Il giorno più lungo della Santanchè e la rete di Schlein per isolarla

Il "mercoledì da leoni" della ministra che però rischia di finire "sbranata" dalla sua stessa maggioranza. E dalla visibilità del caso Visibilia

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Il 5 luglio del 1841 nasce il turismo organizzato moderno. Vede la luce con il pastore britannico Thomas Cook, che porta un gruppo di esponenti del Movimento per la Temperanza ad una riunione di astemi. Il prelato alcol-free si fa pagare uno scellino a testa ma qualcosa va storto e molti gli chiederanno i soldi indietro, invitandolo a dare spiegazioni in pubblica assemblea. I corsi e ricorsi della storia si affacciano maligni per il 5 luglio prossimo, quello del 2023. In quella data la ministra del Turismo Daniela Santanchè dovrà riferire in aula al Senato sulla vicenda legata all’inchiesta di Report sulle sue aziende. E l’alcol qui c’entra solo come sbornia di polemiche.

Due step cruciali con il turismo denominatore comune e una sola data. Perché la Storia sa essere beffarda, e perché Google e Charles Reade ci aiutano a renderla tale, ovviamente, ma senza troppa artificialità. Alla data di mercoledì 5 luglio dunque la titolare del Turismo in forza al governo guidato da Giorgia Meloni dovrà riferire. Lo farà alle 15 con una informativa.

La spiegazione “comoda” della ministra

Daniela Santanché (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Alla fine la convergenza tra necessità di spiegare e comodità istituzionale di farlo senza contraddittorio sono arrivate a massa critica. La Conferenza dei capigruppo ha preso la sua decisione. Quella di Palazzo Madama ha dovuto pronunciarsi su un problema che è politico e che non ha maniglie procedurali e giudiziarie definite. Ma che forse proprio per questo motivo è cruciale. Lo è perché da un lato quella mancanza di riscontri giudiziari sull’operato della Santanchè è diventata “bianchetto goffo” per sminuire la cosa sul fronte dei sodali.

Dall’altro ha innescato una ridda di reazioni politiche sui fronti avversari. Reazioni che non potevano non condurre alle Spiegazioni Ufficiali, dato che il polverone è obiettivamente fitto e il merito parrebbe greve, se non grave. Insomma, lì dove in un Paese normale la ministra avrebbe dovuto riferire con l’automatica e blanda quiescenza di un governante su cui aleggiano ombre, da noi non è stato così. Da noi a quella soluzione ci si è arrivati per pressing.

Pressing anche e soprattutto politico, come quello attuato da Elly Schlein. La segretaria dem ha confezionato un ordine del giorno-capestro per il governo. Quale? Quello con il quale, in surfing con la nascente Commissione parlamentare sul tema, chi abbia lucrato sul Covid andrà punito. E da Bruxelles, dove ha incontrato il circolo Pd ed un Paolo Gentiloni finito nel mirino di Giorgia Meloni sul Pnrr, Schlein ha calato l’ascia. Lo ha fatto con la dialettica inclusiva e convergente di chi ha messo in risalto un aspetto in particolare. Quello dell’imbarazzo generale sul caso Santanchè, imbarazzo anche in maggioranza.

“Volevo ringraziare la maggioranza per aver votato il nostro Odg insieme a noi: evidentemente condivide la gravità di quanto sta emergendo sul caso Santanchè, la quale deve venire a riferire anche alla Camera e non solo al Senato. La chiosa sul voto, “sintomo dell’imbarazzo diffuso anche nella maggioranza e che il Pd ha contribuito a far emergere”.

L’odg “cappio”, ma la ministra è d’accordo

Quell’ordine del giorno del Pd al dl Lavoro è stato votato alla Camera anche da quasi tutta la maggioranza. Non lo ha votato solo Noi Moderati di Maurizio Lupi. Esso impegna l’esecutivo “a sanzionare gli operatori che avessero usufruito in maniera fraudolenta” della Cassa integrazione Covid. E i segnali politici interni si fanno più fitti, con la Lega che invita la Santanchè alla “responsabilità” qualora dovessero emergere “illeciti” nella sua attività da imprenditrice. Tradotto: dimettersi è molto più che una pia ipotesi. E la diretta interessata? Blanda e sodale con la scelta: “Hanno fatto bene, sono d’accordo. Mi sembra giusto che il governo faccia la sua parte. Quando verrò qui mercoledì non avrò problemi”.

E che ci sia stato pressing è una cosa buona perché i media si confermano anticorpi vigorosissimi contro il presunto malaffare. Ma meno buona per l’etica di una politica ancora in parte arroccata. Politica che protegge se stessa più che l’oggetto della sua mission. E che tende da sempre a mettere la partigianeria prima dell’obiettività, la strategia di sopravvivenza prima dei protocolli di chiarezza.

Quanti cieli si sono aperti dopo l’inchiesta

Le aziende ritenute riconducibili alla ministra del Turismo sono finite sotto la lente del Ranucci-team ed apriti cielo, anzi, apritevi cieli. Si sono aperti quelli di chi nella Santanchè ci vede un ossimoro politico a prescindere, poi quelli di chi vuole chiarezza sperando che non ne venga fatta. E soprattutto quelli di chi dalla chiarezza aspetta la possibilità di tirare un sospirone di sollievo, prima fra tutti Giorgia Meloni.

La premier, reduce dalla controversa relazione alle Camere su Pnrr, Mes, Ucraina e migranti prima del Consiglio Ue, ha infatti più di un guaio grosso in casa. Ce l’ha perché nei Paesi democratici i guai politici sono anche pubblicistici in purezza. Vale a dire che non devono necessariamente arrivare da ciò che “per tabulas” declinano i fascicoli delle Procure. In attesa del 5 luglio è scattato nel frattempo il timing delle considerazioni sul caso. Ignazio La Russa, Presidente “Fratello” del Senato e pare legale della Santanchè in alcune vicende, è stato protocollare. Quell’informativa “non costituisce un precedente, la ministra avrà piena libertà di decidere se riferire solo al Senato o in entrambe le Camere.

La Russa, Ciriani e il “caso mediatico”

Luca Ciriani (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Il ministro dei Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani ha privilegiato il loop floscio della benevola concessione che la ministra sta facendo alla Verità. Messa così la Santanchè da lui interpretata pare una generosa notabile che si pregia di spiegare ciò che potrebbe anche non spiegare.

“Ringrazio la ministra Santanchè per la sua disponibilità, non era tenuta a questa informativa. Siamo di fronte ad un caso che si è creato unicamente per una trasmissione televisiva”. Dove “unicamente” sembra riecheggiare Richard Nixon quando disse: “Tutto questo per un presentatore di donnine?”. Poi però quel “presentatore di donnine”, Dave Frost, lo mise all’angolo, poi a terra. E lo fece dimettere con sette domande terminali secche. (Leggi qui).

Ma perché la ministra non risponderà a domande precise dei parlamentari? Questioni di merito e calendario, pare. “Il Governo ha ritenuto non accoglibile la richiesta di un fuoco di fila nel question time che avevano fatto le opposizioni. Primo perché c’erano già altri ministri al question time, Bernini e Nordio. Poi perché il question time si sarebbe trasformato in un tiro al bersaglio.

Non chiarezza, ma “tiro al piccione”

Ignazio La Russa

Dunque, la legittima facoltà di un organo legislativo di porre domande ad un membro di esecutivo diventa, nell’epos di questo Palazzo Chigi, una specie di ingrato e gratuito tiro al piccione.

Poco da fare, il vero nodo in gola ce l’ha la Meloni che da tempo parla per sé e da sé. E che ha “perso sua sponte” Mario Sechi come coordinatore del suo ufficio stampa: ha le valigie pronte ed una volta lasciato il suo attuale incarico a Palazzo Chigi sarà indicato alla direzione del quotidiano Libero del parlamentare leghista Antonio Angelucci. Le ultime parole della premier sul tema lo dicono tra le pieghe di una narrazione blanda ma che ha fallito nel suo maquillage alla camomilla. Attenzione, leggere bene. Ha detto Meloni:L’ho vista tranquilla in queste ore come sono tranquilla io. Io che leggo ogni giorno ricostruzioni su quando andrà a casa il governo”.

Analisi: la Meloni ha detto che lei la Santanchè “l’ha vista tranquilla”. Non ha detto che a suo giudizio la stessa a stare tranquilla fa bene. Tradotto: la ministra farebbe bene a dimostrare che sì, c’è di che stare tranquilli. Poi Meloni ha virato ed ha toccato il tema più mainstream, quello della possibilità che il caso Santanchè sia siluro per il suo esecutivo. E ha detto sardonica: “Temo che bisognerà aspettare ancora un po’”. Ed ha ovviamente ragione.

Di pecore, pastori e ricorsi storici

Analisi: la Meloni sa benissimo che le sorti del suo Governo ed un eventuale inciampo della Santanchè non sono in nesso causa-effetto. Non lo sono perché, poveracci noi, in Italia non cadono governi “solo” ove provato che un ministro ribaldeggi, non è mai accaduto. Però si è sentita in dovere di mettere tranquilli quelli che aspettano la caduta, impalcando spavalderia dove in realtà bastava solo un po’ di mesto buon senso.

In tutto questo c’è un rischio, rischio che passa per il diritto di chi ha dato delega di governo. E che in virtù di quella delega non può operare per la verità ma solo invocarla: i cittadini. O almeno quei pochi di loro non ammalati di partigianeria a prescindere. Il rischio è che tra qualche giorno la Santanchè possa andare in Senato forte del gancio di una comunicazione unilaterale.

Ed offrire perciò una versione-clone delle sue sprezzanti reprimende contro il giornalismo schierato invece che una sistemica spiegazione su fatti poco chiari. Potrebbe avere elementi a sua discolpa e non usarli appieno, persa nel furor di contrattaccare in punto di tigna. Ed anche qui i corsi e ricorsi storici sono stati maligni e sul pezzo. Perché a proposito di cose copiate sempre un 5 luglio, ma del 1996, accadde un’altra cosa. Nei laboratori scozzesi del Roslin Institute nacque la prima pecora-clone: Dolly. Non simile al gregge, ma solo uguale a se stessa.