La Direzione ostinata e contraria di Elly

Il Segretario incassa la fiducia. Ma fino alle Europee. La Direzione mette in evidenza tutti i limiti di chi pensa che un Partito sia un Movimento. E forse vorrebbe operare la trasformazione

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Alla Direzione nazionale Elly Schlein ci è arrivata con più croci sulle spalle del solito ma con le solite spalle forti, da leader “capatosta” che non scappa dalle correnti avverse e che le affronta. Sono spalle che devono reggere il peso di un pluralismo di ghisa e di una narrazione recentissima che ha messo ancora una volta la Segretaria dem sulla mezza graticola di una gestione in punto di equivoco.

L’ultimo peso in parte scomoda della bilancia è arrivato dalla discussa partecipazione alla manifestazione del M5S nel corso della quale il solito Beppe Grillo ha tirato giù una briscola poco elegante ma decisamente passata in iperbole interpretativa. (Leggi qui: Quel passamontagna scomodo che Grillo ha messo in testa a Schlein).

Ventuno pagine

Elly Schlein (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Episodi marginali a parte, il compito di Schlein era doppio: dettare la linea e soprattutto verificare se la linea fosse ancora univoca nella complessità di un partito che la riconosce come sintesi. Ma senza sconfessare le singole antitesi delle correnti. Roba da emicrania permanente.

In 21 pagine la Segretaria ha dettato l’agenda estiva che farà da ponte alla scadenza delle Europee 2024. Le chiavi di lettura nella visione Schlein sono tre: il Partito deve essere leale con lei; le anime del Partito sono una ricchezza ma che quella ricchezza continui ad essere vista come tale dipende solo da chi ha posizioni eccentriche e da come le sostanzierà nei prossimi mesi. Se si critica con sincerità va bene, se però al Nazareno si gioca a tessere trame bene non va affatto.

Il che però non ha fatto altro che aumentare l’irritazione epidermica in molti dei presenti. Perché la storia personale di Elly Schlein non consente questo genere di richiami: avendo lei per prima costruito la sua figura politica sulla slealtà verso il gruppo dirigente, contestato in maniera plateale anziché sollevare un dibattito. Ed essendo, lei per prima, uscita dal Pd per riprenderne la tessera solo poche settimane prima del Congresso. Nel quale gli iscritti le hanno preferito Bonaccini. E poi solo l’assurdità di uno Statuto unico in Italia ha permesso a non iscritti di sceglierla come guida di chi non la voleva.

L’alibi della mobilitazione

Elly Schlein (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Lo scopo ora è “mobilitare tutto il Partito sulla nostra agenda per l’Italia e per l’Europa“. Da sempre quando nel Pd gli imbarazzi superano le caselle in avanti la parola chiave è “mobilitazione”. Perché dà il senso di uno sforzo congiunto e lo da esattamente quando ci sono cose da congiungere. E quella ha chiesto la Schlein: “Oggi è il momento di chiedere a tutto il partito, a tutte le sue articolazioni sul territorio, a tutto il gruppo dirigente, a tutte le iscritte e gli iscritti, di mobilitarci insieme su questa nostra agenda”.

E l’estate dem sarà “militante, che ci porti per le strade e tra la gente, raccogliendo bisogni e proponendo soluzioni. Facendo da punto di riferimento per coloro che già vivono sulla pelle le conseguenze delle scelte del governo di Giorgia Meloni“.

È un progetto di un’evanescenza assoluta. Perché appena sei mesi fa la gente ha già detto chi ritiene sia l’interprete dei suoi bisogni e da chi ritiene di dover avere soluzioni. Si chiama Giorgia Meloni. Ed è una bruttissima bestia politica per ilPpd perché viene da una matrice politica che ha nel suo Dna la parola ‘sociale. In quelle strade dove Schlein chiede di andare ci sta già Fratelli d’Italia.

Subalterni

Elly Schlein e Giuseppe Conte a Firenze (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Nemmeno sono arrivate risposte all’accusa di subalternità al Movimento 5 Stelle. La risposta è stata di un’ovvietà imbarazzante perché priva di prospettiva: non siamo autosufficienti. Nemmeno Fratelli d’Italia lo era. Ma si è attestata sulla sua identità anziché scimmiottare la Lega o andare appresso a Forza Italia. E alla fine il suo progetto identitario è passato.

Manca una risposta ad un’evidenza assoluta: tra Pd e M5S ci sono più discrasie che convergenze. Su salario minimo, Pnrr, lotta all’autonomia differenziata di Calderoli ed al precariato con Giuseppe Conte i margini di dialogo ci sono. Ma su specifiche nicchie della questione ambientale ed in particolare sulle armi all’Ucraina dem e pentastellati viaggiano ciascuno sul suo binario. Le esigenze elettorali spingono ad una crasi ma le linee maggioritarie dei vertici sono un possibile divaricatore delle stesse.

La “guerra” della Schlein passa anche per la Guerra intesa come Cecilia. Il particolare è di rilievo perché rappresenta un suggello funzionale e politico al contempo. Sul tema del salario minimo la Segretaria andrà in diarchia con la donna forte di Articolo 1 che da pochi giorni non è più un partito a sé stante ma un’associazione organica al Pd. Ma, come citato dalla stessa Schlein che ama i riferimenti pop, “tra la partenza e il traguardo, in mezzo c’è tutto il resto, e tutto il resto è giorno dopo giorno, e giorno dopo giorno è silenziosamente costruire“. Un tempo nel Pd si citavano e ci si ispirava a filosofi impegnati: ora il filosofo del Pd è Niccolò Fabi.

Mattonelle sconnesse

Lorenzo Guerini

Lorenzo Guerini ha definito la parte finale della relazione di Schlein “inutilmente polemica”, come a sottolineare che la Segretaria ha impugnato il microfono in regime di “excusatio non petita”. Peppe Provenzano ha invocato “luoghi dove maturino democraticamente le decisionifacendo capire alla Segretaria che non si va a farsi strumentalizzare da Grillo senza prima essersi confrontati con il Partito.

E Gianni Cuperlo ha sospeso la terapia del dolore dei dem scoprendo il Nervo Supremo: “Compito di chi guida è tenere unito il Partito“. Come a dire che finora la Schlein ha unito solo quelli che unitari lo erano già. Lia Quartapelle chiede tutta la riunione in streaming e si becca due reprimende: la prima di Stefano Bonaccini che deve fare il Presidente e spiega che in streaming si fa solo la relazione, la seconda della stessa Schlein che con una puntina di curaro spiega che il Pd a cui in protocollo alludeva la Quartapelle è “quello di Renzi. Non c’è più Renzi“.

A fare l’uomo-mastice ma con una robusta venatura alla maestro Myiagi, quelle in cui si è benevoli per far capire che gli allievi sono ancora pivelli, ci ha pensato proprio Bonaccini. Il momento non richiede strappi, non ancora almeno, non prima delle Europee 2024. “Voglio essere chiaro: nessuno pensi che indebolendo Elly il Pd diventi più forte. Vorrebbe dire tagliare il ramo su cui siamo seduti”.

Il pilota Bonaccini

Stefano Bonaccini

Poi il buffetto da vecchio pilota scafato che spiega al navigatore come si fa a guidare adesso che il volante ce l’ha lui: “Ma alla Segretaria dico che se gestione unitaria deve essere, si discuta di più e meglio di quanto fatto fino ad ora. Serve uno scatto e credo se lo aspettino anche i nostri territori, i nostri circoli“.

Lo scatto del Pd e gli scatti con cui esso ancora oggi procede saranno il claim di un’estate che non sarà una resa dei conti, ma che si candida a diventare preliminare per la stessa. Dopo le Europee. Lì si conteranno tutti e se non ci saranno i risultati scatterà qualcosa di più che un sottile dissenso mascherato da dialettica.