Le Europee 2024 non saranno solo elezioni, ma un bivio della storia

Tra un anno non ci sono solo le Comunali. ma anche unm'altra scadenza elettorale che è decisiva per il futuro. E che ancora troppi non hanno capito

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

È da tempo che siamo usciti ormai dalla logica minimalista per cui le elezioni per il Parlamento europeo sono una tappa “secondaria” della vita politica dei singoli Stati membri che vi partecipano. Una volta, tanto tempo fa e già allora con gagliardi crismi di inesattezza, le Europee erano il “refugium peccatorum” per i trombati alle Politiche. Oppure erano il termometro farlocco, perché scollegato dai parametri territoriali, per misurare la forza di Partiti già forti.

Ma con quell’upgrade che a volte arrivava, le Segreterie ci costruivano solide mitologie di ritorno. E campavano liete o tristi per almeno un altro anno colonizzando le pagine politiche dei media con parole di trionfo o giustificazioni di maniera. Giusto il tempo per equalizzare la musica col nuovo spartito.

La musica è cambiata

Matteo Renzi al Parlamento UE (Foto Mathieu Cugnot © European Union – EP)

Erano dati che a volte in patria davano una guaina d’acciaio a formazioni e linee. Come accadde nel 2014 con il Pd di Matteo Renzi e con quel blasonatissimo 40,81%. Chiariamolo: non è più così da tempo ed in particolare per le Europee del 2024. Sono quelle che segnano i dieci anni da quel risultato a suo modo clamoroso ma da allora la musica è cambiata, radicalmente. È sinfonica, corale e con un’orchestra molto più grande, perciò se stona un primo violino o se solo un triangolo tintinna in ritardo la melodia va in vacca.

Non è un’iperbole infatti definire le elezioni per Strasburgo fissate dal 6 al 9 giugno 2024 uno snodo della storia, uno di quei gangli da cui dipenderanno le rotte del mondo intero, a considerare l’interfaccia con le altre grandi placche geopolitiche del pianeta. Cosa è cambiato? Moltissime cose e quasi tutte in un range temporale che in altri tempi ci avrebbero messo decenni per impercettibili viraggi e che oggi sono già rivoluzioni fattuali.

La pandemia ha reso l’Europa organismo più centralista di quanto non sia mai stato perché ha insegnato amaramente ai popoli che ogni lotta è comune. Questo ha in un certo senso preparato concettualmente il terreno, educando i cittadini a livello limbico ed una rispondenza “gerarchica” che prima si esauriva solo in fumose critiche alla moneta unica ed ai patti di stabilità visti come ceppi asfissianti ed illiberali.

I fondi, l’energia, la guerra

(Foto: Dominique Hommel © European Union – EP)

Poi sono arrivati i fondi del Pnrr e, a traino imprevisto, la guerra, la questione energia e i calendari da rispettare. Quattro anni fa un Consiglio d’Europa era quasi una pedante incombenza ed un’occasione per foto di rappresentanza fighe, oggi è uno step cruciale per capire dove andare e quanto si perderà o guadagnerà.

Ecco, lì, con lo scatto bellicista della Russia di Putin l’assetto è cambiato perché è entrato in gioco il tema delle sovranità nazionali mestate con le linee di Grande Area. L’Occidente si è sovrapposto come entità geopolitica fagocitante all’Europa, le Nazioni come luoghi decisionali hanno fatto un ulteriore scatto indietro e i grandi partiti di Strasburgo sono diventati sacche su cui calibrare i dosaggi di atlantismo. La Nato è divenuta Fattore Alfa e non più acronimo blando.

Tutto questo con gli Usa che con la presidenza Biden sono tornati ad essere ago di una bilancia su cui non tutti vogliono misurare le sorti e le scelte. Donald Trump era un mezzo guitto strambo ma con l’Europa aveva deciso di averci a che fare il meno possibile e quel callo lo avevamo dovuto piallare frettolosamente tutti.

Insomma, l’anno prossimo votare per l’Europa significherà come mai prima decidere da quale parte dovrà andare quella parte di mondo che dal capitalismo liberista gigione e infido sta passando la malattia “esantematica” del sovranismo pop e urlato. E tutto in un momento nel quale tutte le socialdemocrazie arrancano.

Il nodo concreto

Giorgia Meloni

Sì, ma nel concreto di cosa parliamo? Nessuno lo sa meglio di Giorgia Meloni e nessuno potrebbe spiegarlo più di lei. Forse meglio ancora della premier potrebbe spiegarlo solo Elly Schlein che in Europa è chiamata a tenere botta da “novizia” allo scandalo “Qatargate” e senza aver conseguito (non ancora almeno) risultati eclatanti nella Segretaria Nazionale. Ci si prepara ad una vera battaglia politica per decidere quale tipo di potere dovrà dare la rotta.

Da un lato gli urlatori che segnano col lapis l’irrilevanza dell’Unione Europea, dall’altro chi ne sostiene la irrinunciabile centralità e dall’altro ancora chi la vede come ghetto per libertà a volte appaiate a linee politiche primitive e brutali. La macro lotta sarà tra conservatori e progressisti e l’ago della bilancia sarà il Partito popolare, che ha in Forza Italia un membro storico, in Fratelli d’Italia un aspirante membro e nella Lega uno scettico osservatore.

Ma la lotta sarà anche su un altro piano: quello geografico: i paesi del Nord frugale, sparagnino e fiscale al punto da essere snob e quelli dell’area Mediterranea, plastici, non sempre ligi alle regole ed impegnati in prima linea nella questione dei migranti che ecumenica lo è solo a parole. E come quando si studiano i possibili diametri di un cerchio non mancano altre direttrici: i paesi dell’Est che vivono la frustrante condizione di “europei burini” e i grandi padri fondatori di un “club” che vede da sempre più sigari e brandy sui tavoli di Berlino e Parigi.

Atlantisti e non

Jens Stoltemberg (Foto via Imagoeconomica)

È finita? Assolutamente no perché manca la nota più dolente con la scriminante Nato: sarà una battaglia decisiva tra paesi filo-atlantisti e autonomisti anti-americani, il tutto con l’elemento cruciale di un calendario che per il 2024 mette in spunta che le Presidenziali per la Casa Bianca con annesse primarie. E da questi assetti tattici discenderà poi il Grande Braccio di Ferro sulle direttrici ideologiche. Tra un anno esatto si deciderà se l’Europa dovrà essere progettuale-ortodossa sull’ambiente o pratica senza quell’oncia di dirigismo che sul tema non sempre ha segnato rotte cristalline e risolutive. Se sarà un’Europa dei diritti di ogni scaglia di umanità o tempio di una sola umanità possibile, quella cosiddetta “giusta”.

Sono in ballo quindi rapporti si forza che segneranno molto più che il numero di sorrisi consolatori o di borbottii correntizi al Nazareno, a via della Scrofa o ad Arcore. E una cosa è certa, non saranno sorrisi o musi lunghi in perfetta sovrapposizione con le aree di demarcazione tra Palazzo Chigi e le opposizioni dell’Esecutivo. Se la maggioranza è infatti coesa in politica nazionale, è fratta e guardinga sull’orizzonte europeo. Giorgia Meloni e Matteo Salvini sono divisi a Bruxelles tra gli eurogruppi Ecr e Id, sono entrambi sodali con Viktor Orban la cui Ungheria dovrà assumere la presidenza dell’Unione nel secondo semestre 2024 secondo una logica che non piace a tutti.

E tuttavia sono scollati in maniera nettissima sull’approccio con il Ppe di Manfred Weber, la cui ala destra, fomentata ad arte da un Silvio Berlusconi sensale come non mai, spende la moneta dell’atlantismo spinto della premier per dialogare. Ma la cui ala sinistra è scettica e in quegli endorsement ci vede solo un maquillage per tenere aperto il coperchio del salvadanaio da parte di una premier che a Marbella urlava come un’aquila.

Sul filo del rasoio

Foto © Dmytro Kozatsky / Azov

E tutte queste faccende sono in bilico esatto e cruciale sul filo della lama della guerra in Ucraina, dello sdoganamento di Kiev per entrare in “famiglia” e dello “struscio” un po’ equivoco di FdI con l’arcigno Pis polacco. A Varsavia si voterà questo autunno ed anche lì il risultato farà massa critica sulla rotta generale e cruciale di questa grossa fetta di mondo di cui l’Italia è parte.

La destra vuole mettere all’angolo la sinistra, la seconda vuole resistere a quella che considera una gagliarda ma transitoria onda e nessuna delle due è granitica nell’intento perché nessuna delle due è coesa alla perfezione al suo interno e tutte sono farcite di falsi piani e “sub directory”. Ma prima quella assenza di coesione non pregiudicava i conti della serva con cui ogni singolo Partito invocava o ricusava il risultato per essere bullo all’interno della sua nazione.

Oggi il bullismo in ballo è quello che può portare mezzo mondo nel baratro o lontano dal suo ciglio. E piaccia o meno, succederà tutto tra un anno esatto, quando a votare ci andremo con la smorfia scettica di chi sta perdendo il suo tempo.

Senza sapere che sta decidendo il destino dei suoi figli in attesa a casa della paghetta per il primo mare della stagione.