L’Ulivo-bis di Bonaccini: centrale, centrato, centrista. E smart

A 10 mesi dalle Europee il presidente dem prende il largo ufficialmente e fonda una "non corrente" che però sembra proprio una corrente

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

La strada, ribadita anche a Cesena, è quella di “un Partito che diventi perno delle altre forze alternative alla destra”. E di un “centrosinistra nuovo e credibile, aperto al civismo, capace di battere la destra nelle urne, non nei sondaggi. Nelle parole di Stefano Bonaccini, presidente Dem, ci sono una soluzione di continuità ed una linea di frattura.

La continuità è quella, ormai in loop, che appartiene alle formazioni politiche grosse di calibro ma propense alla cilecca. E perciò stanche dei colpi a salve. Il Pd deve diventare sbranatore di avversari e non starlette di Ipsos o della Media Youtrend. O alunno diligente che rosicchia punti ai primi della classe e ci costruisce sopra la mistica della riscossa. Perché poi succede che la riscossa non arriva, che i sondaggisti diventano capri di espiazione e che al Nazareno si contano i morti o ci si lecca le ferite.

La linea di frattura di Bonaccini è più sottotraccia ma lessicalmente presente. E’ il centrosinistra, non il Pd, che deve tornar nuovo e credibile.

Un’iniezione di Terzo Polo e di cattolici

Stefano Bonaccini (Foto: Marco Merlini © Imagoeconomica)

E per farlo deve finirla con le sirene penstastellate e tornare alla primigenia “cazzimma”: quella dell’Ulivo di Romano Prodi. Attenzione, la pianta in questione ha radici solidissime e rami fruttiferi in maniera direttamente proporzionale alla solidità delle radici. Fuor di metafora botanica il senso è chiaro: più Terzo Polo e più centrismo se si vuole tornare centrali perché si viene tutti da lì. Ecco, per ufficializzare la sua “nuova linea” il presidente Dem si è dimostrato agronomo fine.

Lo ha fatto lanciando la sua corrente che corrente non è ma che corrente pare in tutto e per tutto: “Energia Popolare”. E lo ha fatto con un timing millimetrico che parla la lingua dei seminatori bravi: in estate, nell’estate del 2023 ed a dieci mesi dalle Europee 2024. Traduciamo: il correntismo atavico del Pd deve restare cifra di merito ed elemento di ricchezza, tuttavia va rivisto in certe sue iperboli.

Tuttavia, per adesso nessuno tocchi troppo forte la linea del Congresso sennò ci si passa per sabotatori insider.

L’Energia popolare e la scadenza delle Europee

Elly Schlein (Foto: Andrea Calandra © Imagoeconomica)

Se quella attuale si schianterà sulle casematte del voto per Bruxelles-Strasburgo allora ci sarà una linea nuova di pacca, rodata e soprattutto formattata sui grandi congressi regionali. E sarà la linea del segretario “in purezza”, quello indicato dagli iscritti ma non eletto dai “laqualunque”, il gradimento dei quali aveva messo in arcione al Nazareno la problematica Elly Schlein.

Due cose sottotraccia. Bonaccini non sta aspettando il cadavere della segretaria sulla riva del fiume e non è un meschino con velleità di sciacallaggio. E’ solo un politico accorto e quadrato che sta preparando il terreno in caso di necessità e che, qualora necessità si palesasse, lascerà ad altri l’onere di parlare di “vendetta” per il sorpasso di marzo. Anche perché il presidente dei dem ha ancora un bel po’ di gatte da pelare dopo aver tenuto a battesimo la sua creatura.

Giochiamcela in comicità: Bonaccini vuole superare il correntismo del Pd: perciò si fa una sua corrente. Contro il correntismo. Come da uso corrente. Per correre senza correnti.

Essere plurali senza più essere dei perdenti

Ma filando dritto verso una situazione in cui si potrà tornare a parlare di correnti Pd senza necessariamente associare questa natura polimorfa ad una scoppola elettorale. Ecco perché il ruolo del governatore dell’Emilia Romagna è centrato tutto su un’idea di alternativa che rimetta in asse il partito con l’elettorato medio. Schlein le dice grosse e sui temi etici è una maga, ma i temi etici sono stati il tarlo che ha eroso la credibilità elettorale del Partito Democratico. Lo hanno fatto non certo perché essi non siano fondamentali, bensì nella misura in cui essi sono grossi gangli dialettici ma non grandi vettori di consenso.

Non è che Schlein non dica o faccia cose pratiche, ma in Italia vige da sempre questa dicotomia strana. Si tratta di un paradosso per cui i temi etici escludono a prescindere ed automaticamente quelli tecnici, terragni e concreti.

Perciò proclamarli ti mette nella casella dei “belli che non ballano”. O che ballano ma solo in piazza. Ne sanno qualcosa gli intellettuali in purezza, dileggiati da decenni dai tanti piccoli “cumenda di paese” che fanno crudelmente pesare macchinoni e rozzezza su citazioni classiche e fame. Non lo fanno apposta, semplicemente per loro il prezzo batte tre a zero il valore, e amen. Nella politica italiana la verve praticona è tornata di moda un po’ ovunque, specie dove Bonaccini spera di trovare alleati di ceppo unico.

L’uomo-mastice: il professor Romano Prodi

La maggioranza degli italiani che non vota a destra ha aspirazioni più tridimensonali e vuole lotte sui temi sociali. E quello è un terreno su cui la Schlein palesa il disagio di un freak giramondo catapultato in una bocciofila. Ecco, in Italia oggi hanno più peso d’urna quelli che provano a centrare il boccino che quelli che cantano “ho visto lei che bacia lui” al Pride. E’ un problema di anagrafe e di flussi eccentrici rispetto all’astensionismo: i vecchi votano ancora, i giovani molto meno. Bonaccini lo sa ma sa anche che non tutti nella sua corrente sono d’accordo sul voto ai congressi regionali solo per gli iscritti.

Romano Prodi

Perciò gli serviva un uomo-mastice, un vecchio saggio che garantisse per la sua scelta ortodossa. Bene, quando nel centrosinistra le cose vanno bene si fanno fare gli editoriali a Corradino Mineo. Quando vanno maluccio si chiama Romano Prodi che mette a bouquet tutte le rotte possibili e ne indica una sola, mediana e mediata.

E il padre dell’Ulivo non è mancato alla kermesse con cui il presidente dem ha messo sul tavolo da gioco “Energia popolare”. E ha detto: “Voglio raccogliere l’appello di quanti ci hanno chiesto di non disperdere l’energia popolare che abbiamo messo nel recente congresso e farla vivere pienamente nel Pd”. Furbo ed efficace perché chiama in causa anche i votanti “sciolti” di Schlein.

Il laboratorio del Lazio

Daniele Leodori eletto Segretario

La linea ha un prodromo sul quale non può evitare di confrontarsi, quello del Lazio. Lì si è andati oltre le correnti rafforzando le correnti. Al Congresso regionale quasi la totalità del Pd ha votato per Daniele Leodori come Segretario Regionale del Pd. Ma invece di fare un listone con quote divise a tavolino s’è deciso di contarsi davvero: cinque liste e a sostegno del futuro leader e chi porta i voti ha più peso. Sono nati così i nuovi equilibri di un Pd regionale unitario ma plurale.

A cascata, Frosinone ha subito preso atto ed il Segretario provinciale Luca Fantini ha azzerato una Segreteria provinciale che era espressione di equilibri ormai superati; era figlia della contrapposizione De Angelis vs Pompeo che ora è superata dai fatti. La nuova non viene ancora varata perché all’interno della nuova macro area che mette insieme l’ex presidente della Provincia Antonio Pompeo, l’ex deputato Nazzareno Pilozzi ed il componente della Segreteria nazionale Danilo Grossi tutti erano convinti di essere il leader. E di andare a fare il vice di Fantini.

Ma al di là di questo aspetto di percorso, il modello c’è e funziona. Nel Lazio ha preso forma un Pd ampiamente rinnovato nel quale sono nate nuove aree e ci sono gli amministratori locali che portano la loro esperienza.

Un Pd agile, smart, capace di mantenere le differenze ideologiche senza farle steccato. E di fare massa sulla funzionalità e non messa sulla singolarità. Senza per questo rinnegare la dialettica interna, ma senza neanche farla diventare un martello frangivetro di tafazziana memoria.

Come ci muoviamo: sintesi e maggioritario

Francesco De Angelis, Presidente Pd del Lazio

Bonaccini ha le idee chiare ma non le esplicita tutte tutte: “Se ho accettato di essere il presidente del Partito è perché sento, come tanti, una duplice responsabilità”. Eccola, la dicotomia eterna dei dem, la giostra di macchinine in aria che deve piantarla di fare guai. “Far vivere nel confronto democratico quel pluralismo di culture, idee e proposte che solo può garantire piena cittadinanza a tutte e tutti”.

Ma “al tempo stesso quella di ricercare la sintesi che rinnova la vocazione maggioritaria con cui il Pd lo abbiamo fondato”. La sintesi è una “non corrente” che possa diventare fiume madre tra qualche mese ed accoglierne a sua volta, di correnti. Non è un’alternativa ad Elly Schlein ma è pronta a raccogliere i cocci delle sue iperboli. Non è una giuria dell’evanescenza della segretaria ma di quell’evanescenza non si fida, non la processa ma la teme.

Di essa e del “cerchio magico” che la mette in tensione elettrica nel dibattito politico italiano. L’emorragia dei moderati è un guaio grosso e Bonaccini per ora si candida a tampone, come l’allume di rocca che i nonni usavano nel farsi la barba. E nel momento di massima frizione tra le guance del Pd della Schlein e il M5s di Giuseppe Conte nel Pd c’è qualcuno che indica una messe da raccogliere, anzi no: da recuperare.

Realpolitik contro sogni: il derby dem

È quella che se ne sta nascosta tra le pieghe di ciò che dicono Carlo Calenda, Matteo Renzi e soprattutto i centristi cattolici del Pd.

E’ la realpolitik di Lorenzo Guerini, Graziano Delrio, Piero Fassino e Matteo Orfini che sfida la narrazione favolistica dei vertici. Quella e la tigna di chi rinfaccia a Bonaccini di essere contro le correnti ma “solo contro quelle degli altri”, come predicano i rumors dall’area Franceschini.

Da questo punto di vista ha fatto fede la lectio magistralis sul centrosinistra di Romano Prodi: “Bisogna fare una grande proposta riformista”. Attenzione: dire “riformista” nell’epoca della polarizzazione che impone Schelin significa schierarsi, e non con Schlein.

Non con colei che in Campania ha ingaggiato un duello personale con un satrapone come Vincenzo De Luca ignorando che alle Regionali in lizza sul fronte avverso potrebbe esserci Gennaro Sangiuliano. E ancora: “Una proposta riformista attorno alla quale fare le alleanze, non seguire la strategia dei piccoli partiti.

Il governatore della Campania Vincenzo De Luca © Imagoeconomica

“Dev’essere chiaro che serve una coalizione ampia per vincere le elezioni. Se invece si vuole perdere, si continui pure ad andare divisi”. La parola chiave è “ampia”. Non settaria perché settoriale sulle skill etiche, ma grande, che abbracci tutti quelli che almeno una volta hanno votato per la creatura nata al Lingotto.

Tutto questo senza far passare Bonaccini per golpista, ma solo per collettore quasi passivo e sornionamente gnorri di un clima che non premia l’attuale linea. E che ove non la premiasse al voto Europeo del 2024 diventerebbe terreno fertile per il nuovo Ulivo di Bonaccini. Che allora gnorri non sarà più, ma pronto, arcipronto per una cosa che sapeva già prima. Ed alla quale ha pensato in tempo.