Il Tramonto della piccola Nadia che ha fatto tramontare la mafia due volte

Il tramonto scritto in una poesia dalla piccola Nadia. Che aveva 9 anni la sera in cui venne ammazzata dalla strage dei Georgofili. La storia dice che fu il tramonto per la mafia stragista. Pochi ricordano che Tramonto fu il nome dell'operazione con cui è stato arrestato uno degli ultimi a volere quell'esplosione che uccise solo innocenti

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Il pomeriggio se ne va /

il tramonto si avvicina/

un momento stupendo/

Il sole sta andando via (a letto)/

È già sera tutto è finito”.

Nadia Nencioni aveva scritto questa poesia a fine maggio del 1993. Aveva 9 anni Nadia, ma sapeva già riconoscere la differenza fra un oggetto ed una sensazione, tra un satellite nel cielo ed un’occasione per sospirare. Sono cose che fanno i poeti, cose che non vanno più di moda come non va più di moda chi le prova. E che le sa scrivere in modo da farle provare agli altri.

Il tramonto evocato dalla piccola Nadia in quei suoi versi già adulti è la parola cardine di questa storia qua. Pochi giorni dopo aver messo quei versi su un quaderno di scuola arrivò il tramonto della breve vita di Nadia, che saltò in aria a via dei Georgofili assieme ai genitori Fabrizio Nencioni e Angela Fiume, alla sorellina Caterina che aveva visto la sua prima alba solo 49 giorni prima. Ed a Dario Capolicchio, che di tramonti ne avrebbe dovuti vedere altre migliaia, a contare che aveva solo 22 anni.

Il tramonto della voglia di capire

Un altro tramonto in questa storia fu quello della voglia di capire. Capire come mai qualcuno della mafia Corleonese si fosse messo in testa di spingere lo Stato italiano a scendere a patti sul 41-bis. E lo fece farcendo un Fiorino di 250 chili di tritolo rubato ai relitti affondati della Seconda guerra mondiale.

Tritolo macinato con la stessa cura pignola e massaia che mettono i maestri di torrefazione. Tritolo portato a Prato da esecutori che avevano dovuto far salire un capo mandamento a minacciare un fiancheggiatore riluttante a mettere a disposizione la casa per pianificare. Un tritolo laborioso, studiato, organizzato, messo in pacchi di peso uguale, simmetrici e acconci. Tritolo che aveva rubato tempo per riunioni, pareri, risate nelle pause a trincare vino schietto e a fumare.

E poi arricchito “da mani non mafiose”, avrebbero detto gli atti, con del letale T4. Acido nitrico ed esametilnetramina sposate in nozze nere al Tnt da cava per partorire la “Composition B“, l’Apocalisse di tutti i botti. Fu quella miscela aggiunta all’ultimo momento, che fece diventare quell’attentato che poteva essere una strage, una strage che solo strage poteva essere. La Torre de’ Pulci si sbriciolò come il gesso sotto il Piccone di Dio e fu il nulla.

Morì la famiglia Nencioni e l’incendiò appiccato dal botto alle residenze universitarie vicine bruciò la faccia e la vita di Dario. (Leggi qui).

Il declino degli stragisti

L’arresto di Gaspare Spatuzza

Il secondo tramonto di questa storia cominciò proprio con quello che accadde ai Georgofili. La misura era colma, lo Stato era alle corde e come tutti quelli messi all’angolo poteva fare solo due cose: soccombere o incassare la testa nelle spalle, arrivare al centro del ring e menare mazzate brutali, cazzotti di ghisa che partono dalla spalla e dal dorso. Lo facemmo e nessun carabiniere, poliziotto finanziere o magistrato trovò pace fin quando non si arrivò all’altro capo della miccia di quel tritolo.

Gaspare Spatuzza che era stato della partita assieme a quegli altri farabutti di Cosimo Lo Nigro, Francesco Giuliano, Giorgio Pizzo, Gioacchino Calabrò, Vincenzo Ferro, Pietro Carra e Antonino Mangano, si pentì.

Collaborò e parlò. E parlando disse che la strage di via dei Georgofili era stata decisa una sera da Giuseppe Graviano, Francesco Tagliavia e Matteo Messina Denaro. Fu il tramonto della mafia stragista che aveva portato lo scontro ad un punto di non ritorno, delle coppole storte che avevano seguito il Verbo Nero e parossistico di Totò Riina. Non a caso “U Curtu” quando Firenze pianse forte era in galera già da quattro mesi mentre il più sornione, palombaro e accomodante Binnu Provenzano sarebbe stato arrestato solo nel 2006. “U Tratturi lo diceva sempre: “Calati iuncu, ca passa a china” ma Riina… ohhh, Riina. Lui no, lui voleva fare alla Legge quello che le rock star fanno alle groupies.

Il terzo dei tramonti

Matteo Messina Denaro (Foto via Imagoeconomica)

E in una storia dove i tramonti abbondano e non si vede un’alba c’è il rischio che tutto vada perduto solo nelle iperboli. E che non arrivi mai la luce se non nel ricordo abbacinante di quella che ammazzò Nadia e gli altri. Ma per trovare l’alba ci voleva il terzo tramonto, quello che ha dato il nome al raid con cui il 16 gennaio marzo il Ros ha preso “U Siccu”. Perché magari ce lo siamo scordato oppure, persi sui social a disquisire saggi e studiati su quanto tardi fosse arrivato quell’arresto, non lo sapevano proprio.

Non lo sapevamo o non lo sappiamo più, che il nome dell’operazione con cui Matteo Messina Denaro è finito a render conto del sangue che ha fatto cuocere era Tramonto”. Come la poesia di Nadia, come quello che successe a quella mafia là. E come quello che faremo succedere a tutte le cacchio di mafie che ci bruceranno i figli mentre scrivono versi.

E sarà, finalmente, l’Alba.

(leggi qui tutti i corsivi di Piero Cima-Sognai).