuole farlo diventare forza politica di spessore internazionale. Togliendolo a Luigino. Che fino alla fine prova a gufare: «Usiamo il condizionale per questo Governo perché o siamo d’accordo a realizzare i punti del nostro programma o non si va avanti». Lotta per la sopravvivenza, finge di contare qualcosa.

Chi era oltre la porta assicura che l’avvocato Giuseppe Conte, il premier con il fazzoletto a quattro punte che esce dal taschino, abbia avuto una reazione gelida. Trilla un telefono. È il notista politico dell’agenzia Ansa che gli chiede un commento. «Un discorso duro di Di Maio? Non l’ho sentito proprio» risponde Conte. Pare che insieme alla voce siano uscite dal telefono anche una nuvoletta di gelo accompagnata da un po’ di brina. Nello stesso momento, il Partito Democratico ha schierato i pompieri: sono loro a rispondere al telefono: «Un discorso duro? Sicuramente ad uso interno per mandare messaggi alle componenti del M5S e rassicurare l’ala meno favorevole al dialogo» è l’interpretazione non ufficiale che esce dal Nazareno.

Da assessori a ministri

A Luigino, l’astro discendente a Cinque Stelle, non vanno giù nemmeno le voci sui ministri, sul suo ruolo, sul fatto che sia Conte a voler avere un proprio spazio. A differenza di quanto accadde nel primo Governo quando gli fecero trovare tutto pronto e apparecchiato, lasciandogli solo l’incombenza della firma.

«Al presidente Conte abbiamo espresso il nostro sconcerto per questo surreale dibattito sugli incarichi. Era prevedibile che su tutti i media iniziasse a diffondersi il Totoministri con nomi improbabili e di fantasia. Ma non troviamo sano che questo dibattito contagi anche le forze politiche, soprattutto quelle più rappresentative. Le quali, invece, dovrebbero preoccuparsi di stilare un programma serio ed omogeneo per i nostri concittadini».

L’avvocato a quattro punte non lo sente nemmeno. Al Nazareno invece preparano un elenco: sono i nomi da sottoporre al premier per verificare se li ritenga appropriati per il suo Conte 2. Il Quirinale ha chiesto garanzie su alcuni ministeri chiave come l’Economia e gli Esteri. per gli Interni inizia a circolare il nome del prefetto Pansa.

L’assessore Manzella con l’imprenditore Borgomeo nello stabilimento Grestone di Roccasecca

In quell’elenco – dicono le indiscrezioni – ci sono anche due nomi che costringeranno ad avviare un mini rimpasto nella Giunta regionale del Lazio. Tra i possibili ruoli di governo potrebbe finire Lorenza Bonaccorsi assessore al Turismo e Pari Opportunità. È un nome molto caro a Paolo Gentiloni, se non ci sarà lui nel Governo allora esprimerà un nome che lo rappresenti. Sarà quello della Bonaccorsi, assicurano dai corridoi della Pisana.

Il secondo nome è quello dell’assessore all’Industria Gian Paolo Manzella, indicazione diretta di Nicola Zingaretti che lo ha voluto con forza nella giunta regionale del Lazio. A lui si affida quando ci sono tensioni con il mondo industriale: diplomatico, competente, esperto. Soprattutto fidato.

Laboratorio Lazio

Roberta Lombardi

La Regione Lazio governata da Nicola Zingaretti è stata un laboratorio. Lì gli sherpa del Governatore (Daniele Leodori, Mauro Buschini, Albino Ruberti) hanno costruito con pazienza il legame sempre più solido con il Movimento 5 Stelle di Roberta Lombardi.

La capogruppo grillina alla Pisana è tra le più convinte sostenitrici dell’accordo nazionale. La giunta del Lazio potrebbe diventare il primo laboratorio politico nel quale sperimentare l’intesa su scala locale.

È li che si giocherà la prossima partita. Lì la Lega tenterà di spostare lo scontro: alle elezioni regionali dei prossimi mesi. Le trasformerà in un referendum pro o contro governo giallorosso.

Anche Luigi Di Maio e Beppe Grillo lo sanno. L’unica via per evitare di far crollare tutto è una desistenza.

Piaccia o no. Non c’è altra strada.