Giacobini a Cinque Stelle

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di CARLO ALBERTO GUDERIAN
già corrispondente da Mosca
United Press International

 

Umiliata e lasciata sola, in balia dei cecchini politici di tutti gli schieramenti, ma in primo luogo del Movimento Cinque Stelle. Oddio, Virginia Raggi ci ha messo molto del suo per arrivare a questo punto. Si sapeva perfettamente che il “raggio magico” comprendeva personaggi provenienti da altre esperienze politiche e più in generale non si è dimostrata all’altezza del compito.

Ma il Movimento Cinque Stelle può dirsi politicamente estraneo al fallimento politico Capitale? No.

Adesso, dopo la caduta di Renzi, i Cinque Stelle volano nei sondaggi e Alessandro Di Battista parla come se fosse già loro la responsabilità di governare il Paese. In realtà la tattica è sempre la stessa: se qualche esponente grillino inciampa o sbaglia, viene isolato, disconosciuto, espulso e allontanato. Manca solo la lettera scarlatta.

A Roma però i Cinque Stelle di errori politici ne hanno fatti in quantità industriale. Non volevano vincere, preferivano restare comodamente all’opposizione, dove si può strillare contro la Casta. Sono allergici ad assumersi le responsabilità politica perché non soltanto non hanno cultura di governo, ma neppure sono in possesso di uno straccio di classe dirigente. L’onestà è un bel concetto da gridare in piazza, ma per governare non basta. Servono competenze, capacità di ascolto, di mediazione e di decisione, servono freddezza, lucidità e tempo, serve voglia di leggersi le carte e sedersi ai tavoli istituzionali.

L’impostazione giacobina dei Cinque Stelle al massimo arriva alla firma di un contratto con l’eletto, contenente clausole incompatibili con l’indipendenza e l’autonomia che vanno lasciati all’amministratore.

Indro Montanelli scrisse che gli italiani, per rendersi conto di come Silvio Berlusconi fosse non in grado di guidare il Paese, avrebbero dovuto sviluppare gli anticorpi giusti. Ma per fare questo il Cavaliere doveva arrivare al Governo.

Ci toccherà lo stesso percorso con Grillo?

A Roma i Cinque Stelle non volevano vincere e hanno schierato una quarta linea, mentre Alessandro Di Battista (quello che davvero doveva candidarsi considerando l’importanza politica della Capitale) è rimasto comodamente dietro le quinte. Quando Virginia Raggi ha vinto si è trovata a fronteggiare una situazione immensamente ingarbugliata. I penstastellati non avevano nessuno da affiancarle e lei, sbagliando, ha scelto persone di sua fiducia senza però analizzare scenari e possibili “trappole”. Alla fine dentro la “trappola” è caduta lei.

Ma lei ha preso i voti sotto il simbolo pentastellato, Beppe Grillo si è appuntato subito sul petto la vittoria di Roma. Mentre nella Capitale è emersa immediatamente la guerra delle correnti grilline, non soltanto quella tra lo “scapigliato” Alessandro Di Battista (la faccia di lotta del Movimento) e l’inappuntabile Luigi Di Maio (la faccia di Governo). Mentre Roberto Fico e Paola Taverna tuonavano contro tutto e tutti.

Adesso, vogliono farci credere che è tutta colpa di Virginia Raggi. Ma chi seleziona la classe dirigente nel Movimento Cinque Stelle? La vicenda romana dimostra che il Movimento non è in grado di governare il Paese. Anche altrove (Parma su tutti) sindaci eletti nei pentastellati hanno preso le distanze o sono stati allontanati. Governare non è facile e non bastano eccezioni come quella di Torino.

I Cinque Stelle non vanno oltre il loro cerchio magico, che ha una sola strada: obbedire al Capo in modo fideistico. Non c’è niente oltre il carisma di Grillo. Tutti gli altri sono personaggi più o meno rilevanti della stessa struttura.

Ma negli anni del populismo sfrenato è proprio questa la ricetta vincente per andare al Governo: strillare e giubilare, urlare ed epurare.

Fine 2016: Virginia Raggi nella polvere, Beppe Grillo sull’altare. Attorniato dai sacerdoti Di Battista, Di Maio, Fico e Taverna.

La classe dirigente? Chissenefrega.

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