Acea, la mandrakata di Quatrana: il sindaco vuole la Tosap per il suolo occupato dalle tubature

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CESIDIO VANO per LA PROVINCIA QUOTIDIANO

«I tubi dell’acqua occupano suolo comunale e quindi debbono pagare la relativa tassa». Al comune di Trivigliano – ma parrebbe che siano stati anche altri i Municipi ciociari in cui si è avuta la stessa alzata d’ingegno – pensavano di aver così una volta per tutte messe le cose in pari con l’Acea Ato5: «Il gestore del servizio idrico vessa i cittadini con bollette da infarto? Bene! Noi ci faremo pagare l’occupazione del sottosuolo da paret di acquedotti e fognature», devono aver detto.

Così, a luglio dello scorso anno, nel piccolo centro a nord della provincia guidato dal sindaco Ennio Quatrana, hanno approvato un apposito regolamento comunale per “L’istituzione del canone patrimoniale non ricognitorio e delle relative tariffe”. In sostanza, al Comune è dovuto un canone per l’utilità economica ricevuta dalla concessione di un bene dell’ente, nella fattispecie il sottosuolo occupato dai tubi.

Poi, il Comune ha unilateralmente emesso le autorizzazioni ad Acea ad occupare il proprio sottosuolo – autorizzazioni che Acea non si era nemmeno sognata di chiedere – e ha quindi quantificato e richiesto il pagamento del relativo canone. Due cartelle da diverse decine di migliaia di euro (per il solo primo semestre), fatte recapitare ad Acea Ato5 e che hanno fatto saltare sulla sedia i tecnici del gestore: ma come? ci fanno pagare l’occupazione dei tubi che sono del comune medesimo?

Le cartelle di pagamento e il regolamento che istituisce quel canone sono finiti così impugnati davanti al Tar del Lazio che, lunedì ha emesso sentenza, annullando il provvedimento regolatorio nei confronti di Acea e condannando il comune di Trivigliano a pagare oltre 2.000 euro di spese legali.

Il Tar si è dichiarato non competente per quanto riguarda le richieste di pagamento, poiché in base alla ripartizione delle competenze, le materie legate a indennità, canoni e altri corrispettivi rientrano nella cognizione residuale del giudice ordinario, ma si è pronunciato invece sul regolamento che è atto amministrativo di propria conoscenza. E, annullato quello, non c’è più alcun canone da pagare.

In sintesi, il Tar ha evidenziato che la sottomissione ad un canone del gestore del servizio idrico integrato si pone in contrasto con la disciplina di tale servizio e dei rapporti tra il soggetto concedente (cioè l’Autorità d’Ambito di cui fanno parte i comuni in esso compresi) e il soggetto concessionario e gestore del servizio.

La normativa che regolamenta il servizio idrico prevede infatti che “le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali (…) sono affidate in concessione d’uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare”.
Il rapporto tra Ato, Comuni e Gestore è regolamentato esclusivamente dalla convenzione che garantisce gli equilibri economici finanziari della gestione e che già prevede un canone concessorio che annualmente l’Acea deve versare ai comuni tramite l’Ato5 (si tratta di circa 6,5 milioni di euro). Porre al di fuori di quella convenzione ulteriori oneri per il gestore varrebbe a far venir meno quell’equilibrio e comunque farebbe finire proprio a carico degli utenti, tramite le bollette, gli ulteriori costi che una tale ‘mandrakata’ (il termine è nostro non del Tar, ndr) comporterebbe.

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