La tentazione di un Gesù modellato a nostro comodo

La meditazione settimanale del professor Pietro Alviti. La Chiesa non è strumento per il potere. La sua potenza è nelle parole di Gesù. Ma molti preferiscono farsene uno a loro dimensione. Il Risorto è altro.

Pietro Alviti

Insegnante e Giornalista

D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo. (Gal 6,17)

Una bellissima frase di Paolo: la scrive nella conclusione di una lettera rivolta ai Cristiani della Galizia, una regione dell’Asia minore. Comunità litigiosissima, i cui membri si schieravano continuamente gli uni contro gli altri, e vantavano di appartenere ora ad uno schieramento ora ad un altro.

Sì, perché anche dopo pochi anni dalla morte e dalla resurrezione di Gesù, il dramma della divisione e dell’ambizione dilaniò la chiesa delle origini, come avrebbe continuato a farlo nei secoli successivi, fino ai giorni d’oggi.

La Chiesa non è potere

Foto © Jacopo Romei

È come se i cristiani, invece di ispirarsi al modo di vivere del loro fondatore, quel Gesù di Nazareth morto in croce per testimoniare la verità e che essi credono sia stato liberato dalla morte e sia vivo in mezzo a loro grazie alla fede, alla speranza e alla carità, cerchino di utilizzare la religione, le liturgie, i simboli della fede cristiana, come strumenti di potere

C’è uno svolazzare di mantelli, ordini, insegne, tonache che sembra far più caso al lato estetico che alla dimensione della carità, ai posti nelle processioni e nei convegni che alle situazioni terribili che vivono tante persone e che bussano alle porte delle comunità ecclesiali.

È come se la fede diventasse una specie di bandiera, una iattanza, da utilizzare come arma, per dividere popoli e nazioni, per rinforzare quello schieramento o quell’altro.

La tentazione di un Gesù a propria misura

Invece di essere discepoli del Gesù dei vangeli, si preferisce farsi un Gesù a propria misura, modellato sui propri desideri.

Non ubbidire a Dio: piuttosto farsi un Dio che dica esattamente le cose che dico io. È una delle tentazioni più gravi per i discepoli di Cristo, una tentazione che abbiamo visto serpeggiare anche tra i discepoli dopo la resurrezione. Non riconoscono il loro Signore perché se n’erano costruito uno a loro dimensione, a loro comodo: il risorto invece è tutt’altro, è un modo nuovo di concepire il mondo, è un messaggio che salva, tutti i giorni.

Quella è la stigma di Gesù, quel segno che entra in ogni aspetto della vita dei cristiani, che li conforma al loro Signore, perché si comportino in ogni momento nella stessa maniera in cui si sarebbe comportato Gesù.

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