Il balletto del Pil, come leggere davvero i numeri

Secondo l’Istat – l’istituto centrale di statistica italiano – il Pil è cresciuto dello 0,4% durante i primi tre mesi del 2017. E se paragonato allo stesso periodo del 2016 la crescita è addirittura pari all’1,2%.

Le cose non sono semplici come appaiono.

 

LA NOTIZIA ORIGINALE

Il comunicato diffuso dall’Istat è chiaro solo per i laureati in Statistica.

 

«Rispetto al trimestre precedente, il PIL ai prezzi correnti, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è diminuito dello 0,1%, il deflatore del PIL è diminuito dello 0,6%. Il deflatore della spesa delle famiglie residenti è cresciuto dello 0,7%, mentre quello degli investimenti fissi lordi è diminuito dell’1,6%. Il deflatore delle importazioni è aumentato del 2,1% e quello delle esportazioni dell’1,0%»

 

UN PO’ DI VOCABOLARIO

Proviamo a capirci qualcosa, spiegando ad uno ad uno i termini.

Il Pil (prodotto interno lordo) è quanto valgono tutte le merci finite e tutti i servizi prodotti in un Paese durante un dato periodo di tempo. Cosa vuole dire quando i giornali annunciano “Il Pil è cresciuto dello 0,4%” ? Si intende che è cresciuto il valore di merci e servizi prodotti oppure che abbiamo prodotto di più.

C’ un concetto chiave da tenere presente. Gli annunci della stampa fanno riferimento al “Pil reale“. Cosa è? In termini tecnici è ‘Il Pil al netto dell’inflazione’ Vediamolo in pratica.  Se Fca produce nello stabilimento di Cassino mille Giulia a 40mila euro, poi l’anno successivo fabbrica sempre mille Giulia ma le vende a 41mila euro, ha solo aumentato il prezzo. Non ha prodotto in più. Il prodotto “reale” è sempre mille Giulia. I mille euro in più sul prezzo sono inflazione.

Allora come si calcola questo Pil reale prima di darlo ai giornali? Bisogna prendere quanto ci è costata la produzione delle mille Giulia. E togliere ‘l’inflazione del Pil‘ cioè quanto sono cambiati i prezzi delle cose che Fca ha dovuto comprare per fare la produzione; quanto è cambiato il prezzo che pago allo Stato per i suoi servizi. Si tiene conto solo degli acquisti fatti in Italia, perché stiamo calcolando il prodotto Interno.

L’indice dei prezzi che abbiamo appena utilizzato per “deflazionare” il Pil si chiama “deflatore del PIL”. Non necessariamente deve coincidere  con l’aumento dei prezzi al consumo, con il quale facciamo i conti noi comuni mortali.

Resta da comprendere un ultimo termine. E’ il “Pil ai prezzi correnti”. E’ il Pil (quanto valgono tutte le merci finite e tutti i servizi prodotti in un Paese durante un dato periodo di tempo) usando come unità di misura il prezzo realmente pagato.

Perché, quali altri prezzi potremmo usare per fare il calcolo? Potremmo usare i prezzi costanti di un certo anno, scelto come “base”. In questo secondo caso si avrebbe il PIL reale.

 

 

E ADESSO RILEGGIAMO

La crescita sbandierata sui giornali è poco più di un’illusione.

In pratica, quello 0,4% è stato determinato dal fatto che i prezzi sono calati più velocemente del Pil corrente. 

E che comunque il Pil corrente è calato dello 0,1%.

Non è una bella cosa quando cala il Pil corrente. Perché vuole dire che circolano meno soldi. Il calo nella circolazione del contante è un brutto segnale: meno soldi girano e meno si spende; più si tarda a saldare i conti.

 

 

L’ANALISI DELL’UNICAS

Un’ulteriore spiegazione arriva dall’Università di Cassino. E’ l’economista Vincenzo Formisano a fare l’analisi. «Dobbiamo scavare ancora più in profondità per arrivare alla causa che ha provocato questo effetto. Scavando, scopriamo che sono aumentate del 30% le scorte. Anche le scorte sono ricchezza prodotta. Ma dobbiamo domandarci: perché sono cresciute le scorte. Se sono ordini in attesa di essere consegnati, allora è vera ricchezza. Ma se sono prodotti invenduti o eccesso di produzione, allora è ricchezza effimera».

In che modo lo si può stabilire? Se sono scorte in attesa di essere consegnate lo si vedrà nel giro di un mese «cioè entro il periodo in cui è lecito attendersi la consegna di quei beni. Solo a quel punto, con i dati dei successivi 30 giorni, potremmo stabilire se siamo in presenza di un’economia che cresce in maniera concreta».

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