Divorzio all’italiana tra Renzi e Calenda con 300mila “ragioni” in ballo

Il leader di Italia Viva ufficializza i nomi dei nuovi gruppi parlamentari e quello di Azione è d'accordo sulla rottura ma non sulla forma

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

La Cassazione ha dato un nuovo input al divorzio in Italia e, dopo quello “breve” ha legittimato quello “Tav”, ad alta velocità, come lo ha definito la Cassa Forense. In buona sostanza c’è e sta in piedi un giudicato di separazione effettiva anche con la causa di separazione ancora pendente.

Che significa? Due cose: che in giurisprudenza civile separazione e divorzio andrebbero a massa unica e critica, e che in politica Matteo Renzi ha trovato la maniglia giusta per rompere gli indugi. Romperli in maniera spiccia e vagamente sultanesca, come piace a lui, ma romperli sul serio. O quasi sul serio via.

Taglio netto o strappo sofferto?

Matteo Renzi (Foto: Marco Ponzianelli © Imagoeconomica)

E sancire il definitivo divorzio tra Italia Viva ed Azione di Carlo Calenda con il “battesimo ex novo” dei gruppi parlamentari. Tutto bene dunque e vivaviva i Roses che hanno riposto pistole fumanti e trappole sulle scale con letto di chiodi a fine capitombolo?

Non tanto, avrebbe detto Carlo Buccirosso all’amico Vincenzo Salemme che gli chiedeva una notte d’amore con la moglie svedesona dop. Non tanto perché come accade in tutte le situazioni paradossali quello che ingiunge un taglio netto in opportunità implica sempre una serie di “strappi sofferti” in punto di farraginoso timing. E’ la differenza atavica tra vita e film baby, dove non ci sono i tempi morti e l’azione scorre. E siccome i due partiti hanno due leader che tengono più ad aver ragione che ad analizzare le ragioni il divorzio IV-Azione è cosa in piedi ma non cosa fatta.

Prendiamo due Aulin e cerchiamo di venirne a capo, magari senza recap eccessivi ché la telenovela tra i due è roba che Donna Francisca scansati. Partiamo come fanno quelli saggi: dalla fine cioè, con il senatore Renzi che ha ufficializzato la separazione dei gruppi parlamentari di Italia Viva e Azione di Carlo Calenda.

Renzi: “Meglio finire la telenovela”

Carlo Calenda (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Lo ha fatto condendo la decisione con parole savie che dovrebbero essere coperta alla schizofrenia del contesto, una tautologia, in pratica. “Meglio finire questa telenovela che farci ridere dietro da mezza Italia. Ho chiesto fino all’ultimo di fare la lista insieme e la risposta di Calenda è stata sprezzante. Dunque auguri a tutti e ognuno per la sua strada”.

Quale lista? Quella che avrebbe dovuto rappresentare la condensazione definitiva e pacificante di un braccio di ferro partito in primavera. La scelta cioè di andare insieme alle Europee 2024. La torta è golosa, il setaccio è stretto, il proporzionale incombe e Renzi è in corsa proprioluilui.

Lo è con un partito che ha più idee che iscritti e che rischia una debacle aurea. Cioè un’affermazione da disfatta con un corridore che alla disfatta è refrattario. Non sarebbe stato bello e Renzi aveva invitato Calenda a scegliere la via comune per il voto dell’anno prossimo. Poi soprattutto per una campagna elettorale che sarebbe stata imbarazzante, a contare quante e quali i due se ne sono dette. Ma Renzi è fatto così. In simpatica iperbole e solo con valore di “parlesia” metaforica a Roma direbbero che la sua faccia ha facili comparazioni con il pezzo di noi che la sedia di solito accoglie.

Come si chiameranno i gruppi di Iv

Ignazio La Russa (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Perciò ci ha provato, e non solo per questioni di opportunità strategica, sia chiaro. Ad ogni modo quei gruppi si chiameranno Italia Viva – Il Centro – Renew Europe. L’offensiva di fine accanimento terapeutico è scattata su due fronti, ovviamente. I deputati di Italia Viva hanno annunciato le loro intenzioni in una lettera al presidente della Camera Lorenzo Fontana. E in sincrono, nell’altro palazzone, il capogruppo al Senato Enrico Borghi ha scritto ad un Ignazio La Russa nella insolita veste di “giudice” di legittimità.

Finita? No, assolutamente, tanto che c’è stata la comunicazione della “variazione della denominazione del Gruppo”, ma c’è stata anche una contestazione interna. Quattro senatori del gruppo l’hanno considerata “palesemente illegittima”, perciò a La Russa toccherà il compito di approfondire la vicenda e audire mercoledì sia Borghi che uno dei contestatori. Si va all’italiana e in mood “sub-divorzio” quindi, per valutare “un componimento amichevole prima di operare per quanto di sua competenza”.

E Calenda? Dove Renzi trancia lui cala briscole di noncuranza stridula. “Per Azione non vi è alcun problema ad accettare la richiesta di Renzi di sciogliere i gruppi.

Illegittimità presunte: tocca a La Russa

Lorenzo Fontana (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

“Ci sembra anzi un fatto conseguente alle numerose dichiarazioni di IV e dello stesso Renzi fatte ripetutamente nei mesi scorsi”. Tutto bene quindi? No, maledizione no, perché Calenda la sua l’ha detta sui social, che stanno alla polpa istituzionale come le caldarroste stanno al low cost. E Renzi proclama ma non mette bollo tondo. Infatti “Carletto” ha rilanciato: “Fino ad ora però nessuna formalizzazione di questa volontà è arrivata da IV. In soldoni Renzi non ha mai chiesto di sciogliere i gruppi se non a mezzo stampa.

Insomma, per lui è una ucromia, cioè una roba plausibile per narrato ma farlocca per polpa. “Cambiamenti di nome in violazione dello Statuto e altri giochini infantili, non sono invece accettabili”. Poi il leader che era arrivato a Cassino per cantare il de profundis all’automotive ed indicare la via per non cantarlo più ha fatto come le mogli stanche di trovare i pelucchi sul bordo del wc.

Da Cassino alla pratica di “separazione”

“Cerchiamo di chiudere questa storia presto, bene e in modo il più possibile decoroso. Non mi pare il momento di riaprire polemiche inutili”. Il pregresso era stato il famoso “ultimatum di Renzi”, quello che per giorni era sembrato un “penultimatum tattico” per avere truppe di rincalzo ad Euro 2024. O ci si presentava con una lista unitaria oppure ciao core e si va con gruppi separati. E c’è di più: “Abbiamo scritto al Presidente del Senato per segnalare una doppia violazione dello statuto operata oggi dal Capogruppo del gruppo Azione-Italia Viva – Renew Enrico Borghi, le deliberazioni assunte oggi sono da considerarsi nulle ed agiremo conseguentemente in tutte le sedi preposte”.

I numeri delle nuove composizioni sono roba da centigrammi alchemici: alla Camera ci vogliono 20 parlamentari per fare un gruppo, anche se ci sono possibilità di occasionali e circostanziate deroghe concesse. Italia Viva ne ha 9, con Azione che ne ha 10 più uno “sparring potenziale”: chi sarebbe?

Ettore Rosato, l’ex ufficiale di plancia di Renzi che del renzismo spinto e un po’ nevrastenico si era stancato. Essere fiduciario di un politico senza diventare scaffale della sua mistica “gregoriana” era diventato prima difficile, poi sofferto, alla fine insostenibile.

La “briscola” Rosato: non è di Azione ma agirà

Rosato non è formalmente di Azione ma potrebbe stare con Azione, come i frombolieri delle Baleari con le legioni di Roma. Con Calenda e in “mood Rosato” c’è anche Elena Bonetti, che ha lasciato Italia Viva (no, Renzi, lì se si lascia si lascia Renzi) giusto prima del Congresso ed a suon di tweet spiegoni. E al Senato? Lì cambia tutto. Per un gruppo in autonomia servono 6 unità minime, con i renziani che sono a 7 grazie a Dafne Musolino e i calendiani che sono 4. Stracci che volano, carte bollate che fanno pila alta e leaderismo spinto che batte la grancassa della sua autocelebrazione.

Matteo Renzi e Ettore Rosato (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Quella e una cosa molto più terrigena: la cassa delle regole sul finanziamento dei gruppi. Insomma come in tutti i divorzi che si rispettino di mezzo ci sono non solo le idee e le pelosità tignose di forma, ma i danè. Una lettera citata da Repubblica ed indirizzata a La Russa da Azione citerebbe una possibile “violazione della disciplina del finanziamento dei gruppi”.

Lo “stracentro” e il tesoretto non più comune

Come la mettiamo? Con Renzi che di “homo homini lupus” è nono dan e punterebbe a Maurizio Lupi ed a fare talea nel governo per innalzare la soglia di sbarramento per Euro 2024? Chiariamola, magari dopo un terzo Aulin. In ballo ci sono 300mila euro di “fondi residui”.

Maurizio Lupi (Foto Vincenzo Livieri © Imagoeconomica)

Cioè? Sono soldi “di Italia Viva” che però il partito di Renzi aveva visto attribuire al Terzo Polo per “la continuità del gruppo”. Solo che il Terzo Polo poi era andato in vacca, o comunque non a crasi istituzionale. Perciò adesso ci sono soldi che sono tesoretto di un gruppo mai nato, scorporo di una parte singola di quel gruppo ed appannaggio potenziale anche dell’altra parte del mai nato gruppo.

Serve altro per chiamare il medico bravo? O per capire che in Italia ed in politica non esistono divorzi brevi ma solo scenate più forti?