Ciao Staino, la cattiva coscienza di sinistra che Bobo sapeva spiegare

La morte del vignettista che aveva fatto riflettere la sinistra ma senza i musi lunghi che una certa sinistra ha sempre avuto

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Una delle vignette più tragicamente attuali di Bobo era senza Bobo. In essa vi compariva un integralista islamico col mitra imbracciato che trucemente annunciava al suo interlocutore occidentale: “Faremo a pezzi la vostra Europa”. E l’altro laconicamente replicava: “Illusi, ce la spezzetteremo prima da noi”. Insomma. Bobo o non Bobo quando su carta stampata compariva la striscia o la vignetta che richiamavano quell’ometto di pancetta, barba ed occhiali che ricordava tanto Umberto Eco o erano dolori per qualcuno oppure era vaticinio di buon senso.

Chiariamolo bene, questo concetto del vaticinio di buon senso. Al mondo puoi essere Tiresia, Cassandra o vignettista. Cioè puoi essere uno che la mena grama assai perché ha la “vista” ma ha il dono malevolo della digestione difficile come i peperoni. Oppure puoi essere uno come Sergio Staino ad esempio, roba lieve, frizzante, e quindi pesante come solo le cose leggere sanno essere.

Come Quintiliano ma dopo gli anni di piombo

Staino (Foto: Luigi Mistrulli © Imagoeconomica)

Staino, cioè un senese-toscano (basta co’ sto’ toscanaccio, sembra che lì siano tutti grezzi da sberleffo) che ha letto Quintiliano. Quello ed il suo immortale “satura tota nostra est”. L’autore intendeva dire che se è vero che la tragedia i romani l’avevano copiata dai greci ma che la satira invece era una cosa indigena, nostra, appunto, o quanto meno italica.

Staino sul tema aveva idee abbastanza chiare e ci metteva spesso quell’ambiguo “abbastanza” esattamente perché lui le idee ce le aveva chiarissime.

Ma un satirico non indica mai strade, al più orizzonti da cui sceglierne una, sennò che satira è? Perciò una volta disse una cosa che andrebbe scolpita nel marmo, se non fosse che era una cosa satirica e il marmo è per le cose austere, quelle pallose che non amano essere messe in discussione. Disse: “La difesa della satira è l’avanguardia della difesa della libertà di opinione”.

L’arrivo a L’Unità dove Bobo già c’era

(Imagoeconomica)

Una cosa splendida, anche a considerare il contesto. Sergio Staino questa cosa la disse rispondendo ad una domanda in occasione del suo arrivo a L’Unità come direttore. Capito il senso? Lui, barbuto e sorridente di denti orgogliosamente gialli, stava facendo l’elegia della libertà di pensiero su un giornale che era nato ed aveva preso polpa come organo di Partito.

Staino divenne direttore negli anni cupi della crisi editoriale e della super crisi della testata, ma a L’Unità il suo Bobo ci si era accasato nel 1982.Quelli erano anni in cui molti volevano sorridere del potere e pochissimi lo avevano ancora fatto in pienezza. Troppo precoce il riflusso che ci avrebbe portati tutti alla spensierata stagione del disimpegno, Linus era già un’isola di sarcasmo ma gli Anni di piombo erano ancora un continente d’ombra, ombra cupa, forte, immanente.

Insomma, L’Unità di quegli anni era in tutto e per tutto adagiata su una mistica da reggimento che oggi manderebbe un post comunista-liberal come Piero Sansonetti dall’analista bravo.

Il giornale “sbagliato” per fare satira

Non era un giornale “sbagliato”, capiamoci, ma era grancassa secca e pignola di una ricetta che non prevedeva deroghe. Di una carbonara che se solo ci azzardavi la pancetta al posto del guanciale facevi storcere quei nasi che solo pochi decenni prima Giovannino Guareschi aveva definito “trinariciuti”. Per questo Staino fu immenso: lui ed il suo Bobo arrivarono su quelle pagine fresche di “si stampi” del proto come il cugino rapper alla soirée degli zii parrucconi. Quelle melasse stanche col quartetto d’archi, le sedie intorno e lo spartito a dare grandangolo ai cateteri.

E fu bellissimo perché con Bobo la sinistra imparò a ridere di sé prima ancora che a sorridere degli altri. Ora, senza fare troppa filosofia che a Staino piaceva pochino, questa cosa dell’autoironia è una cosa talmente gigantessa e tonda che quando essa si realizza ogni Stato moderno quell’affermazione esso la sente come una vittoria. Uno di quei passi in avanti che sono scatti secchi e che ti mettono in una casella di gioia.

Cosa fa ridere di più che sorridere del potere? Solo il fatto di sapere che il potere non sorride affatto quando lo perculi. Sennò è come con la torta in faccia solo minacciata: il meccanismo si inceppa e tutto si sperde in un umorismo abbozzato, quello dell’amico barzellettista che ride solo lui in un oceano di silenzio. Per oltre 30 anni Bobo è stato la cattiva coscienza di una sinistra che usciva dai ranghi. Tanto cattiva da risultare ottima.

Le debolezze del potere e della sinistra

Che scopriva le sue debolezze, analizzava le sue sconfitte e perdeva i suoi elettori, che soffriva delle sue trasformazioni. Di una sinistra che inseguiva la società come un levriero vecchio insegue una lepre giovane. Che a volte, punta sul vivo, la società la superava di panne e leghe, per poi girarsi, trovarsela dietro ed arretrare di nuovo fino a scoprire una nuova vocazione.

Quella che, passando per la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto fino ad arrivare al Lingotto, ha disegnato una politica in cui il compromesso non è più peccato mortale ma sa ancora un po’ di sconcio. In cui Matteo Renzi, segretario dem quando Staino arrivò all’Unità, a Staino gli diede “carta bianca”. E lo fece apparire come un regalo prog quando in realtà era un de profundis dell’ortodossia parruccona che già c’era stato di suo.

C’era il timore un po’ di tutti che quel vignettista-giornalista arrivare ad un giornale immagonito dalla Storia in reflusso e dall’Editoria al collasso. E che quello significasse arrivare ad un capezzale, piuttosto che su un loggione di salacità. Ma Staino rassicurò tutti e lo fece rispondendo a Marco Dotti: “Uno storico vignettista come Vincino era quasi più emozionato di me. Mi ha chiamato dicendomi: ‘Sergio, è la prima volta che un vignettista diventa direttore di un giornale serio! È bellissimo!’”.

L’Italia post comunista, tutta in vignette

Staino (Foto: Benvegnu’ Guaitoli © Imagoeconomica)

Ecco, Bobo era approdato ad un giornale “serio” e nel frattempo era arrivato a raccontare la sua Italia, l’italia post comunista, ad altre testate. Non lo faceva con la saggezza di Eco, dato che in realtà pare avesse tratto ispirazione da un amico di Staino, il comunista Gianni Carino. No, quell’oracolo stanco e imbarazzato lo faceva con la salacità di un uomo chiamato a spiegare alla sua famiglia che i valori sono mobili solo nelle menti e nei cuori di chi non li ha mai considerati valori.

E per questo serviva una famiglia che fosse sponda attiva per quel Grande Disegno di Falsa Resa. Sua moglie californiana Bibi, femminista abbestia. Poi i figli Ilaria e Michele, scafati sulla politica ma impreparati alle sue capriole e sempre pronti a fare una domanda. Loro, i figli, erano i totem delle correnti del partito. Quella idealista diremmo col carnet di oggi “alla Schelin” e quella prog-craxiana-riformista alla Renzi.

Bobo e la sua famiglia sono vivi e puntuti nel cuore e nelle coscienze di chi oggi nel chiamare un vecchio amico di tessera si fa scappare ancora un “compagno”. Vivi ma stanchi. E Sergio Staino pure è vivo, vivo malgrado sia morto a 83 anni dopo una vita passata ad amare il Pci e perfino, dato che era salace, quello che il Pci è diventato.

Perché quelli come Staino non è che muoiono, semplicemente fanno più posto agli sghignazzi amari che ci hanno fatto fare. Sennò che satira è?