La valigia di mia figlia (Il caffè di Monia)

Una figlia che prepara la valigia per la vacanza d'estate. E solo a quel punto scopri quanto sia cresciuta. perché ora non fa più le valigie da ragazzina, ma da donna.

Monia Lauroni

Scrivere per descrivere

Una normale mattinata d’agosto. Caldo boia, sudore, gatti che miagolano e il solito, tranquillo trambusto quieto di casa al mattino. Mia figlia dorme nel suo lettino, mio padre è uscito per la solita stanca passeggiata, mia madre ha già intercettato la cosa che non le sta bene e che può quindi divenire l’incipit della giornata, tutta la giornata, di solite tuonanti discussioni. Tutto regolare.

 Mi siedo al PC, scorro veloce notizie che non mi interessano, più per sfinimento che per menefreghismo. Dal piano di sotto sento uno strano movimento. Di cose, di oggetti, di cadute.

Oddio i ladri! No, i ladri non fanno rumore. Mio padre improbabile, non fa più rumore da tempo. Mia madre è in cucina a finire il solito soliloquio mattutino. Chi altri potrebbe essere se non lei? S’è svegliata! Strano che sia nel ripostiglio, qualcosa le sarà balenato in mente. E non sarà certo una cosetta da poco. 

Sale le scale trascinando cose che dal rumore non riesco a distinguere. Me la vedo arrivare con in braccio e a traino valigie improponibili per numero e per dimensioni. E borsoni che non vedevo più dagli anni ‘80. Stralunata, scompigliata, spettinata ma felice: “Ciao ma’, io vado in vacanza”. A vederla sembra più che dovesse partire per il servizio di leva. 

Torna in camera e inizia a riempire tutto. La guardo e azzardo: “Ma quando parti, dove vai?” E lei con l’aria più naturale del mondo: “Tra tre settimane, mi faccio quattro giorni a Ischia”. Tra tre settimane, quattro giorni? Non commento, spero di aver capito male. Ma no è proprio così. 

In effetti con ventuno giorni di anticipo la casa si può svuotare meglio. E poi non bisogna mai trascurare quanto sia importante il look giusto al momento giusto, anche se ad un primo sguardo può sembrare molto casuale.. 

Sia che si vada ad Ibiza, sia in un isola dispersa nei mari del Pacifico, è fondamentale tenere alto il nome della Moda. “Dai mamma, ho messo dentro solo quattro straccetti”. Quelli che possono sembrare straccetti acquistati in spiaggia sono in realtà copricostume di Cavalli, parei ricavati da pregiati tessuti indiani, sandaletti fatti a Capri e cappelli made in Panama. Tutto soffocato in una delle valigie, nell’altra ha compresso direttamente Roberto Cavalli. Meglio portarlo con sè, hai visto mai servisse una consulenza! 

Al mare è sempre opportuno sfoggiare quello stile un po’ trasandè, tanto per non sembrare pignole. Per questo la ricetta di mia figlia playa edition, dosi per cinque giorni, prevede sette bikini più uno intero che non metterà mai. Cinque copricostumi: vestitini, micro pants e canotte, kaftani vedononvedo. Un havaianas colore basic. Un tocco di Zara. Due sandali rasoterra colori mix; facciamo tre tanto ingombrano poco. Un tacco passepartout. Una zeppa. Un jeansino chiappealvento. Cinque vestitini frou frou. Un vestito figo. Un pantalone lungo. Un qualcosa che funga da pigiama. Due occhiali da sole. Un qualcosa da mettere sulle spalle se dovesse fare freschino. Chili di magliettine. Chili di biancheria. Borse giorno/sera quanto basta. Chili di bojoux.

E ancora trucchi, creme, detergenti, profumi e un punto vendita della Sephora. Piastra e Phon. Mia figlia non prepara la valigia, prepara il “non si sa mai”. Quando dovrò accompagnarla farò prima a caricare la macchina sulle valigie. 

Lei è una donna ormai. Sono io che non l’avevo capito. Due concezioni diverse che fanno sorridere, intenerire a volte imbarazzare. 
La prima volta che ha visto il mare la tenevo per mano, in uno spazio che segnava il confine tra terra e cielo. Lei ha affondato le piccole mani nella sabbia e l’ha gettata nell’aria aprendo la sua piccola bocca in una risata che, per un attimo, mi ha fermato il cuore. 

E’ vero, è una donna, ma per me che so guardare, i suoi occhi tradiscono ancora sogni di bambina impegnata in chissà quali avventure. 

Se un giorno parlerà di me, non voglio che pensi a ciò che le ho dato, non voglio che ricordi ciò che ho fatto, ma le lunghe attese silenziose, le notti passate seduta senza dormire a guardarla nel suo splendore, il tempo lunghissimo che ho dovuto percorrere per intercettare la sua rotta impercettibile e lontana dal mio spazio sterminato degli eventi. 

Se un giorno parlerà di me, non voglio che ricordi quello che ho scritto, ma che pensi alle parole che mi sono rimaste dentro e che non ho saputo raccontarle, alle storie che ho voluto dimenticare, a quello che avrei dovuto darle e non ho mai avuto il fegato di cambiare. 
Quel giorno, se un giorno parlerà di me, quando non la potrò ascoltare, voglio che senta la mia mano che stringe la sua e che nonostante la distanza siderale, la accompagna ancora. E ancora. 

Come in questa vacanza d’agosto, io lei e le sue valigie, piene di sogni.