Tante storie per un po’ di terra…

Senza Ricevuta di Ritorno. La ‘Raccomandata’ del direttore su un fatto del giorno. Ci sono famiglie che si sono sfasciate e non si sono più parlate per un pezzo di terra. E alla fine...

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

La terra è terra. Ci siamo legati, fa parte di noi. In modo indissolubile. Al primo erede maschio toccava la quota più importante della terra di famiglia. Per un palmo di terra si sono scatenate guerre sanguinose, liti in famiglia, parenti non si sono più parlati per una vita. Pensate alle Falkland: poco più di tre scogli con due case nel mezzo dell’Oceano a sud del Sudamerica: quando gli argentini provarono a piantarci la loro bandiera sostituendo quella di Sua Maestà, Margaret Thatcher ci mandò a riprenderle una task force con portaerei, sommergibile nucleare e fucilieri Gurka del Nepal.

Pensate a quante famiglie si sono sfasciate per pochi metri di terra date ad un figlio anziché ad un altro. E quante tragedie ne sono seguite. O cosa succede quando si deve fare il frazionamento: ci va il proprietario di una parte, il confinante proprietario dell’altra, il geometra del primo e del secondo, ed a buon bisogno un topografo ed il parroco del posto che è la memoria storica.

È così da sempre: il primo documento pubblico in italiano corrente è il Placito Cassinense “Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti; un atto notorio sulla proprietà di un terreno.

La terra che ci divide

C’è chi si fa seppellire nella terra, perché dalla terra veniamo e lì torniamo. Siamo fatti di terra. Per difendere ogni centimetro di terra, tra le due Germanie, c’erano torrette e filo spinato per chilometri, oltre ad un muro. A Guantanamo si rischia anche solo a guardare sulla terra dell’altro.

Immaginate la lezione che ha dato a tutto l’anziano agricoltore belga che l’altro giorno, non riuscendo a passare col trattore ha sradicato un cubetto di cemento con la scritta 1819 e l’ha buttato un po’ più in là, giusto il necessario per far passare la mietitrebbia. Quel cubetto era il confine tra Belgio e Francia: stava lì da poco dopo la disfatta di Napoleone Bonaparte ed il suo esilio, quando le grandi potenze dell’epoca ridisegnarono i limiti dei regni europei.

Spostandolo, il contadino ha modificato di per due metri e mezzo la linea che separa Francia e Belgio. Senza bisogno di cavalleria, né artiglieria, senza scatenare ussari lanciati all’attacco o dragoni con la carabina per difendere. (Leggi qui)

Alla fine, il confine è solo nella nostra testa.

Senza Ricevuta di Ritorno.