La malattia di Giorgia europeista è l’antieuropeismo

L'assemblea di FdI e i segnali di insofferenza verso Bruxelles, per far capire che l'eccesso di pignoleria sul Pnrr è un boomerang

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Di fatto le Elezioni europee 2024 sono un’occasione per tutte le grandi aree politiche che vi concorreranno. Ma non solo quello: sono anche una pistola non ancora fumante ma carica, pistola puntata dritta alla tempia degli equilibri che da quel voto dovranno uscire. Equilibri nuovi, oppure equilibri già consolidati. E perfino equlibri ibridi fra ciò a cui si punta e ciò che c’è già in carniere. E qui il problema diventa molto delicato, perché è esattamente questa la chiave di lettura dell’inaspettato rigurgito di “antieuropeismo” attribuibile a Giorgia Meloni.

La questione è antica e neanche fa più notizia: la premier italiana è una ex sovranista spinta passata dal “lato oscuro della Forza” all’apprendistato da Jedi. Una leader partitica che ha dovuto mettere da parte il suo Partito, le sue idee e la mistica delle origini perché è arrivata a mangiare il sale della terra dei governanti massimi.

Negare se stessi per stare ai vertici

Di quelli cioè che prima o poi sono costretti a negare il massimalismo che li armò ed a cercare soluzioni mediate, linguaggio soft e formule bizantine. E’ la politica baby e Giorgia Meloni non ha fatto eccezione, amen. Tuttavia, in occasione della recente assemblea di Fratelli d’Italia, la premier è tornata per un’oretta abbondante leader.

Ed è stato come quando certi rocker addomesticati da tempo rimettono il chiodo e riprendono la Gibson. La pancetta sparisce, l’occhio torna torbido e il riff di quando si spaccava il mondo è tornato a spararsi via dagli amplificatori. Per un attimo, giusto il tempo di un paio di frasi, nel soffitto della sala del conclave è tornato ad aleggiare lo spirito di Marbella. Quello e lo shining di quella “underdog” che proprio non ce la fa, ad essere altro da ciò per cui è cresciuta.

Un rigurgito? Uno sfogo dell’Es che ha dominato barbaro l’Io cosciente? Dioniso che mena di brutto Apollo?

Il falso rigurgito e la vera strategia

No, affatto, o quanto meno non solo quello. “Dobbiamo organizzarci al meglio per affrontare le europee. Abbiamo fatto qualcosa di impensabile in Italia, non c’è ragione di credere che non si possa fare altrettanto in Europa. Per questo dobbiamo aspettarci una campagna elettorale durissima, destinata ad infiammarsi mese dopo mese. Dovremo farla, come dicono gli spagnoli, con la ‘cabeza fria’ e il ‘corazon caliente’, così ha detto la premier che quando parla spagnolo dice tutto meglio.

Ma c’è un’altra narrazione che parla la lingua di un’Europa che così com’è inizia a star stretta a Meloni. Quella del piacionismo ipocrita sul tema dei migranti e quella che sul Pnrr si è fatta contabile pignola. Troppo pignola per un Governo che deve sbrigarsi a coprire i bluff di cassa.

E’ una narrazione che le fonti non attribuiscono direttamente a Meloni ma a colui che di Meloni è l’ugola basica. L’uomo che dice le stesse cose che Meloni pensa e che Meloni non dice. Così quando servisse che escano chi deve capire capisce e quando uscissero troppo urticanti non portano la sua impronta vocale. Giovan Battista Fazzolari è titolare di una delega in più rispetto a quella da Sottosegretario della Presidenza del Consiglio.

Fazzolari, l’uomo-ugola che a volte “interpreta”

Giovanbattista Fazzolari (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

E’ la delega alla comunicazione di Palazzo Chigi ma è delega a volte con polarità invertita. Cioè a volte Fazzolari non dice solo quello che Meloni gli dice di dire ma dice quello che lui vuole che dal Meloni-pensiero trapeli. Ed una delle cose che è riaffiorata con più forza in queste ore è la vecchia malattia esantematica di FdI, l’antieuropeismo represso di un partito che una volta all’Ue faceva pernacchie clamorose.

La polemica in realtà si è ammantata dei toni politici di bottega nella misura in cui in target ci è finito il Commissario all’Economia, il dem Paolo Gentiloni, ma il senso è un altro. Lui non è stato attaccato in quanto uomo del Pd, ma come custode della cassa di Bruxelles.

Il Foglio attribuisce a fonti di FdI una esternazione “di Fazzolari” ma riportata ed interpretata dalla fonte stessa, eccola. “Perché se pensano di prepararci imboscate in Europa, allora tanto vale che gli roviniamo il giocattolo, visto che noi siamo l’Italia e da noi non possono prescindere”.

Come Zingaretti alla Pisana con l’anatra zoppa

Capito il senso? Spieghiamolo meglio cambiando per un attimo tempo fronte politico e contesto istituzionale. Il governo della Regione Lazio di Nicola Zingaretti era stato in piedi ed aveva legiferato grazie al metodo de “l’anatra zoppa”. Grazie ad un capolavoro strategico di Daniele Leodori ed un capolavoro tattico di Mauro Buschini nacque un’architettura di governo fatta di equilibrismo in purezza. Con essa presidente di centrosinistra e consiglio diviso in 3 “non maggioranze” tra Pd, M5S e centrodestra riuscirono a fare il loro lavoro. Le quote decisionali erano state distribuite con il bilancino atomico nelle Commissioni e la Pisana aveva non solo resistito, ma aveva legiferato.

Ecco, oggi Ursula von der Leyen ha un problema molto simile ma su scala di singoli e plurimi governi nazionali. Come ha scritto Valerio Valentini su Il Foglio, non può dimenticare che in Italia oggi c’è “una maggioranza”. E “da cui, tra qualche mese, dipenderà almeno in parte il destino delle sue ambizioni di vedersi confermata alla guida della Commissione”.

Ma lady Ursula neanche può scordarsi dei fondamentali di economia di scala massima.

Ursula, l’equilibrista che “abbozza”

Ursula von der Leyen

Per cui ha anche “chiesto a Mario Draghi, una delle grandi menti economiche europee, di preparare un rapporto sul futuro della competitività europea”. Le serve un negoziato alla camomilla con Roma ma le serve anche che Ppe ed Ecr facciano massa critica per esautorare i Socialisti e Democratici. Perciò deve farsi fare un po’ le pulci da Raffaele Fitto sul Pnrr.

Ed un po’ deve blandire il governo europeo che presiede oggi. E farlo nell’applicare un rigore che con l’Italia non è mai eccessivo, a contare i pregressi.

Giorgia Meloni tutto questo lo sa benissimo ed ogni tanto cede alle lusinghe di un “antieuropeismo di ritorno” che però è poco ideologico e molto strategico.

Cazziare la vecchia nemesi: tattica e piacere

Certo, alla premier cazziare la vecchia nemesi di quando stava all’opposizione viene comunque bene perché la bottega primigenia quella è. Ma oggi bisogna giocarsela tutta sugli equilibri, sulle “anatre zoppe” e sugli uomini che meglio di tutti sanno tenere in piedi la loro impalcatura lessicale.

E se poi tutto questo dovesse far tornare sulla pelle di FdI quell’esantema antico e ricorrente di una Bruxelles “corsara” tanto meglio. Specie a contare che il Partito della premier, quello identitario che l’ha spedita per larga parte a Palazzo Chigi, è in credito di cose che Meloni non sa e non può più dire-fare come vorrebbe. Urlandole in piedi sul cadavere della Ragion di Stato che ogni tanto la lei che dentro lei abita vorrebbe uccidere.