Peppalacchio e Peppa, sposi del Carnevale

Peppalacchio e Peppa, sposi del Carnevale. La festa prima del digiuno. Per ricordarci che ogni posto ha la sua maschera e che siamo in un mondo in cui comandano le donne e gli uomini ci mettono solo la faccia, come carnevale

Lidano Grassucci

Direttore Responsabile di Fatto a Latina

La dì di giovedì grasso, s’ha sposato Peppalacchio, si l’ha messa sotto ‘mbraccio i l’ha purtata a culicà!

Quando fu la mezzanotte si senteua nu gran rumoro era Peppo co la moglie che si steuano a culicà!

Nino Manfredi quando doveva spiegare una cosa partiva dall’ambientare l’esempio: prendiamo un paese a caso, Roccasecca. Perché lui era di vicino a Roccasecca: i natali se li contendono Pastena e Castro dei Volsci dove effettivamente vide la luce, ma nel paese delle grotte ci visse fino a quando il padre, guardia di Pubblica Sicurezza, venne promosso maresciallo e trasferito a Roma. Io sono di Sezze e prendo un paese a caso: Sezze.

È Carnevale ed oggi finisce in cenere Peppalacchio che, in realtà, è novello sposo perché si è sposato con Peppa appena giovedì scorso con gran festa. Grande festa come può una maschera fatta di canne e paglia, una maschera senza pretese di contadino di palude. Ora non so se ama Peppa, sta di fatto che lei aspetta il domani e lo faceva da prima del matrimonio (poi dice che i miei contadini non erano progressisti). In realtà Peppalacchio conta poco in un paese in cui comandano le donne e gli uomini ci mettono solo la faccia, come carnevale.

La festa prima del digiuno

Peppalacchio dato alle fiamme (Foto © Compagnia dei Lepini)

Peppa certo oggi si dispiacerà della morte del consorte ancora giovane e bello, ma secco tanto da bruciare con la velocità… del fuoco. Si lamenterà con le commari dello strappo che la vita gli ha riservato di quel rinsecchito amato, ma cercherà le fortune sue per la vita che porta in grembo e non è certo figlio a Peppalacchio.

Una storia di feste e libagioni prima della quaresima e dei suoi digiuni, di inverno da scacciare via e di grano nuovo a marzo. Pappalacchio… sta in quegli uomini scuri di sole che in palude picchia forte, di pelle di cuoio, che partivano con il nero del buio ed il sole in collina non l’hanno visto mai che tonavano che era di nuovo buio.

A Carnevale Pappalacchio brucia è suo destino, scalda ogni vicino, lei invece è signora e sarà madre.

Ah, scusate dimenticavo le sarache (aringhe affumicate) che ricordo bene, è l’unico pesce che ho conosciuto di persona forse cugino del baccalà. Con le sarache si onorano le braccia della maschera, perché del contadino è buono tutto. E quanto ne hanno sfamati con pane e profumo di saraca, che appesa con un filo dal soffitto alla tavola insaporiva di solo odore il pane nudo.

Ogni posto ha la sua maschera

Peppalacchio e Peppa (Foto © Compagnia dei Lepini)

Mi scuserete di questa storia, forse manco rigorosa su quel che avvenne giovedì scorso e questo martedì in corso. Ogni posto ha la sua maschera, noi ne abbiamo due per amore di mamma e per quel contadino che finisce arrosto, ma con dentro tanto vino.

Dimenticavo non sono maschere dotte, maschere che ridono, sono solo canne, paglia e fili di fieno, storie di un paese a caso il resto è fantasia. Dicono che sia roba dei romani antichi, di dei e leggende, io dico che fanno divertire tanto i bambini e questo basta, anzi avanza.

(Dedicato a Umberto De Angelis, detto Farza e a Rosolino Trabona che questa tradizione hanno fatto vivere)