Top e Flop, i protagonisti di martedì 8 agosto 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di martedì 8 agosto 2023

Top & Flop. I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di martedì 8 agosto 2023

TOP

FEDERICO CAVALLO

Federico Cavallo

C’è un tema che in questi giorni sta passando sotto tono, anche se per paradosso è tema balneare. La direttiva Bolkestein e il braccio di ferro tra il Governo Meloni e l’Ue sulle concessioni demaniali ha assunto i toni bizantini di un duello di sotterfugi. Da un lato l’Europa che dice che bisogna fare le gare di appalto ex novo e dall’altro l’esecutivo che teme di mandare sulle barricate i titolari storici, specie delle concessioni balneari, dei lidi, in pratica.

E Federico Cavallo, responsabile Relazioni Esterne di Altroconsumo, ha fatto un po’ di chiarezza, quella e un bel po’ di reprimenda buona. Per lui Palazzo Chigi “deve tornare sui propri passi in merito a scelte che contrastano con i principi fondamentali della concorrenza, imparzialità e trasparenza. Sono principi “ripresi sia dalla direttiva Bolkestein sia dalla sentenza del Consiglio di Stato del 2021.

Insomma, sulle concessioni balneari e dopo che con l’approvazione del ddl Concorrenza in Cdm si era trovato il fermo, serve tornare con i pedi per terra. “Il governo italiano ha perso un’occasione per mettere una pezza a quanto chiede l’Europa ormai dal 2020 e che è stato ribadito dalla recente sentenza della Corte di Giustizia”.

A febbraio il decreto Milleproroghe aveva prorogato fino al 2024 le concessioni di spiagge e lidi agli attuali gestori degli stabilimenti balneari. E Cavallo spiega: “Un rinnovo che, per il giudice europeo, non può essere fatto automaticamente senza un regolare appalto pubblico ‘imparziale e trasparente’.

Perciò così spiegando ha ricordato al Governo che non serve fare censimenti salvifici di nuove spiagge per tutelare i gestori delle vecchie. Serve solo conformarsi alle regole.

Cavallo, ma non pazzo.

GIANLUCA MASI

Gianluca Masi

La sua è una vita con il naso in su. Non con la testa tra le nuvole. Ma oltre: più in alto e con ambizioni maggiori. Che hanno portato l’astrofisico ceccanese Gianulca Masi ad essere da tempo il curatore scientifico del planetario astronomico di Roma ed il responsabile dei telescopi del Virtual Telescope Project. Cioè di quella rete di telescopi governabile via internet che da Ceccano ha scoperto ben 25 asteroidi negli anni dal 1998 al 2003. Uno di questi è chiamato “243637 Frosinone” in onore del capoluogo ciociaro. Ed uno “10931 Ceccano” in onore della città d’origine di Masi che è stato anche co-scopritore di due pianeti extrasolari il “XO-2 b” ed il “XO-3 b“,  dell’ipernova “Asassn-15lh” e dell’esplosione stellare più luminosa di sempre.

Gianluca Masi ha annunciato che il Virtual Telescope Project è entrato nella rete internazionale per l’allerta asteroide denominata ‘Asteroid warning network (Iawn)’ in funzione dal 2013. Riunisce istituzioni ed osservatori coinvolti nella scoperta, follow-up, monitoraggio e caratterizzazione degli asteroidi potenzialmente pericolosi per la Terra.

Ma ogni buona notizia ne nasconde una meno piacevole, un po’ come il lato nascosto di ogni pianeta. I telescopi del Vtp hanno lasciato Ceccano dopo venticinque anni di attività per trasferirsi a Manciano nella Maremma grossetana. Il trasferimento serve per permettere al progetto di rilanciare le proprie attività scientifiche con particolare attenzione verso gli asteroidi.

Per un quarto di secolo ci hanno fatto sognare e guardare con più orgoglio verso quei puntini luminosi nel buio. Da ora sappiamo che non sono più dietro casa. Ma è quei che sono stati pensati, sono nati, cresciuti ed hanno spiccato il volo.

Ed uscimmo a riveder le stelle.

FLOP

MATTEO SALVINI-GIORGIA MELONI

Due possibili e quasi accertati canali di ipocrisia vanno addebitati, nell’imminenza del clou feriale estivo, alla premier ed al suo vice in quota ministeriale Infrastrutture e Trasporti. Ma per comprendere bene la questione vanno fatti un paio di preamboli, secchi ma non troppo. E vanno fatti sui personaggi e sui “claim” della loro comunicazione politica, singola e di gruppo.

Giorgia Meloni è stata una paladina della destra sociale, quella per la quale però lo Stato aveva doveri precisi, anche su cosa non fare. Poi erano arrivati il premierato, la leadership e le pastoie di un’Europa che ingiunge di far cassa e di sciogliere gli “sgherri di Stato”. E tutto era andato a farsi benedire. Sì, ma Matteo Salvini? Si può dire che il Salvini anti tasse è nato prima del Salvini da Mike Bongiorno.

Eppure, stando (anche) a quanto denunciato da Matteo Renzi che su Instagram da giorni batte dove il dente duole, entrambi in un certo senso avrebbero “rinnegato se stessi”. E lo avrebbero fatto a discapito degli italiani più deboli, come al solito. Renzi scrive: “Hanno deciso di entrare nei vostri conti correnti. E chi lo ha deciso? Salvini e Meloni. Incredibile, nella delega fiscale anziché preoccuparsi di abbassare le tasse, il governo permette all’Agenzia delle Entrate e ai vari soggetti istituzionali di entrare nel conto corrente.

“Giurarono di non farlo mai”

Con cosa? Per mezzo del cosiddetto ed inviso prelievo forzoso. Questo per “portare via i soldi delle tasse o delle multe”. Le parole di Renzi dovrebbero godere di beneficio di dubbio ed inventario ma pare che sia proprio così. “È una cosa che Salvini e Meloni avevano giurato che non avrebbero mai fatto. Anzi, si lamentavano degli altri accusandoli di mettere le mani nelle tasche degli italiani”.

Insomma, c’è il dato quasi certocertissimo per cui due paladini della fiscalità non arrembante avrebbero avallato una sorta di fiscalità corsara (non pirata, corsara, cioè sotto bandiera di una nazione). Poi che lo abbiano fatto alla faccia di ciò che dicevano di essere. E di ciò su cui molti li avevano votati.

E che sia giusto o meno in punto di norma erariale, politicamente è una “sola” bella e buona.

Attenti a quei due.

ELLY SCHLEIN

Marcello De Angelis (Foto: Marco Ponzianelli © Imagoeonomica)

L’abilità di un leader sta anche nell’individuare i giusti traguardi. Che per essere vincenti hanno la necessità di possedere una dote particolare. È quella di essere raggiungibili. Fissare il traguardo ad una meta utopistica significa volare alto: ma allo stesso tempo condanna a non arrivare mai. E la capacità di un leader si misura anche sulla quantità di obiettivi raggiunti. Il caso di Marcello De Angelis, autore d’una serie di affermazioni tanto discutibili quanto legittime, mostra ancora una volta la totale carenza di una guida al timone del Partito Democratico. (leggi qui: Il diritto al giudizio non allineato che De Angelis ha il dovere di esprimere).

Il traguardo minimo fissato dal Partito Democratico sono state le dimissioni del responsabile delle Comunicazioni del centrodestra che guida la Regione Lazio; un modo per colpire indirettamente il governatore Francesco Rocca. Esattamente la stessa strategia che a parti invertite venne usata per concentrare il fuoco su Mauro Buschini quando era presidente del Consiglio regionale, per imbarazzare in realtà Nicola Zingaretti.

Buschini si dimise ed attese i due giudizi sul caso che lo sfiorava. La commissione interna della Regione non trovò censure sulla sua condotta; la magistratura non ne trovò da fare al sindaco di Allumiere. Per il quale l’assoluzione risulta chiesta direttamente dal Pubblico ministero che ha coordinato le indagini.

Ma Mauro Buschini è un signore che viene dalla scuola ormai dimenticata nella quale la sola ombra del sospetto è sufficiente per dimettersi. Marcello De Angelis viene da un fronte ed una tradizione diversi: invitarlo al martirio politico è la massima cortesia che gli si possa fare. In punta di principio.

In punta di fatto, che la sentenza sulla Strage alla Stazione di Bologna sia chiara è un’evidenza giuridica. Sulla quale in punto storico hanno sollevato perplessità autorevoli pensatori della sinistra: non ultimo Furio Colombo che non è un noto frequentatore di ritrovi fascisti, non va in giro a somministrare olii lassativi, non indossa l’orbace. L’ex direttore de L’Unità ed ex parlamentare della sinistra ha sempre detto e ribadito anche in queste ore che per lui quella strage fu di matrice fascista senza ombra di dubbio, i dubbi semmai sono sui veri autori. Che dubita possano essere i terroristi di destra Francesca Mambro e Valerio Fioravanti. Per Colombo sono “Altri fascisti di sicura appartenenza e di sicura militanza. Mambro e Fioravanti servivano a coprire altre figure”.

È in un quadro così fosco, reso indefinito dall’azione di tante barbe finte che hanno inquinato molti alti momenti della storia Repubblicana, fissare le dimissioni come traguardo equivale a definire una meta politicamente non raggiungibile. Offrendo anzi una ragione ideologica all’avversario per arroccarsi. Ed invocare tante altre situazione in cui ci sono state condanne a sinistra ma legittimi dubbi sulla verità processuale raggiunta. Invocare le scuse sarebbe stato un traguardo plausibile. Ed anche una lezione di democrazia. Che a quella parte politica suscita ancora l’orticaria sotto la giacca.