Il dramma delle marocchinate e la loro battaglia con lo Stato (Storie nella Storia)

In accordo con il Centro Documentazione e Studi sul cassinate Cdsc-Onlus ed il Comune di Colfelice vi proponiamo a puntate un capitolo del volume «Liberatori? Il Corpo di spedizione francese e le violenze sessuali nel Lazio meridionale nel 1944». L'intero volume è disponibile presso il Cdsc Onlus

Gaetano De Angelis Curtis

Università di Cassino Laboratorio di Storia Regionale Dipartimento di Lettere e Filosofia

Poiché la questione delle «marocchinate» continuava a trascinarsi nel tempo, fu l’Unione donne italiane (Udi), un’organizzazione per l’emancipazione femminile sorta nel 1945 e di cui era presidente l’on. Maria Maddalena Rossi131, deputato del Pci, che a inizio degli anni Cinquanta del Novecento se ne fece carico organizzando un’«affollatissima» manifestazione, svoltasi il 14 ottobre 1951 presso il Supercinema di Pontecorvo132.

Alla manifestazione presero parte, in rappresentanza delle 60000 vittime della violenza sessuale. Circa 500 «delegate» che, in quella domenica mattina, per la prima volta parlarono pubblicamente delle violenze subite. Senza più vergognarsi. In apertura Adriana Molinari, anche a nome dell’Associazione donne del Cassinate, propose che venisse effettuata una «petizione popolare da inviare al governo per chiedere adeguati riconoscimenti»133.

In sostanza le richieste avanzate riguardavano il «sollecito disbrigo delle pratiche giacenti presso l’intendenza di finanza di Frosinone per l’assegnazione delle pensioni»; la «liquidazione degli arretrati di pensione»; la concessione di un «assegno di cura», come avveniva per i tubercolotici, al fine di «impedire efficacemente il diffondersi delle malattie contagiose, derivanti dalle violenze subite»; la distribuzione di «medicine e cure gratuite»; la «creazione di un centro per la lotta contro le malattie contratte in seguito alle sevizie dei marocchini»; l’obbligo di sottoporre a visite mediche immediate «tutti i bambini appartenenti alle famiglie delle ‘marocchinate’»; e, infine, il riconoscimento dei «parenti di primo grado dei trucidati dai marocchini» alla stregua dei congiunti «dei morti in combattimento»134.

 

Alla manifestazione fece seguito la presentazione alla Camera dei Deputati di una interpellanza, depositata dall’on. Rossi come prima firmataria e da altri parlamentari (gli onn. Perrotti, Psi, Vigorelli e Cornia, Psdi, Natoli e Borellini, Pci), tesa a conoscere i motivi per i quali, «a sette anni dalla fine della battaglia di Cassino, non [fosse] stato ancora provveduto alla liquidazione delle 60 mila pratiche di pensione e di indennizzo delle donne di quella zona che subirono violenza dalle truppe marocchine».

 

Negli stessi momenti un’altra interpellanza con la quale si chiedeva se il governo non ritenesse «necessario affrontare radicalmente ed organicamente il problema con una serie di provvedimenti atti ad indennizzare le vittime e ad arrestare le conseguenze del male» fu presentata da cinque parlamentari socialdemocratici (gli onn. Zagari, Vigorelli135, Preti, Matteotti e Mondolfo). Le due vicende, manifestazione di Pontecorvo e interpellanze parlamentare, trovarono eco nella stampa nazionale. Ampio spazio fu offerto da giornali come l’«Avanti», «L’Unità!», «Paese Sera» o periodici come «Crimen».

 

Le due interpellanze furono discusse congiuntamente alla Camera dei Deputati nella seduta notturna di lunedì 7 aprile 1952. Nella sua lunga e dettagliata illustrazione, l’on. Maria Maddalena Rossi fece una specifica e appropriata disamina della questione dal punto di vista sociale, sanitario, assistenziale. Citava i casi più eclatanti delle violenze subite. Anche da donne settantenni e ottantenni, da suore, da preti. Ricordando i brutali assassini di bambini, di genitori, di mariti che tentavano di difendere l’onore e di sottrarle agli stupri le proprie figlie, le proprie mogli, le proprie sorelle nella trentina di paesi delle province di Frosinone e di Latina percorsi dalle truppe coloniali francesi (Pontecorvo, Sant’Angelo, San Giorgio a Liri, Pignataro, Ceccano e quindi Esperia136, Castro dei Volsci137, Vallecorsa138, Pastena139).

Ricordava che «dodicimila donne avrebbero, dunque, subito violenza da parte delle truppe marocchine e sarebbero state contagiate» così che negli anni 1944, 1945 e 1946 altrettante domande di indennità erano state presentate alle autorità competenti. 

(segue)

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