La banalità del male e del giudizio sommario sui ragazzi di Anagni

Perfino Eichmann ebbe un giusto processo al posto dell'ira di chi sterminò. E al di là dell'orrore il recupero resta una priorità

Paolo Carnevale

La stampa serve chi è governato, non chi governa

Nel 1960 il criminale nazista Adolf Eichmann viene arrestato in Argentina, dove si era rifugiato alla fine della Seconda guerra mondiale. Viene trasportato a Gerusalemme, dove si celebra uno dei processi più iconici della storia. Alla sbarra infatti non c’è solo il singolo criminale, colpevole di efferatezze senza nome nei confronti del popolo ebraico. Ma tutta la follia nazista che aveva preteso di riscrivere la storia, delirando di razza eletta e di ebrei da eliminare.

Per inciso, a quel processo partecipa in veste di inviata dell’autorevole periodico di reportage e commenti The New Yorker Hannah Arendt. Che forgia una delle espressioni più forti del ‘900, parlando di “banalità del male”. Assistendo alle udienze, giorno dopo giorno, l’inviata si farà l’idea che il male perpetrato da Eichmann (come dalla maggior parte dei tedeschi che si resero corresponsabili dell’Olocausto) non fosse dovuto ad un’indole maligna che è nell’animo umano. Ma ad una completa inconsapevolezza di cosa significassero le proprie azioni.

Semplificando. Il cattivo non è (quasi mai) un mostro. Non lo puoi etichettare come scarto malato della società; è invece una persona banale, come tutti noi. E questo rende quello che fa ancora più terribile.

Nessun mostro diverso, ma mostro “come noi”

Perché di fronte ad una cosa così dobbiamo ammettere che tutti noi, in un modo o nell’altro, possiamo, a seconda delle circostanze, cadere preda del male. Perché scrivo queste cose?

Perché da giorni non si discute di altro che della capretta di Anagni. Dei ragazzi che l’hanno uccisa a calci. Di quelli che non lo hanno fatto, ma erano lì a riprendere la scena, a sghignazzare, a sorridere.

Quei ragazzi sono diventati mostri. Simboli del degrado morale senza riparo di una società in cui tutto è apparenza e immagine. In cui il plauso dei social conta molto più della fatica quotidiana di assorbire dei valori. Quei ragazzi sono colpevoli? Ho visto i video diffusi, e posso confermare; sono scene agghiaccianti, terribili. Quei ragazzi hanno sbagliato e dovranno pagare.

E, per dirla tutta, sono molto critico nei confronti di chi cerca di sminuire quello che hanno fatto. Da chi parla di una capretta già agonizzante (come se questo riducesse la gravità della cosa) a chi sottolinea l’effetto dell’alcool sui giovani protagonisti. Tutto vero, tutto giusto. Ma questo non sminuisce affatto l’orrore del gesto. Per il quale i ragazzi dovranno rispondere. Però

Sputare in faccia non è diritto, né giustizia

In queste ore stiamo assistendo ad altro. Ad una campagna d’odio vera e propria. I ragazzi sono diventati idoli sacrificali, contro i quali gettare tutta la propria rabbia. Si va in piazza a mostrare le foto dei denunciati. Ed invocando (quasi) la pena di morte ed il diritto allo sputo in faccia. Passando per il degrado dei valori, ed il ritorno alla buona vecchia società. Quella nella quale (qualcuno lo ha dimenticato, mi sa) le botte si davano solo a casa e nessuno lo sapeva.

E qualunque parere contrario, qualunque invito al dubbio, diventa esso stesso nemico contro cui scagliarsi. Un rogo infernale, nel quale gettare i nuovi simboli del male, sperando che si allontani da noi.

Che c’entra in tutto questo, Eichmann? C’entra perché quando uno dei protagonisti della soluzione finale viene arrestato, il popolo ebraico avrebbe tutto il diritto di alzare la voce e di chiedere una punizione esemplare. Non lo fa. Ed al criminale tedesco, al simbolo del male, viene concesso un giusto processo. Perché nelle società civili di solito si fa così. E è quello che ci separa (ancora) dalla barbarie.

Fior di esempi, peccati e pietre scagliate

C’è un libro che mi porto dietro da anni; The road di Cormac McCarthy. Descrive lo sforzo immane di un padre che, in un’umanità sconvolta dal disastro, cerca di salvare, nel figlio, soprattutto l’innocenza, l’umanità.

Frame da Il battesimo di Gesù (Franco Zeffirelli)

Perché è vero che “homo homini lupus” (ogni uomo è un lupo per l’altro uomo); ma, come dice il figlio al padre nel libro, “noi siamo i buoni perché portiamo il fuoco”. Ed essere buoni, portare il fuoco, significa anche (pure se è difficile, pure se è quasi impossibile) concedere un’opportunità.

Fare in modo che chi ha sbagliato sappia riconoscere i propri errori. E magari provare a diventare una persona diversa.

Ce lo dice, circa duemila anni fa, un uomo che di fronte alla folla di ossessi che chiede la morte per un’adultera, dice “chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”.

Spesso i buoni cristiani che vanno in piazza a chiedere a lapidazione se lo scordano.