La “Passione” di Salvini e la resurrezione di Abbruzzese

La “Passione” di Salvini e la Lega congressista che non preoccupa Abbruzzese. Perché agli affanni del Carroccio sta già dando una risposta: la riscoperta dei territori e la loro posizione al centro

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Abbiamo bisogno di un’Ue che abbia una vera identità politica. Serve un’azione che risponda ai valori che hanno contraddistinto la sua fondazione”: il cardine sta tutto là, nei valori fondativi di un sistema complesso. Mario Abbruzzese lo sa benissimo, lo sa al punto tale da essere dieci passi più avanti del suo Partito, quella Lega per cui correrà alle Europee. E nel nome della quale ha lanciato la sua corsa con già due step in Toscana ed uno, recentissimo, nelle Marche.

Ma è una Lega che in tema di valori primigeni sta passando qualche guaio, guaio grosso. E che ha un leader in “passione”, a contare che è la prima volta da quando nel simbolo c’è quel mai cassato “Salvini premier” che il medesimo è messo in discussione ufficialmente. E non sotto il suo ufficio ministeriale di Roma o a San Siro dove va a tifare Milan, ma a Pontida. Il che è un po’ come cazziare Diderot usando una voce dell’enciclopedia. In Abruzzo il Carroccio si è fatto (ri)doppiare da Forza Italia, un po’ ha tenuto ma è pochino.

Il nodo dei territori

Mario Abbruzzese

Il nodo principale sta in una parola: territori. La Lega nacque perché i Partiti tradizionali vedevano l’Italia nel suo insieme ignorando i segnali sempre più forti che venivano dal loro interno. Nei Ds sindaci come Massimo Cacciari, Antonio Bassolino, Piero Fassino, si sgolarono per far comprendere ai loro vertici quanto fosse necessario un Partito a due velocità: uno basato sulle esigenze del Paese ed un ben sintonizzato sulle esigenze dei territori. Non vennero ascoltati e la Lega è una delle conseguenze.

Ma se la Lega perde l’elemento che ne ha innescato la nascita finisce per perdere la sua natura. E quell’elemento non è una secessione egoista da cui deriverebbe un Nord più piccolo e debole. È invece la capacità di sintonizzarsi sui territori. Ed è esattamente l’elemento che in queste settimane sta cavalcando con sempre più convinzione l’ex presidente del Consiglio Regionale del Lazio, Mario Abbruzzese.

Dalla Toscana alle Marche ai centri del Lazio che finora ha visitato ha messo al sotto i riflettori un concetto: che il Centro Italia è formato da splendide identità che però solo nel loro insieme costituiscono una forza. Due esempi rendono più chiaro il concetto. Il primo: l’Università di Cassino e del Lazio Meridionale ha il suo polo di ricerca e sviluppo sull’Energia elettrica che lo contraddistingue da anni; ma ha cercato uno sbocco Europeo ed ora è inserito in un pool di dieci atenei continentali che favoriscono l’interscambio tra i loro studenti. Eccellenza di territorio che diventa forza se si interfaccia con gli altri e non si isola.

L’Aula Magna dell’Unicas

Il secondo. Lo stabilimento Stellantis Cassino Plant è un’eccellenza nel segmento Premium dell’automotive. Ma per esserlo deve interfacciarsi con una dimensione continentale che favorisca lo sviluppo e l’innovazione di processo e prodotto: la filiera dell’indotto è sempre più interconnessa e la dimensione dell’Italia centrale è un insieme. Fino a poco tempo fa i semiassi con tecnologia powetrain arrivavano dalla toscanissima Campi Bisenzio. La debolezza dell’automotive – sostiene Mario Abbruzzese – è iniziata quando ognuno ha cominciato a pensare solo al suo stabilimento e non in termini di insieme, da rappresentare nella sua interezza. A Bruxelles come a Roma, Torino e Parigi.

I congressi in provincia di Frosinone

Un altro nodo sta tutto nei Congressi. In quella stagione di rinnovamento in purezza cioè che ad esempio in Provincia di Frosinone ha portato Fratelli d’Italia e perfino la califfante Forza Italia a scendere a patti con le rispettive basi. E decidere i quadri sulla scorta dei desiderata maggioritari di chi dei Partiti è nerbo: le donne e gli uomini che li mandano avanti dal basso.

Umberto Fusco e Davide Bordone (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

La Lega non era stata da meno ed a settembre 2023, nel Lazio, aveva mandato al voto 600 delegati per eleggere responsabile il già commissario Davide Bordoni. Claudio Durigon gli aveva lasciato il posto giusto prima di andare in Sicilia dietro input del Capitano che sull’isola vuole ramazzare voti che si preannunciano scarsini.

Una ramazza che era stata la forza di Matteo Salvini quando è andato al capezzale di una Lega in disfacimento sotto l’ombra delle brutte figure rimediate con i milioni di euro non rendicontati, i diamanti, i titoli di studio comprati in Albania, trote e delfini. La ramazza fu il simbolo di quei giorni. E Salvini la impugnò così bene da portare la Lega oltre il 35% alle scorse Europee nel Centro Italia. Commettendo poi però lo stesso errore di chi l’aveva preceduto: arroccarsi.

Ed è proprio di ramazza che si parla in questi giorni, ma stavolta è una scopa che punta dritta alle terga del segretario nazionale. Che aveva addirittura rinviato sine die il patto con l’Udc di Lorenzo Cesa temendo che i suoi glielo bocciassero. Il clima è quello insomma, un clima che ha visto Salvini incassare anche lo schiaffo del Senato sul no al terzo mandato.

Un nuovo simbolo, per cadere in piedi

Luca Zaia

Sono giorni non proprio solari per il vicepremier e ministro pontiere. Lo sono perché il ruolo che Salvini si è scavato, quello di caotico oppositore di Giorgia Meloni che insegue ogni iperbole possibile, non produce effetti. Non spinge il Partito avanti nei sondaggi e prefigura una (possibile) debacle elettorale del Carroccio per il voto europeo di giugno. Lui si è sbracciato a Winds of Changes ed ha incassato l’endorsement di Elon Musk ma è fuffa. Perfino il “padre fondatore” Umberto Bossi era tornato alla carica qualche settimana fa: “Vogliamo rimettere a posto la Lega. Salvini ha le sue idee, ma bisogna vedere se sono quelle giuste“.

Luca Zaia Salvini lo vorrebbe spedire a Bruxelles per non avere un antagonista “senza incarico” quando si farà nuvolo, ma Zaia non ci starebbe affatto. Sa che subito dopo Pasqua si farà qualche conto e vuole stare davanti al pallottoliere, non fuori dalla classe.

L’insicurezza palese di Salvini è testimoniata dal “paracadute” che si è fatto in questi giorni. Il vicepremier ha depositato un nuovo simbolo, “Italia sicura”. Così se i suoi lo dovessero attendere con i pugnali lui sarà Fenice con piume nuove e piumaggio vecchio. Il Foglio spiega che “i militanti lombardi ne parlano come un contenitore in caso di disgrazia”. Una “panic room” del Capitano insomma in caso di situazioni alla Bounty.

Mario il pragmatico e Matteo il polemista

Mario Abbruzzese

I candidati intanto stanno approntando le loro singole strategie per assaltare il fortino “ursuliano” e tra loro il cassinate Mario Abbruzzese spicca per le sue rotte quadrate. Per una ricerca di consenso cioè che passi per il filtro di una competenza territoriale che è un po’ come la “patente nella patentedi aspirante europarlamentare.

Tuttavia lassù, in alto, le cose non vanno benissimo, e qualcuno lo aveva già voluto ricordare a Salvini a metà marzo. Attenzione: non con il frondismo interno e sotteso dei cui toni agri qualcosa trapela sui media più scafati. No, quello a Salvini è stato un attacco frontale che preannuncia un redde rationem subito dopo il voto di giugno, se non prima, con la bisboccia di Pasquetta ancora a girare in testa. Il comunicato che aveva aperto la stagione del fuoco amico senza il sorbetto del governismo alla Zaia era stato quello di Paolo Grimoldi, ex segretario lombardo della Lega.

Che aveva scritto cose che neanche in zona Papete erano comparse. Il tutto accompagnato da uno striscione contro Salvini proprio nella “mezzaluna fertile” del Carroccio: “Da indipendenza a sudditanza i militanti ne hanno abbastanza – Congresso subito“. Ad allocare e guardare quella frase acida il pratone: quello vero ed ampio, quello delle ampolle, del federalismo, delle folle oceaniche che per Salvini avrebbero abbruciato cento vessilli patrii.

L’attacco di Grimoldi: proprio sul pratone

Lo striscione di contestazione

Poi un lungo post social che spiegava meglio, ma che lo faceva in modalità lama girata nella ferita aperta. “Siamo un gruppo numeroso di persone iscritte alla Lega, militanti stanchi di essere vessati. L’azione che abbiamo portato avanti a Pontida vuole risvegliare le coscienze dei militanti leghisti”.

Sì, ma come, e contro chi?Andremo avanti con molte altre azioni analoghe e sappiamo che ormai siamo la maggioranza a urlare che così questa Lega non va bene!. L’analisi è impietosa e per certi versi condivisibile anche da chi non ha Alberto Da Giussano appuntato in bavero. “Il nostro Partito non può più andare avanti così: manca una strategia e mancano delle proposte vere ma soprattutto un ideale. Questo succede quando si vuole annullare ogni forma di dibattito interno mandando avanti solo chi dice sempre ‘si padrone’”.

Con chi ce l’avevano i frondisti? Il dato è che in linea politica, comunicazione e condivisione di interessi plastici della sua nuova Lega duttile Salvini ha messo in piedi una squadra tutta sua. Con Andrea Crippa e Massimiliano Romeo, in particolare, il leader ha lo stesso rapporto simbionte che c’era tra Holmes e Watson, dove il secondo paga sempre pegno alle stramberie del primo. Primo che però era due cose: personaggio di fantasia e genio assoluto, due cose che legano malaccio con Salvini.

Il dissenso ed il territorio

Matteo Salvini (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Insomma, come spiega il post al vetriolo, “nella Lega si è creato un nuovo cerchio magico che fa solo gli interessi di pochi. E non quelli del territorio e dei militanti, vera base popolare su cui la Lega si è sempre fondata“. Si è arrivati ad un punto di non ritorno su quello che è un aspetto cruciale della vita di ogni partito: il diritto al dissenso. Un diritto che non aveva lasciato immune neanche Gian Marco Centinaio.

Dove nel Pd ce n’è tanto e tale da creare affanni nella Lega ce n’è tanto poco da innescare asfissie. Almeno finora: “Nel nostro Partito il dissenso interno viene messo ai margini, soffocato ed escluso ma la maggioranza siamo noi e il tempo per gli yes-man sarà presto finito. Ora basta: Vogliamo tornare a essere un Partito che ha veramente a cuore il territorio che in questi anni è stato maltrattato dalla classe dirigente”.

Ed ecco che il tema di Abbruzzese, ritorna. Anche nell’estremo Nord dicono che è il territorio ad essere centrale. La lunga corsa di Mario Abbruzzese poer staccare il biglietto con destinazione Bruxelles sta a confermare un concetto. E cioè che la Lega di oggi non è una Lega solo nordista ma è un Partito che se vuole sopravvivere deve riscoprire quella stessa vocazione per cui nacque e che oggi i militanti gli ricordano. Quel concetto di territorio da ascoltare, sintetizzare e rappresentare, che Mario Abbruzzese si sta sforzando di portare in tour per il centro Italia.

Dopo le Europee si fanno i conti

Mario Abbruzzese

E il sunto? “Congresso della Lega subito”. Eccole, le dolenti note, a considerare timing e circostanze plausibili di scenario futuro. Il voto europeo si configura sempre più come uno spartiacque per le sorti non tanto del Partito, ma di chi oggi lo rappresenta al vertice. E che dall’altro di quel vertice sta pagando pegno a briscole sovraniste poco gradite alla base e poco utili per fare cambiare idea alla stessa. Perciò per Salvini c’è una tappa certa, obbligata e potenzialmente nefasta: quella del prossimo luglio.

Lo riassumeva bene e minacciosamente la chiosa di Grimoldi: “Lanciamo un appello ai militanti veri che credono ancora nella vera Lega. Quando ci sarà il congresso portate una scopa, sarà un nuovo inizio per il nostro partito. Libertà!“. Ed a contare che proprio una ramazza è quella che è stata lasciata accanto al lenzuolo con lo slogan dei frondisti conviene farsi due conti. Perché dalla parola “ramazzate” basta togliere la prima sillaba per avere la possibile silloge del destino di un capitano che vive una perenne settimana santa.

Capitano che non è ancora in scialuppa a guardare il suo Christian Fletcher, ma di certo non sta più sul cassero del vascello. E per il quale risorgere sarà cosa dura assai. Se non si riporta sul Carroccio quello che nel Centro Italia un ex presidente del Consiglio Regionale si sta sforzando di mettere sotto gli occhi di tutti: un territorio che non è rappresentato è destinato al declino.