Il piano di Zingaretti per salvare i Dem: sindaci e associazioni

Pd, la ricetta di Zingaretti: alleanza civica con sindaci e associazioni per salvare i dem. Il governatore propone di esportare il modello Lazio: una rivoluzione interna al Pd e apertura a territori e società civile "Vanno ridefiniti un pensiero strategico, la nostra collocazione politica, le forme del partito e il suo rapporto con gli umori più profondi della società italiana"

Giovanna VITALE
per La Repubblica
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Dopo l’uno due politiche-amministrative che ha messo ko il Pd, in casa democratica si moltiplicano le ricette per ricostruire dopo la vandea elettorale. Ma se c’è chi, come Carlo Calenda, propone di “andare oltre” il partito al quale si è iscritto da appena tre mesi – “Il Pd deve fare un congresso, eleggere una segreteria costituente che abbia l’obiettivo di rifondare quello che io chiamo fronte repubblicano e chiedere ad altri mondi, dalla scuola al sindacato, di aiutare a costruire il nuovo centrosinistra“, ribadisce l’ex ministro ai microfoni di “Circo Massimo” su Radio Capital – c’è chi questa contaminazione l’ha già sperimentata con successo: Nicola Zingaretti.

Un laboratorio, il suo, che gli ha consentito di vincere le regionali quando altrove, e dappertutto, il Pd perdeva. Presentandosi come il leader di un campo largo, aperto al civismo e all’associazionismo, ai comitati di quartiere e ai semplici cittadini: il volto della “alleanza del fare”. Partecipata da centinaia di sindaci (solo nel Lazio 220 su 370, altrettanti fuori, compreso l’eretico Federico Pizzarotti), che oggi pomeriggio si ritroveranno nella palazzo della Regione per studiare le prossime mosse.

Perché questo è quel che Zingaretti si è messo in testa di fare: riprodurre su scala nazionale il “modello Lazio”. Per salvare il Pd da se stesso e dal gioco di correnti che lo sta soffocando, trasformandolo in qualcosa di più ampio e coinvolgente: “Un’alternativa di popolo” la definisce lui proprio negli stessi giorni in cui il popolo sembra aver definitivamente abbandonato le “roccaforti rosse”. L’ex segretario dei giovani comunisti lo dice in modo esplicito, stavolta: “Dopo le allarmanti difficoltà che abbiamo attraversato e confermate da un grande numero di ballotaggi persi nelle città italiane non bastano semplici aggiustamenti. Tantomeno povere analisi di circostanza. Un ciclo storico si è chiuso. Vanno ridefiniti un pensiero strategico, la nostra collocazione politica, le forme del partito e il suo rapporto con gli umori più profondi della società italiana, l’organizzazione della partecipazione e della rappresentanza nella democrazia”.

Due le gambe su cui fondare il progetto del “nuovo centrosinistra“. Una rivoluzione interna al Pd che solo un congresso in tempi brevi può realizzare: per ridiscutere tutto e fissare la data delle primarie necessarie a dare un’investitura forte al futuro leader. Al tempo stesso guardare fuori, costruire un’alleanza tra sindaci, associazioni, territori, il mondo dell’ambientalismo e del volontariato: con le migliori energie che il Paese è in grado di esprimere, e il Pd a far da perno e cerniera.

Perciò all’assemblea in programma il 7 luglio l’opzione di eleggere Maurizio Martina segretario (scelta tra l’altro caldeggiata dai renziani, gli stessi che la bocciarono poco più di un mese fa) rischia solo di allungare l’agonia di un partito in preda a una crisi profondissima. Meglio accelerare – si ragiona nell’inner circle del governatore – così da stanare gli avversari del vero rinnovamento. Lui stavolta c’è. Non si tirerà indietro. E giovedì si ritroverà in piazza a Trastevere con i due neo-eletti minisindaci del III e dell’VIII municipio di Roma strappati ai grillini: per festeggiare la vittoria di Amedeo Ciaccheri e Giovanni Caudo, esponenti di un centrosinistra che ha vinto nonostante il Pd (per la precisione battendo i candidati ufficiali alle primarie di zona).

Un messaggio forte e chiaro.

 

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