Trilla il telefono di Zingaretti: chiamano dal Nazzareno

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Lo smartphone trilla. Nicola Zingaretti guarda il numero sul display e sorride. Alla sua destra, nella sala delle conferenze del Sunny Palace di Sonnino, sta seduto il suo assessore Mauro Buschini. Gli fa vedere la chiamata e subito dopo si alza. Sparisce dalla vista di chiunque ed esce dalla sala, va a parlare addirittura fuori dalla struttura. In prima fila stanno seduti i notisti di Politica più svezzati. Sono due di loro a sparare a bruciapelo la domanda a Buschini: «Era Matteo o Dario?». L’assessore ride, abbassa lo sguardo sui fogli, inarca le sopracciglia.

Il nome di Nicola Zingaretti circola al Nazzareno. E’ un’ipotesi. Una delle tante che gira ma una delle poche concrete. Uno dei traghettatori del Partito Democratico per il dopo Matteo Renzi potrebbe essere lui.

Nel suo curriculum ci sono buona parte delle note caratteristiche richieste. Innanzitutto il pedegree politico: si forma nel Pci, lo ha guidato nella svolta del Pds, ne è stato protagonista ai tempi dei Ds, è tra i fondatori del Pd. Ha alle spalle una lunga esperienza nella gestione del Partito: ne è stato Segretario Regionale ai tempi in cui per arrivarci era indispensabile mettere d’accordo le correnti. Ha disciplina di Partito: non ha battuto ciglio quando aveva già la strada spianata verso l’elezione a sindaco di Roma ma ha dovuto sterzare verso la Regione Lazio a causa delle improvvise dimissioni di Renata Polverini. E’ un amministratore di successo: ha governato la Provincia di Roma e ora la Regione Lazio, in entrambi i casi risanando gli enti e innovandoli. E’ pulito: finora nemmeno uno schizzo di fango gli ha macchiato la camicia nonostante abbiano provato a lanciargliene in abbondanza.

Il difetto che gli rimproverano è di essere «troppo inclusivo, coinvolge troppe persone prima di decidere». In questo periodo è un pregio.

Ad apprezzarlo ci sono i signori delle preferenze nel Pd. Ha un buon rapporto con Dario Franceschini: 20% dei voti in Direzione Nazionale, tra gli 80 ed i 90 parlamentari. Il dialogo tra i due si è intensificato subito dopo le Comunali di Roma: i voti di Zingaretti in Campidoglio sono stati importanti per fare eleggere a capogruppo Pd in Campidoglio la consigliera Michela De Biase coniugata Franceschini.

Lo stima molto pure l’ala di Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani. Lo considerano uno degli assi a disposizione del Partito: Zingaretti, Emiliano, Rossi, Speranza. Ma non intendono forzare la mano, giudicano prematura una crisi della Segreteria. Ma sono pronti a convergere se si creano le condizioni e qualcun altro mette sul tavolo uno dei loro assi.

Nemmeno Matteo Orfini disdegnerebbe: tutt’altro. Il presidente del Pd conta il 12% in Direzione. Nel momento in cui a rischiato di andare a fondo nella palude di Roma, una delle scialuppe gli è stata lanciata proprio da Zingaretti.

Ma se si andrà ad una conta all’ultimo voto, verso un regolamento di conti, Zingaretti non sarà disponibile. Non è nelle sue corde. Terrebbe in considerazione l’opzione Segreteria solo in un caso: il benestare di Matteo Renzi. Che lo stima. Al punto da avere sottoscritto con lui, l’estate scorsa, il patto grazie al quale verranno finanziate decine di milioni di euro in opere pubbliche nel Lazio.

La sua posizione è chiara. E’ emersa all’inizio della settimana a Ceprano quando il governatore del Lazio è andato ad inaugurare la terza Casa della Salute in provincia di Frosinone. (leggi qui il precedente). Sa che nel Pd c’è chi lo guarda. E lui si tiene a rigorosa distanza. «Io credo che ora ci sia bisogno di tanta politica, credo che ora dobbiamo lavorare sulla ricostruzione di un grande Partito unitario e anche – questo l’ho sempre pensato e l’ho sempre detto – capire come rigenerare un campo di forze. Perché l’isolamento alla fine si paga».

E Nicola è uno che in politica non si isola. E’ per questo che il suo telefono squilla sempre più spesso con numeri che provengono da persone che frequentano il Nazzareno.

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