La strage degli artigiani frusinati: in 10 anni addio a 2mila imprese

In soli 10 anni la Ciociaria ha perso 1910 realtà artigianali pari al 15,9% in meno del valore fissato al 2012. L'analisi Cgia è impietosa

Roberta Di Domenico

Spifferi frusinati

Il vecchio liutaio, affacciato sull’aia dell’antica casa in pietra sui monti di Arpino, sospirò guardando la vallata: «Ho fatto questo mestiere fin da ragazzino. Per le mani ho avuto strumenti straordinari che mi hanno affidato per restaurarli: li ho curati come se fossero bambini. Ne ho costruito alcuni dal suono celestiale, mi dispiaceva darli via ma è il mio mestiere. Ho un solo dispiacere: nessuno ha voluto imparare il mio mestiere e non mi riferisco a una o due persone che ci sono state; penso che qui avremmo potuto realizzare una scuola nazionale di liuteria. Quest’arte tra poco sparirà».

Sostituite i monti tra Arpino e Fontana liri, scegliete un’altro posto. Togliete il liutaio e sostituitelo con un falegname, uno stagnaro, un idraulico, un intagliatore del cuoio… il risultato sarà lo stesso. Chiedete a Isaia Biasini, artigiano per oltre mezzo secolo a Frosinone: chiamato a fare il mestiere quando trovò la scatola degli attrezzi del nonno; negli anni d’oro Bennato andava da lui a Frosinone per farsi fare cinture, borse, tascapane.. “I miei figli hanno preso altre strade e ragazzi volenterosi che volessero imparare il mestiere non ce ne sono stati quindi, anche questo, come molti altri, sarà un mestiere destinato a morire”. (Leggi qui: Il destino di Isaia nascosto in una scatola da calzolaio).

I numeri danno ragione, al liutaio e ad Isaia.

I numeri della fine

Isaia Biasini

Continua a diminuire il numero degli artigiani: in provincia di Frosinone come nel Lazio ed in Italia. Dal 2012 sono scesi di quasi 325 mila unità (-17,4%) e in questi ultimi 10 anni solo nel 2021 la platea complessiva è aumentata, seppur di poco, rispetto all’anno precedente. Lo dicono gli ultimi dati resi disponibili dall’Inps: nel 2022 si contavano 1.542.299 artigiani. I giovani sono sempre meno interessati a lavorare in questo settore e chi ha esercitato la professione per tanti anni ha raggiunto il momento in cui può andare avanti solo per hobby ma le energie non bastano più per continuare a farne un lavoro..

Stringe i denti chi non ha ancora raggiunto l’età anagrafica o maturato gli anni di contributi per la pensione. Spesso preferisce chiudere la partite Iva e continuare a rimanere nel mercato del lavoro come dipendente. Lavoratore che, rispetto ad un artigiano, ha sicuramente meno preoccupazioni e più sicurezze. L’analisi è stata condotta dall’Ufficio studi della CGIA di Mestre e resa nota oggi.

Poche botteghe, un pezzo di storia che va via

Sono ormai veramente poche in Ciociaria e nel Lazio le botteghe artigiane che ospitano calzolai, corniciai, fabbri, falegnami, fotografi, lavasecco, orologiai, pellettieri, riparatori di elettrodomestici e Tv, sarti, tappezzieri… Attività, nella stragrande maggioranza dei casi a conduzione familiare. Che con le loro botteghe hanno contraddistinto la storia di molti quartieri, piazze e vie delle città. Diventando dei punti di riferimento che davano una identità ai luoghi in cui operavano.

Per contro, i settori artigiani che stanno vivendo una fase di espansione sono quelli del benessere e dell’informatica. Nel primo si continua a registrare un costante aumento degli acconciatori, degli estetisti e dei tatuatori. Nel secondo, invece, sono in decisa espansione i sistemisti, gli addetti al web marketing, i video maker e gli esperti in social media. Artigiani ma non delle cose materiali bensì di un mondo virtuale nel quale ci stiamo perdendo.

L’aumento di queste attività è insufficiente a compensare il numero delle chiusure presenti nell’artigianato storico. Con il risultato che la platea degli artigiani è in costante diminuzione.  Il forte aumento dell’età media, provocato in particolar modo da un insufficiente ricambio generazionale ha spinto molti artigiani a gettare la spugna. E con esso la feroce concorrenza esercitata dalla grande distribuzione e in questi ultimi anni anche dal commercio elettronico, il boom del costo degli affitti e delle tasse nazionali/locali.

A mano? No grazie, meglio seriale e online

I consumatori poi hanno cambiato il modo di fare gli acquisti. Da qualche decennio hanno sposato la cultura dell’usa e getta. Preferiscono il prodotto fatto in serie e consegnato a domicilio. La calzatura, il vestito o il mobile fatte su misura sono ormai un vecchio ricordo.

Il prodotto realizzato a mano è stato scalzato dall’acquisto scelto sul catalogo on line, o preso dallo scaffale di un grande magazzino. Passata la moda si butta e se ne compra uno di nuova generazione anche se quello precedente funzionava benissimo. L’obsolescenza programmata non sta nella funzionalità del prodotto ma nel farlo sembrare superato.

Nell’ultimo decennio sono state Vercelli e Teramo le province che, entrambe con il -27,2% hanno registrato la variazione negativa più elevata d’Italia. Seguono Lucca con il -27%, Rovigo con il – 26,3%. Poi Massa-Carrara con il -25,3 %. Le realtà che invece hanno subito le flessioni più contenute sono state Trieste con il -3,2%, Napoli con il -2,7% e infine Bolzano con il -2,3%.

In termini assoluti, le province che hanno registrato le “perdite” più importanti sono state Bergamo con -8.441, Brescia con -8.735. Inoltre Verona con – 8.891, Roma con -8.988, Milano con -15.991 e, in particolar modo, Torino con -18.075 artigiani. Per quanto riguarda le regioni, infine, le flessioni più marcate in termini percentuali hanno interessato il Piemonte con il -21,4%, le Marche con il -21,6% e l’Abruzzo con il -24,3%.

In valore assoluto, invece, le perdite di più significative hanno interessato l’Emilia Romagna (-37.172), il Veneto (-37.507), il Piemonte (-38.150) e, soprattutto, la Lombardia (- 60.412 unità).

Ecco dove si è perso di più in Italia e nel Lazio

Videocolor Anagni, cinescopi di scarto (Foto © Pietromassimo Pasqui / pigeoneyes.com / LostItaly

Qual è la situazione nel Lazio? Considerati gli ultimi 10 anni e quindi il periodo 2012-2022, il Lazio ha fatto registrare una perdita di imprese artigiane relativamente contenuta.

Si è  passati, infatti, dalle 121.004 realtà del 2012, alle 105.447 del 2022. Con una perdita secca quindi di 15.557 imprese, che equivale al -12.9%. Mentre la media italiana è del -17.4%. E’ chiaro che questa flessione non così drammatica come in altre regioni, è stata determinata essenzialmente dalla Capitale. Roma risulta sempre attiva dal punto di vista della vivacità di impresa,  per evidenti ragioni legate al turismo. La sola provincia di Roma, invece, ed a conferma del dato oggettivo, ha registrato perdite significative, quasi 9000 aziende artigiane.

Quale è la situazione nelle Province? In questa particolare classifica, la provincia di Viterbo si colloca al 52mo posto su 103, con una perdita di – 1927 imprese artigiane nel periodo 2012-2022, che equivale al -18%.

Segue quella di Rieti, che si attesta al 62mo posto con una flessione di – 870 imprese che equivale al -17%. La provincia di Frosinone è al 74mo posto. Partiva da 12.021 imprese nel 2012, per arrivare a 10.111 nel 2022. Quindi in 10 anni si sono perse 1910 realtà artigianali, che equivale al -15.9%.

Meglio (relativamente) di tutte, le cose sono andate a Latina. La provincia pontina, infatti, si colloca al 83^ posto con una perdita nei 10 anni di -1862 imprese artigiane, che equivale in percentuale al -14.9%.