Quel passamontagna scomodo che Grillo ha messo in testa a Schlein

Per il passamontagna che Beppe Grillo ha messo in testa ad Elly Schlein ci vorrebbero tre teste, una per ognuna delle faccende che ha innescato. Trasformando il Pd in una polveriera

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Indubbio che sia un simbolo, tristemente normale che scatenasse iperboli, ovvio che sia diventato movente. Per il passamontagna che Beppe Grillo ha messo in testa ad Elly Schlein ci vorrebbero tre teste, una per ognuna delle faccende che ha innescato.

Quella della rievocazione storica in purezza di un periodo buio la cui simbologia ha fatto da usta, in un Paese dove il lessico è pieno di trabocchetti; poi la testa della diarchia sbilanciata in seno al Movimento Cinquestelle che bascula fra un “Padre” dogmatico ed un “Figlio” costretto ad ingoiare rospi. Infine la testa più calda, in queste ore rovente, quella di un’affermazione che ha volutamente rimesso in graticola le contraddizioni di un Pd più vulnerabile alle trappole interne che ai cimenti con gli avversari.

Per inquadrare bene la questione serve un timing. E serve quel tanto di buon senso che metta in angolo i facili opportunismi. Fare un gol facile senza aver riconosciuto la perfetta geometria dell’assist è da furbi, ma non dà la cifra della realtà, piuttosto l’utilità politica delle sue letture.

La dinamite di Beppe

Beppe Grillo (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Da tempo ormai Beppe Grillo è come Alfred Nobel: ha inventato la dinamite ma sui suoi utilizzi accampa scuse da libero arbitrio. E’ un padre fondatore che emerge dalle quinte pentastellate o con estemporanee uscite sul Blog delle Stelle o che si fa vivo nei momenti topici. E dice cose che non sono più perfettamente equalizzate con il nuovo corso che ha impresso Giuseppe Conte al movimento. Attenzione però: Conte non può sconfessare, non ancora almeno, ciò che Grillo dice. Al più lo usa con il cinismo necessario di chi sa che “il capo” esagera in lessico ma “ci prende in merito.

Perciò approva, conta i cerchi che il macigno fa in acqua e rilancia, sapendo perfettamente di aver accentuato quel divario su cui punta a consacrare il M5S come sola opposizione credibile e dura al governo Meloni.

Il dato due – la seconda testa – è più contorto ancora perché riguarda un ambito dove i contorsionismi sono causa ed effetto al contempo. Il Pd a trazione Schlein. La Segretaria dem è persa tra la ricerca di un improbabile campo largo, una combo ad intermittenza in cui sulle istanze sociali prova il tandem e il mantenimento di una linea da opposizione responsabile. Perciò sui distinguo insormontabili se la gioca in purezza. Contro il precariato Pd e M5S sono quasi omologhi ma sulle armi all’Ucraina stanno agli antipodi.

Da questo punto di vista la Schlein si trova a corteggiare il Movimento con il coefficiente di rischio elevato: quello di sposare una causa e a dover divorziare da essa dopo che quella causa è stata messa in iperbole descrittiva o che ha preso vie infide. Come accaduto con Grillo, che per indicare la via evoca il “passamontagna” e le “brigate” e tira fuori dalla naftalina gli Anni di Piombo e gli orrori che da essi derivarono.

La polpetta avvelenata per Schlein

L’abbraccio tra Elly Schlein e Giuseppe Conte

La terza testa è quella dell’occasione politica irripetibile che Grillo ha creato. Di una polpetta avvelenata e pericolosa non tanto per il veleno in sé; quanto per il numero di fauci pronte ad addentarla, ciascuna con il suo dente di elezione.

E qui scatta il timing. Schlein arriva alla manifestazione indetta da Conte armata delle buone intenzioni della possibile sodale in cerca di massa critica per arginare il Governo. Alla stessa fa irruzione Grillo che mette agli argomenti il vestito lessicale della Storia Scomoda. E Schlein si ritrova in un vespaio dopo aver creduto di stare in un prato di farfalle pop. A quel punto gli avversari tarano il mirino sotto i cento metri a sparano al piccione. Avversari interni, perché sono stati soprattutto i riformisti Dem a capire che un’occasione così forse non l’avrebbero avuta mai più.

Se la Segretaria di un Partito che è figlio della sconfessione diretta degli anni di piombo si ritrova ad un evento che all’improvviso ne celebra l’agiografia formale poco conta la forma, specie se quel Partito è fatto di anime multiple una delle quali rimanda direttamente a chi di estremismi e terrorismo fu bastione primevo. Perciò apriti cielo e via di dichiarazioni che hanno tarantolato il web. E di dimissioni pesantissime come quelle di Alessio D’Amato nel Lazio. Ma anche e di assist per un Terzo Polo che mai come in queste ore si sente autorizzato a bacchettare i “cugini pivelli”. (Leggi qui Terremoto D’Amato nel Pd alle urne).

La saggezza crotala

Matteo Renzi (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Attenzione ché qui scatta la saggezza crotala di Matteo Renzi. Il senatore-direttore non ha messo alla berlina il Pd di Schlein perché è andato in convinto endorsement alla chiamata alle armi di Grillo, ma è stato più sottile. Egli, che usa più il curaro che l’accetta, ha lasciato trasparire il gonzo candore di un Partito e di una Segreteria che si vanno a cacciare nei guai di una situazione equivoca. Come fanno i bambini che comprano le sigarette dopo aver visto fumare i bulli del quartiere. E che meritano più reprimende che fiducia.

Tre teste per un passamontagna solo, e forse per un solo scopo: sabotare con uno spettro, contando sul fatto che in Italia fanno più male le sedute spiritiche che i ring di carne ed ossa. E che da noi qualche volta l’indignazione è più utile che genuina.