Il j’accuse del giudice: «Cassino e Frosinone capitali mafiose»

L'inaugurazione dell'Anno Giudiziario. Con le nette prese di posizione della Corte d'Appello di Roma. Via le foglie di fico: le mafie hanno colonizzato il Sud del Lazio fino a Roma. Troppi processi per casi che non stanno in piedi. Il procuratore generale chiede più coraggio. Il Presidente dubita dell'efficacia della bulimia da riforme

Per quantità e qualità dei fenomeni che si sono progressivamente radicati nel territorio della Capitale ma anche nei circondari di Latina, Velletri, Cassino e Frosinone, la realtà criminale del Lazio è oramai comparabile a quelle delle “capitali storiche” della criminalità organizzata del Paese. A Roma pochi giudici fronteggiano una criminalità in crescente espansione“. I clan hanno preso Roma ed i territori fino al confine con la Campania. Al punto da essere come le grandi Capitali di mafia. Non ha dubbi il Presidente della Corte di appello di Roma, Giuseppe Meliadò: non lo dice di nascosto ma lo scandisce a voce alta nella sua relazione in occasione della inaugurazione dell’Anno giudiziario.

La conferma nei numeri

L’Aula della Corte d’Assise di Cassino

Per il presidente della Corte d’Appello della Capitale questa situazione è confermata dai “numeri dell’ufficio Gip-Gup del Tribunale di Roma. Segnalano che, nell’anno decorso sono pervenuti ben 28 nuovi procedimenti con oltre 30 imputati (con un aumento del 27,3% rispetto all’anno precedente) e complessivamente 267 procedimenti riferibili a reati in materia di criminalità organizzata. Testimoniano, insieme ai grandi numeri delle misure di prevenzione, anche le influenze crescenti del crimine organizzato sulle attività economiche“.

Un quadro che vede “il coinvolgimento di soggetti che appartengono alle fasce più giovani della popolazione, spesso appena maggiorenni ed incensurati. – spiega – Vengono utilizzati per conservare o trasportare consistenti quantitativi di sostanze stupefacenti, normalmente in contatto solo mediato e indiretto con i mandanti, legati alle grandi organizzazioni criminali. Li forniscono di telefonini cellulari e di autovetture appositamente noleggiate per l’occasione“.

Bulimia da riforme

Giuseppe Meliadò, Presidente della Corte d’Appello di Roma (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

C’è di peggio. Per il presidente della Corte di appello di Roma da alcuni anni a questa parte tutti i Governi si sono fatti prendere dall’urgenza di riformare la Giustizia. Anche perché così com’è, l’Europa non la considera all’altezza. Ma si è arrivati ad una specie di bulimia da riforma, cambiando in continuazione senza nemmeno aspettare gli effetti della riforma precedente. Mentre il problema si sarebbe potuto risolvere più facilmente: dotando di uomini e mezzi adeguati gli uffici giudiziari.

Nel dettaglio, Giuseppe Meliadò dice “Nell’anno trascorso hanno iniziato a dispiegare i propri effetti le riforme processuali civili e penali. Riforme che, con incessante frenesia, il legislatore ha varato per arginare i tempi del processo, secondando le sollecitazioni della Commissione europea, anche se il problema era da lungo tempo nella nostra agenda istituzionale“.

Per Meliadò il “processo civile, dal 1990 ad oggi, è stato un cantiere continuo di riforme, che è stato sconvolto da una bulimia riformatrice, che produce riforme senza attendere gli esiti di quelle già varate. E comunque sconvolto dalla decisa sottovalutazione dell’idea che, nel nostro Paese, il problema della giustizia civile non è un problema di rito, ma eminentemente di risorse poste a disposizione della giurisdizione e della loro efficiente organizzazione”.

A processo una marea di innocenti

L’inaugurazione dell’anno giudiziario in Corte d’Appello (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Il presidente non è più ottimista per quanto riguarda il processo Penale e la possibilità di ridurre i processi ed i loro tempi grazie alle nuove norme. “La riforma Cartabia – ha detto Meliadò – poteva osare di più rispetto al vero male“. E ancora: “È difficile ipotizzare che nella Corte di appello di Roma il complesso di interventi che hanno riguardato il processo penale siano in grado di determinare a breve un significativo cambio di passo nei tempi di definizione del processo penale, considerato complessivamente nei suoi vari gradi e nelle varie fasi del giudizio“.

Nel Lazio “sono state emesse 36.567 sentenze di primo grado, di queste 17.399 sono state pronunce assolutorie, con una percentuale complessiva del 47,5%“. Numeri forniti dal Procuratore generale della Corte d’Appello di Roma, Salvatore Vitello, nel corso della sua relazione.

Per il Procuratore Generale i suoi colleghi dovrebbero evitare di portare in dibattimento dei casi che evidentemente non possono essere sostenuti, finedo solo per intasare le Aule. “Disaggregando il dato complessivo – spiega infatti Vitello – si può evidenziare come le percentuali di sentenze assolutorie siano difformi a seconda delle sezioni interessate. Infatti, l’analisi dei dati consente di ricondurre la maggiore percentuale di assoluzioni alle sezioni monocratiche dei Tribunali, gravate dalle citazioni dirette del Pubblico Ministero”.

Cosa significa? Che la maggior parte delle assoluzioni viene dalle sezioni dove l’Accusa salta il filtro del Giudice delle Udienze Preliminari, nella convinzione di avere abbastanza elementi per sostenere il processo. E invece pare che non li abbia.

Carceri affollate

Salvatore Vitello, Procuratore Generale della Corte d’Appello di Roma. (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

“È auspicabile che, in virtù della riforma e del nuovo parametro di giudizio, l’incidenza delle sentenze di assoluzione possa essere ricondotta ad una misura più “fisiologica”, con corrispondente ampliamento delle richieste di archiviazione”.

I penitenziari sono pieni. In questo modo la pena non cerca di redimere il condannato ma diventa punizione e basta. Ma il nostro ordinamento prevede altro. La capienza regolamentare complessiva degli istituti penitenziari della regione è di 5.287 posti, con un tasso di affollamento medio pari al 119,2 per cento. Anche in questo caso i numeri li fornisce il procuratore generale della Corte d’Appello di Roma, Salvatore Vitello.

C’è anche un altro fenomeno. Nel Lazio le “dinamiche di crescita della popolazione detenuta risultano più intense sia per quanto riguarda i detenuti con pene inferiori a 5 anni”. In pratica? Non finiscono dentro i grandi criminali ma persone che devono scontare meno di 5 anni. Sono cresciute del 10%. Crescono anche le carcerazioni per condanne di entità superiore. Ma crescono meno.

L’unico dato positivo: diminuiscono nella nostra regione le persone detenute in attesa di giudizio: il calo è del 6,5%.