Top e Flop, i protagonisti di mercoledì 21 febbraio 2024

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 21 febbraio 2024

Top & Flop. I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 21 febbraio 2024

TOP

LUCA DI STEFANO

Il tavolo della presidenza del Comitato per lo Sviluppo

Consensi unanimi. Il Comitato per la Ripresa e lo Sviluppo Sostenibile è stata un’indovinata intuizione del Presidente della Provincia. Che ha colto al balzo l’invito corale fatto dalle categorie produttive in occasione degli Stati Generali: chiedevano la riattivazione del Comitato per lo Sviluppo. (Leggi qui: L’orgoglio di un territorio che non si arrende).

Luca Di Stefano però ha saputo andare oltre. Ha dato vita ad un organismo del tutto diverso dal vecchio Comitato che mise in piedi il suo predecessore Antonio Pompeo. Quello era una specie di sinedrio dei saggi e dei tecnici. Mentre questo voluto dal presidente Di Stefano è un anello di congiunzione tra chi lavora e produce sul territorio e chi deve mettere a punto le leggi in base alle quali quel lavoro e quella produzione si fanno. Un posto dove portare le proprie lamentele e farle diventare correzione.

Come nel caso delle norme sulla qualità dell’aria o quelle sulle autorizzazioni ambientali. Anche ieri, durante la seduta costitutiva, l’assemblea non ha chiesto né sconti né corsie privilegiate. ma ha chiesto chiarezza sulla base della quale poter agire. Come dimostra il recente caso Reno de Medici che ha licenziato tutti i suoi 132 dipendenti ed avviato la chiusura della cartiera a Villa Santa Lucia perché c’è una diversa interpretazione di cosa siano i fanghi primari tra chi ha applicato la legge e chi la fa rispettare.

Nella seduta di insediamento ieri pomeriggio sono usciti problemi in abbondanza. Ma a dominare è stata la volontà di risolverli. Trovando una soluzione, scrivendola dal basso, senza aspettare che a farlo siano la Regione o le Camere. (Leggi qui: Doccia fredda sul Comitato per lo Sviluppo).

È proprio quella coralità l’elemento che mette al centro della scena il presidente Luca Di Stefano. E restituisce alla Provincia tutta la dimensione del suo ruolo di coordinamento. Che in molti avevano dimenticato.

La voglia di far crescere.

MATTEO RICHETTI

Il codazzo di polemiche sulla morte di Aleksej Navalny, in bilico tra incentivazione ed ordine di Vladimir Putin, stavolta non è politico. Non lo è perché l’unanimità con cui l’arco parlamentare ha risposto all’appello di Carlo Calenda ha certificato due cose. Innanzitutto che sulle autarchie e sui loro effetti c’è un’Italia istituzionale che sa fare massa critica.

Poi che anche quando quella massa critica sia stata figlia di ipocrisie sottili di ritorno il risultato comunque c’è e si vede. Stavolta i censori dell’iniziativa si sono concentrati tra una certa e massiva utenza social ed una certa “intellighenzia” culturale che non ha fatto sconti.

Ecco, Alessandro Orsini di quella seconda nicchia è forse un leader indiretto. Leader al contrario a cui il Capogruppo alla Camera di Azione Matteo Richetti ha deciso di spiegare due cose due. Eccole: alludendo ad Orsini e ad uno dei suoi ultimi post Richetti ha detto-scritto: “Fa benissimo a fare video su materie in cui eccelle come la manipolazione dell’opinione pubblica.

E ancora: “Farebbe bene però anche a rispettare le persone che insieme ad Azione e a tutti i partiti dell’arco parlamentare (hanno detto) con chiarezza che stanno contro le dittature.

Dittature che “tolgono libertà, voce e vita e dalla parte della democrazia e del rispetto. Il motivo per cui non le riesce una parola di condanna a quanto accaduto a Navalny credo sia chiaro a tutti ormai.

Orsini in azione contro Azione
Alessandro Orsini (Foto: Valerio Portelli © Imagoeconomica)

Sì, ma Orsini cosa (cos’altro) aveva detto-scritto sui social per far prendere d’aceto Richetti? Aveva parlato di “pagliacciata organizzata oggi in Campidoglio da Calenda”. E l’aveva definita “probabilmente la più grande buffonata politica della carriera di questo piccolo demagogo a capo di un partito culturalmente violento che non vale niente”.

Poi Orsini aveva spiegato “cosa sia la manipolazione dell’opinione pubblica mediante controllo dei quadri cognitivi. Siate sempre fieri di dire: ‘Io sono italiano, io sono pacifista’”.

Cosa c’entri essere pacifisti ed equalizzare il giudizio sulla guerra di Mosca a Kiev. E che legame ci sia con il constatare con la dovuta amarezza che Vladimir Putin è un tacitatore ed avvelenatore di avversari politici il professor Orsini non ce lo ha ancora spiegato. Nemmeno a Richetti, che ha risposto a tono.

Due cose due, prof.

FLOP

GINO RANALDI

Gino Ranaldi

La Politica è l’arte della mediazione, l’estetica della sintesi tra posizioni distanti ed all’apparenza inconciliabili. Con veri campioni della specialità ma tutti collocati nella Prima Repubblica. Come Antonio Maccanico, del quale si diceva fosse capace di mettere d’accordo anche due sedie vuote. Un pregio che negli esponenti Pd contemporanei sembrano avere dimenticato: con certezza lo hanno fatto alcuni di quelli che siedono nel Palazzo della Provincia di Frosinone.

Lo stallo creato sulla vice presidenza sta raggiungendo profili imbarazzanti. Il trionfo ottenuto alle urne il 22 dicembre scorso dal Partito Democratico è evaporato di fronte alla rissosità interna esibita senza ritegno in questi giorni. I voti ottenuti alle recenti Provinciali assegnano al Partito il braccio destro del presidente Luca Di Stefano. Le due anime Dem lo reclamano con eguale convinzione: l’area maggioritaria di Rete Democratica vorrebbe indicare il sindaco di San Donato Valcomino Enrico Pittiglio mentre l’area minoritaria si è arroccata sul capogruppo di Cassino Gino Ranaldi.

Uno stallo che sta raggiungendo vette imbarazzanti. Che non tracimano nel ridicolo solo per il senso delle Istituzioni che il presidente della provincia sta dimostrando: Luca Di Stefano può scegliere chi vuole e solo per garbo e rispetto politico sta attendendo. Quello che il Pd sta dimenticando è che ad attendere non c’è solo il presidente ma anche tutto il resto della Provincia che ha bisogno di essere governata.

Il nome di Pittiglio è stato motivato con la lunghissima esperienza da amministratore e soprattutto con l’impressionante numero di presenze in Provincia, della quale conosce praticamente tutto. Il nome di Ranaldi è stato motivato con il riconoscimento del ruolo per la città di Cassino che tra poche settimane andrà alle elezioni.

La questione sarebbe semplice da risolvere. Se la Provincia è un luogo in cui si gestisce il territorio allora il nome è uno; se è una passerella sulla quale indossare una fascia, il nome è un altro. Luca Di Stefano comincia ad essere sazio di questa situazione: come dimostra il segnale plastico mandato in occasione della riunione costitutiva del Comitato Provinciale per la Ripresa e lo Sviluppo. Alla sua destra stava il coordinatore del tavolo, alla sua sinistra stava seduto Enrico Pittiglio.

Inutile gazzarra.

MATTEO SALVINI

Matteo Salvini

Il tipo pare decotto. E sta tra la caduta libera e il bisogno di far capire che non sta cadendo affatto. Cioè una cosa che per paradosso incentiva la logica del precipizio. Attenzione, secondo molti media è precipizio individuale prima ancora che burrone per il suo partito. Matteo Salvini ha fatto massa critica di tante e tali di quelle grane che alla fine anche uno come lui, sulle cui ubbie i cittadini sono vaccinati, adesso se la rischia.

E se la rischia dall’interno, cioè da quella Lega per Salvini che per Salvini ormai non fa quasi più nulla. Il Domani, a cui va fatta la tara di una linea non proprio in ednorsement col governo, la mette giù ruvida. “Governatori delle regioni, alleati, compagni di partito: sono in molti a spingere, in modo più o meno palese e camuffato, per la fine della sua carriera da segretario della Lega. Il cardine concettuale starebbe tutto nelle elezioni europee.

Ci sono molti e congrui elementi che dicono che per il partito fondato da Umberto Bossi le cose andranno maluccio. Ora, le strade sono due: se andassero malissimo partirebbe la fronda per Salvini, senza sordina però. Se andassero non benebene… quella fronda partirebbe lo stesso.

La maledetta “svolta a destra”

Perché la ragioni dei frondisti sono andate a decantazione. Ed ormai da tanto di quel tempo che l’impressione è che il solo risultato utile ad evitare una notte dei lunghi coltelli per il Capitano sarebbe solo un’affermazione nettissima del suo partito. Cioè sopra il 10%: difficile, obiettivamente difficile. Ma cosa paga Salvini nella misura in cui gliela imputano i suoi detrattori?

Esatto, la “svolta a destra”. Quella fuga laterale che ha saputo solo far apparire il competitor diretto, Forza Italia, come un monolite di affidabilità post berlusconiana. Il leader e vicepremier sembra perennemente in ansia da prestazione. Dall’approntare cioè quei “biscotti” calcistici in cui si finge di lottare ma si cerca spasmodicamente un accordo che salvi la baracca.

L’analisi impietosa de Il Domani incalza: “Il legame rinsaldato con le estreme destre europee, l’autonomia regionale, le uscite a braccetto con il generale Vannacci. Le prese di posizione corporative su balneari e agricoltori non stanno producendo né una narrazione politica positiva né entusiasmi elettorali”. Senza contare gli ultimi scivoloni sulla vicenda Navalny e sul patto (parrebbe fino al 2027) tra Lega e Russia Unita, definito però dal Carroccio “carta straccia”.

E tanto annacquato sarebbe il carisma di Salvini che la casella autarchica della posizione sul Mes, espulso dalla discussione parlamentare dalla Lega, neanche fa più curriculum.

Biscotto, decotto, stracotto.