Internazionale, i protagonisti della XXIV settimana MMXXII

I protagonisti della XXIV settimana del 2022 sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

I protagonisti della XXIV settimana del 2022 sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

UP

NORIHIKO HAMADA

Yen giapponesi @Toyota Municipal Museum of Art, Toyota city, Aichi pref.

Il sindaco è quello che ci mette la faccia quando le cose vanno bene e quello che deve tenercela anche quando le cose vanno male e non per colpa sua. Per questo la faccia di Norihiko Hamada, sindaco della città giapponese di Abu, ci è piaciuta pur non avendola mai vista. Durante la fase acuta della pandemia il primo cittadino aveva fatto richiesta dei fondi Covid che erano stati inviati a tutte le municipalità in diverse tranche, l’ultima delle quali in questi giorni. 

Ad Abu però non era arrivato un beneamato e Hamada ha indagato. E indagando ha scoperto la più grande fregnaccia del governo giapponese dai tempi della decisione di attaccare Pearl Harbour e stuzzicare il cane grosso. Quale? Nulla di che: i fondi erano arrivati e come, solo che per errore di un qualche funzionario a mollo nel sakè non erano stati distribuiti a tutti gli abitanti del paese, ma accreditati tutti insieme sul conto di un 24enne del luogo. Un 24enne ludopatico che se li è giocati tutti al casinò online. 

Ludopatico incallito

Riassumiamo: Tokyo spedisce i fondi covid ad Abu per un ammontare di 46 milioni di yen, pari a circa 340mila euro, ma il solo abitante di Abu che li riceve è un tizio che alle slot online si giocherebbe pure la madre. Upgrade in tutta la faccenda: il tipo è sfortunato come Paperino e invece di raddoppiarlo si mangia il capitale

E che ha fatto il sindaco Hamada dopo aver fatto l’antirabica? Ha denunciato il giovane e si è costituito parte lesa in un processo intentato in nome e per conto delle 463 famiglie della cittadina che aspettavano bonus lavoro e ristori. Al Guardian il primo cittadino l’ha cantata tutta e a dovere: “Avrei potuto solo dire che il comportamento di quel ragazzo è stato imperdonabile, ma dirlo e poi perdonarlo sarebbe stata una contraddizione“. 

Poi di taglio con la katana della saggezza verbale: “Ovviamente non ha i soldi per risarcire la comunità, ma ho fatto il conto delle ore lavoro che se venisse condannato ci deve: lo aspettano circa 12mila timbrate di cartellino, ed ogni volta finché sarò vivo e in carica mi troverà ad aspettarlo davanti al tornello“.

Primissimo cittadino.

JEONG MI-HEE

Jeong Mi-hee è una di quelle donne che a vederle diventare ricche un po’ ci godi. Perché da un lato ti viene l’invidia per quel che noi sei e dall’altro l’ammirazione per quel che altri sono stati capaci di essere. E nel vedere che, secondo Il New York Times, la signora in questione sta facendo i soldi con la pala con una birra artigianale sudcoreana la sensazione che nella vita tu non ci abbia capito una mazza cresce.

E con essa quella che la signora Jeong sia più draga dei draghi che da quelle parti una volta adornavano i templi. Jeong Mi-hee è una commerciante di alcolici che prima faceva man bassa di whisky nei duty free degli aeroporti e lo rivendeva in patria.

Ma prima di cosa? Del Covid, ovvio che ormai è diventato senza blasfemia come l’a.C dei libri di storia. Ma quando la pandemia ha stroncato ogni possibilità di viaggio Jeong si era dovuta guardare intorno e cercare lì dove le regole glie lo consentivano, cioè in casa.

Ed aveva notato che una birra di riso locale torbida come l’orzata e dal sapore leggermente acidulo, il makkolli, era diventato il must alcolico dei suoi compatrioti. I sud coreani se lo facevano in casa nei giorni del lockdown come noi facevamo con lieviti e pizze. L’idea di buttarsi in quell’affare è talmente piaciuta a Jeong che dopo aver studiato antiche tecniche di fermentazione con un mastro birraio ha deciso di fondare una sua marca di makkolli. La signora ha fatto tanto di quei soldi che oggi può permettersi di rivelare al NYP che la sua vita “grazie al makkolli è la vita di una regina”.

Tra birra e sake

Jeong è tra una dei tanti sudcoreani che hanno iniziato a produrre makkolli per la prima volta e una delle tante persone in tutto il mondo che hanno sviluppato un interesse per l’homebrewing durante la pandemia.

La rinascita di quella birra artigianale della Corea del Sud è in corso da almeno un decennio, ma il covid l’aveva fatta diventare un must non solo scacciapensieri ma economico. Il suo processo di produzione può essere “complesso come quello delle birre in stile belga e del sake naturale“. Chi lo dice? Alice Jun, una produttrice di makkolli che i soldi con la ruspa li sta raccogliendo addirittura a New York.

La bevanda fu bandita durante la brutale occupazione giapponese della penisola terminata nel 1945. Una catastrofe la seppellì ed una catastrofe l’ha riesumata, e birba chi dice che il mondo non mette in pari i suoi debiti.

A tutta birra.

DOWN

IL MI6

Foto Neil Moralee

I servizi segreti di Sua Maestà sono noti per essere fra i migliori del pianeta ed hanno una skill che a loro modo li rende unici: nella disinformazione pilotata sono maestri planetari davanti ai quali si tolgono il cappello anche i giganti di Israele, Giordania e Russia. E proprio in tema di Russia l’attenzione che il Military Intelligence della Sezione Sei ha riservato alle condizioni di salute di Vladimir Putin ha del maniacale. 

Per carità, quando un tiranno decide di giocare a scacchi con i carri armati su una parte della scacchiera che non è suo territorio sovrano che gli si prenda la temperatura ci sta, ma non si deve esagerare. Nel corso degli ultimi tre mesi e con una retro letteratura vecchia ormai anni di Putin si è detto: che ha in cancro, la leucemia, il Parkinson, che usa steroidi per una malattia misteriosa, che dovrà morire entro tre anni e che è già morto, dato che quello in giro per il Cremlino a firmare decreti per fare cittadini di Mosca gli orfani di guerra del Donbass è un sosia. 

E attenzione ché la combo perniciosa va chiusa: la più parte di queste informazioni i sedicenti “ex alti funzionari dei servizi” o addirittura anonimi effettivi discreti come comari da fruttarolo le passano ai media. Quali media? Non il Financial Times, che ha infilato lo scoop della prima bozza di accordo fra Mosca e Kiev, ma roba come il Daily Star Sunday, un tabloid insomma. 

Tra scialoni e supponenti
La sede del MI6 (Foto Holly Hayes)

Con tutto il rispetto per le testate di gossip è come se la vicenda del “nostro spione” Walter Alicò quelli di Forte Braschi l’avessero passata prima ad Alfonso Signorini e poi, magari con sussiego, al direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana. Gli inglesi, tutti gli inglesi, sono un po’ così: hanno questa nomea di rigore che poi sperdono in comportamenti scialoni e in stampa supponente che da tempo non è più modello planetario. 

Ma i servizi UK sono anche peggio: persi fra il dato della malattia di Putin come fatto o come target non sanno più se è una realtà da studiare o una prospettiva da sognare, e intanto la descrivono storicamente mentre lo zar il massimo dei problemi censiti che ha è quello della sciatica per una caduta da cavallo. Il fatto è che Putin è probabilmente l’uomo più sorvegliato del pianeta e se avesse un foruncolo sulla chiappa destra non lo saprebbe neanche quella sinistra.

Ma intanto la stampa inglese abbocca per fare click, quella estera copia-incolla perché ha fretta, lettori ed utenti social ingoiano l’amo con tutta l’esca ed il mondo attende trepidante e sicuro che Putin muoia mentre lo stesso Putin di prima prende un’aspirina e si mangia un altro pezzetto di Donbass.

Bravi ma non più bravissimi.

DONALD TRUMP

Donald Trump. Foto © Gage Skidmore

Da quel 6 gennaio del 2021 sono successe tante di quelle cose che alla fine lo abbiamo quasi rimosso: abbiamo dimenticato che per la prima volta nella sua storia la democrazia degli Usa era stata minacciata con le armi in casa sua e da suoi cittadini. E probabilmente abbiamo anche dimenticato che proprio quell’episodio forse ha contribuito a far maturare in Vladimir Putin la consapevolezza che non esistono sistemi di potere inattaccabili

Ecco perché il fatto che Donald Trump sia stato accusato di tentato golpe per l’assalto al Campidoglio rientra nel novero delle cose che hanno a che fare con la legge e non con la giustizia, perché la prima è neutra e la seconda è partigiana e veste i panni di chi via via la invoca. Il dato è che in prima udienza il capo della Commissione parlamentare d’inchiesta a cui è affidata l’indagine sulla condotta dell’ex inquilino della Casa Bianca non le ha mandate a dire. 

Bennie Thompson nelle prime due sedute ha indicato chiaramente Trump come “epicentro del tentativo di rovesciare il governo“. E ancora: “L’assalto al Campidoglio è stato il momento culminante di un tentativo di colpo di Stato. Se nel 1814 il Campidoglio è stato assalito da una forza straniera il 6 gennaio è stato assalito da nemici interni“. E chi avrebbe dato input e polpa legittimista a quei matti armati che fecero irruzione a Capitol Hill? 

Le colpe di Donald
Foto: Thomas Hawk

Fu Trump, che in quanto presidente uscente avrebbe potuto, no, anzi, avrebbe dovuto avere l’obbligo di fermare quell’onda suprematista che in lui si identificava completamente e che per lui era scesa in piazza. Ma lo scacco matto a Trump non è arrivato solo da una Commissione indipendente: se il pelo glie lo ha fatto Thompson il contropelo glie lo ha servito una donna del suo stesso partito.

La deputata repubblicana Liz Cheney è stata ancor più drastica: “L’obiettivo di Trump era restare al potere nonostante avesse perso le elezioni. L’attacco al Capitol non è stato un evento spontaneo“. Meme: Cheney è figlia di Dick, il vicepresidente di Bush accusato di aver creato ad arte il movente delle armi di distruzione di massa di Saddam e di aver scatenato praticamente una guerra del tutto inutile. 

E se perfino la figlia del più nero dei vescovi del conservatorismo Usa ha preso le distanze da Trump allora la distanza fra Trump ed il suo sogno di tornare alla Casa Bianca diventa fatto siderale e quello di assomigliare ad un leader democratico scompare. Forse definitivamente.

Le golpe di Donald