Se bastano due linee di febbre per pensare di morire (Il caffè di Monia)

Se i figli sono più apprensivi dei genitori. E gli bastano due linee di febbre per convincersi che devono morire. Cronaca di due notti impossibili. Per la mamma.

Monia Lauroni

Scrivere per descrivere

Ci sono cose a cui non si è mai pronti. No, non è la morte. Quella quando arriva arriva e amen. C’è qualcosa di peggio della morte: la malattia. E non una malattia qualsiasi, ma la malattia di mia figlia. Quella che coglie solo lei, che dopo poche ore diventa incurabile e a distanza di qualche giorno la seppellirà. Che sia un mal di denti, un raffreddore, una cefalea, un graffio sul ginocchio o un’unghia spezzata, la diagnosi è sempre la stessa: qualcosa di molto grave, non ben definibile, ma molto molto grave.

Di solito i primi sintomi compaiono sempre a tarda sera, in quell’ora in cui sul mondo scorrono i titoli di coda. Quando anche gli uccelli smettono di cantare, riposano le cicale e dalle finestre aperte vedi in controluce passare figure che non si affrettano. Ma per te no.

È proprio in quell’istante, quando senti stretta perfino la pantofola che scatta l’ora X. Si inizia sempre con il lamentare un po’ di stordimento, leggero mal di testa, qualcosa di non definito, ma lei, la mia bambina lo sa: lui, il male infido e letale avanza.

Te la vedi arrivare alle spalle, silenziosa, non parla perchè aspetta che sia tu a chiederle cosa ha fatto. Provo a resistere, e no stavolta non ci casco. Dopo tre minuti di silenzio, quella figura mostruosa e fragile che ti respira sempre più ansimatamente sul collo comincia ad urtarmi.

Cedo. “Amore, cos’hai?”. La scena ha inizio. “Ma’ non lo so, mi sento strana, frastornata”. Tra me e me penso che lei, frastornata lo è sempre stata, ma un po’ per amore, un po’ per umana pietas non glielo dico. Il copione procede spedito, stesse battute, stessi attori, stesso campo d’azione. “Misurati la febbre”, è la cosa più scontata che mi viene in mente ormai da quando ha iniziato ad imparare l’uso delle manine. “Già l’ho fatto e ho 37.7”.

Tutto un siparietto di 30 minuti per dirmi che ha 37 e 7? Provo a lasciar cadere la cosa, proponendole una serie di eventuali e scontate cause, prima tra tutte, lo stress per l’esame di maturità. È sempre colpa dello stress, è stress se non dormi, è stress se mangi troppo, è stress se mangi poco, è stress se porti gli occhiali, è stress se spendi troppo, è stress se fuori piove o se c’è il sole. Sarà stress anche per l’alterazione della mia bambina.

Pare si sia convinta, entra in camera e si mette al letto. Troppo strano, impossibile che l’abbia scampata così.

La notte passa. Ore 5.15. Si apre la porta ed eccola là. Lei, la malata di chissà quale strana malattia, ti sveglia in preda alle palpitazioni, sguardo color lucifero e sbiascica parole disconnesse e incomprensibili di cui io riesco a cogliere solo un “guarda” e “bocca” e “cose strane”. Si siede sul letto, spalanca le fauci e vedo che sul palato ha degli strani agglomerati biancacci purulenti. Questa la so. E’ stomatite. L’ho già vista qualcosa di simile da qualche parte, non ricordo dove e da chi, ma ne sono certa. “Dai amore, so che è dolorosa e fastidiosa, ma è solo stomatite, più tardi, ad un orario umano, passerò in farmacia e vedremo cosa si può fare per alleviare il fastidio”.

Ma stai scherzando? Ma hai visto cosa mi sta nascendo in bocca? Io sto male, dev’essere qualcosa di brutto”.

Niente può essere più brutto di essere svegliata alle cinque del mattino e trovarsi avanti Godzilla con le pustole sul palato. Pazientemente aspetto che fuori il mondo prenda forme e colori, che i gatti inizino a miagolare, che gli uccellini riprendano il loro canto, che le formiche tornino a passeggiare tra i piedi della gente con la loro briciola di pane sul dorso come santi in processione e che qualche medico prenda servizio. Voglio che stia tranquilla, chiamerò quel mio amico dottore, perchè ad andare in ambulatori, ospedali e pronto soccorso, non se ne parla proprio, perchè la mia bambina dice potrebbe contagiarsi di nuove e fatali malattie.

Con pazienza da Nobel telefono al mio amico dottore che subito, dopo aver ascoltato il raccontino del decorso della strana malattia e visto la foto inviatagli su Wapp della caverna infetta, decreta una forte forma di stomatite e parte con una serie di medicinali.

Visto a mamma, è come dicevo io, è stomatite. Non morirai”. Penso che finalmente si tranquillizzerà.

Questo non c’ha capito niente, io ho qualcosa e qualcosa di brutto”. E sì, perchè è sempre così, ogni dottore che mia figlia abbia interpellato nel corso della sua giovane vita non capisce niente perchè nessuno le ha mai diagnosticato quella “cosa brutta” che però lei sa di avere. “E poi – aggiunge – dice che…

Chi dice? Chi può averti detto qualcosa alle quattro di notte? Chi è questo “dice”? Voglio nomi e cognomi per sapere esattamente contro chi dovrò combattere.

Corro in farmacia, uno stipendio in medicinali e torno a casa. Si parte con l’antibiotico, ma prima la lettura attenta del bugiardino a “effetti collaterali”. Eruzioni cutanee, infiammazione dei vasi sanguigni, febbre, dolore alle articolazioni, gonfiore delle ghiandole del collo, delle ascelle o dell’inguine. Gonfiore, a volte del viso o della bocca che causa difficoltà nel respirare. Collasso. “Ma che sei scema? Io ‘sta roba non la prendo”. Al collasso sono solo i miei nervi, ma cerco di resistere ancora.

Si fa sera. Misurazione della febbre. Come era prevedibile la temperatura sale: 38 e 2. E qui si mette male. Antipiretico come caramelle e si aspetta. Dopo mezz’ora 38 e 4. La stiamo perdendo. La prima lacrima scende sul volto della mia piccola malata, il battito cardiaco aumenta, brividi, fastidio generale, dolore. Bisogna correre ai ripari. Pezze fredde sulla fronte.

A 38 e 4? Sì, per noi sì. L’ipotesi che quella malattia rara la stia consumando lentamente è sempre più tangibile e vicina. Lei lo sa, se lo sente: “Dice che…”. Ma chi? Chi è che ti dice cose? È lo stesso di prima? Voglio saperlo.

Asciugamano intorno al collo, bacinella di acqua e ghiaccio e lentamente nella camera dove giace moribondo l’esile ed infuocato corpicino iniziano a far visita ad uno ad uno tutti gli abitanti della casa. La luce è quella soffusa delle stanze d’ospedale delle favelas. Prima il nonno, che con aria rassegnata si affaccia e scappa via. Poi la sorella, a distanza e con il ghigno beffardo di chi c’ha capito tutto. Poi lei, la nonna. Finalmente qualcuno che capisce la gravità della situazione.

Si siede preoccupata ed iniziano le preparazioni delle esequie. Fioraio ok. Cerimonia laica. Bandiere e musica, tanta musica. Discorso degli amici ok. Donazione organi, sì. Qualche dubbio sull’outfit, ma qualcosa, prima del time out verrà in mente. E fu notte e fu mattino.

Apro la porta della sua camera. Nessun fetore, vermi non ce ne sono, respira e la mia mano rileva una temperatura corporea normale. Resterà sorpresa quando aprirà gli occhi e si accorgerà di essere ancora qui tra noi. Sono esausta. Fuori camion che passano, auto che suonano, biciclette che corrono, saracinesche che si alzano, donne che si raccontano da un capo all’altro della via. Resto ancora un po’.

La guardo dormire. Nella penombra della stanza riconosco ogni minuscola curva delle sue labbra, la piega morbida delle sue guance, il taglio dei suoi occhi. Nell’aria si sente il profumo del suo bagnoschiuma. Una cosa semplice che sa solo di pulito. Svaniscono fatica e stanchezza. La mia piccola ipocondriaca è guarita anche stavolta.

Ora capisco perchè le coppie fanno sempre meno figli. E non lo dico io. Lo “dice” il Dottor Google