Mentre il Governo “colora” le Regioni, lo scienziato guarda avanti e invita ad aumentare il tracciamento, collegandolo con i sistemi informatici. Dice: “C’è riuscito il Vietnam, può farlo anche l’Italia”.
Il fatto che nessuna Regione abbia il colore verde vuol dire che in Italia non ci sono zone dove non esiste soglia di rischio per il Covid-19. E proprio mentre il Governo attribuiva il giallo, l’arancione e il rosso ai vari territori, Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, spiegava: «La circolazione del virus è particolarmente attiva, sostanzialmente in tutti i Paesi europei. In Italia c’è una incidenza molto elevata con un picco significativo nelle ultime settimane. Ci sono regioni dove la circolazione è particolarmente elevata ma l’idea importante di questa evoluzione è che il virus, a differenza della prima ondata, circola in tutte le Regioni».
Il che vuol dire che è complicato provare a tenere sotto controllo il virus differenziando le restrizioni nelle Regioni.
Ormai controllare è complicato
Andrea Crisanti, docente di microbiologia all’Università di Padova, guarda già avanti. Alla terza ondata, probabilmente già alle porte.
Afferma: «Possiamo abbassare la trasmissione virale con il lockdown, con vari tipi di lockdown e diversi tipi di restrizioni, oppure possiamo usare in maniera intelligente i test rapidi. Ma queste due soluzioni lasceranno sempre una trasmissione residua, che può di nuovo reinnescare il contagio».
Allora, come evitare la terza ondata di Covid-19?
«C’è solo un modo: creare nel nostro Paese un sistema di sorveglianza che integri tre elementi. Il primo dei quali è la capacità di fare un numero sufficiente di tamponi, non a tappeto ma mirati, per bloccare la trasmissione e saturare lo spazio di interazione di ogni singolo individuo, cioè andando a testare tutte le persone con cui un positivo ha interagito negli ultimi giorni: parenti, familiari, colleghi».
Tamponi, app Immuni e logistica
Poi ha aggiunto: «Questo processo deve essere integrato con strumenti informatici che permettano di collegare l’App Immuni e allo stesso tempo di monitorare come i casi si distribuiscono regione per regione e integrarli con altri parametri demografici come la densità di popolazione, la mobilità delle persone, e così via, per prevedere quello che succede dopo. Perché il problema non è inseguire il virus, ma anticiparlo e l’unico modo che noi abbiamo per farlo è avere la possibilità di intercettarlo e avere informazioni».
Terzo elemento: «Questo sistema deve avere la logistica. Per rendere accessibili questi test là dove sono necessari». Poi Crisanti ha affondato il colpo: «In Italia ci sono delle differenze drammatiche in termini di accessibilità ai test, che vanno da regione a regione, all’interno delle stesse regioni, da città ad aree remote. Ma per combattere questo virus non dobbiamo lasciare indietro nessuno. Io penso che se l’ha fatto il Vietnam, una cosa del genere è tranquillamente alla portata dell’Italia».
Dal caso di Vo’ Euganeo alla Cina
«Al 2 marzo a Vo’ Euganeo, la prima area colpita da Covid-19 in Veneto, c’erano 88 persone positive al coronavirus Sars-CoV-2 e tutte le altre province avevano pochissimi casi. Al 30 maggio a Vo’ non avevamo più nessun caso, nonostante la trasmissione in Veneto sia stata abbastanza importante. Questo è avvenuto in parte perché a Vo’ la Regione ha impiegato risorse senza precedenti nel contact tracing, però il contact tracing da solo non è bastato. Se non si fossero testati tutti quanti e non si fossero isolati i positivi al 30 marzo avremmo avuto casi tali da arrivare all’80% della popolazione. Riteniamo che l’approccio usato a Vo’ sia scalabile».
«Abbiamo numerosi esempi a livello internazionale. La Cina ultimamente ha testato 8 milioni di persone con test molecolari per identificare e tracciare tutti i contatti che avevano generato circa 10 casi. Non c’è bisogno di arrivare a questi numeri, ma questo è un approccio particolarmente efficace quando dopo un lockdown i casi dovessero ridursi a qualche centinaio al giorno, come a giugno nel nostro Paese».
«Questa è anche la ragione che mi aveva indotto a proporre ad alcuni membri del Governo un piano che potesse dotare l’Italia di una struttura in grado di effettuare il cosiddetto “network testing”, questo approccio diverso dal contact tracing».