Cosa significa il non voto di ieri alla camera di Commercio. Perché Marcello Pigliacelli ha vinto comunque. Come andrà. La ricerca della condivisione come elemento indispensabile. Altrimenti la fusione sarà inutile
Ci sono partite che hai vinto per il solo fatto di essere sceso in campo. Perché non dovevi essere lì, dovevi stare da tutt’altra parte nel mondo, magari tra le sabbie della Tunisia a controllare che i camion della tua flotta stiano facendo il loro mestiere. Oppure sulle coste del Portogallo ad ammirare il tramonto come altri in famiglia hanno fatto prima di te. E invece no. Mentre stai giocando a fare il Cincinnato, ti arriva l’invito dell’associazione che hai guidato per anni e ti dice che devi tornare in campo, fregandotene degli sgambetti che ti hanno fatto, dei colpi sotto la cintura, delle trappole in cui hanno tentato di infilarti. Marcello Pigliacelli ha risposto si, è tornato per giocarsi la partita. E già solo per questo ha vinto.
Se poi vincerà anche la sfida per diventare presidente dell’ottava Camera di Commercio in Italia per peso economico allora sarà trionfo. Ma non sarà sconfitta.
Dietro alla votazione
Il fatto che la sua associazione Unindustria lo abbia chiamato per scendere in campo è un segnale importante. Del peso politico che Pigliacelli ha ancora oggi nel mondo delle associazioni, della sua abilità nelle relazioni, della sua capacità di visione del campo e di elaborare strategie comuni valide per tutti. Potevano rimpiazzarlo, stava già sulla sabbia, della Tunisia o della Costa del Sol poco importa. Invece in blocco più di un’organizzazione ha detto che è lui l’uomo di sintesi al di là delle sue periodiche stravaganze che non lo rendono classificabile negli schemi consueti.
Ieri alla seduta di insediamento avrebbe potuto contarsi, mostrare i muscoli, far vedere che una dozzina dei 19 voti presenti lui li ha. Saggiamente non lo ha fatto. Perché si vince a quota 22 e ieri i numeri non c’erano. Ci saranno alla prossima votazione quando di voti ne basteranno 17. Marcello Pigliacelli si è candidato perché era indispensabile farlo se si voleva procedere con la costituzione dell’Ente, altrimenti tutto sarebbe tornato in Regione nelle mani di Nicola Zingaretti. Si è votato scheda bianca per un profondo segno di rispetto verso gli assenti giustificati (4 soltanto hanno mandato una certificazione). Ma soprattutto per rispetto verso l’Ente: chiunque sarà il presidente dovrà essere l’uomo di tutti, della convergenza, dell’unità. Altrimenti non avrebbe senso avere fuso le due Camere.
Dietro la candidatura Pigliacelli
Tutto può succedere. Ma Il presidente uscente della Camera di Frosinone non è un seguace del barone De Cubertin, lui gioca per vincere. A modo suo ha già vinto. Perché a proporre la sua candidatura ieri è stata Unindustria (5 consiglieri) il che spazza il campo dalla falsa convinzione che Pigliacelli fosse in declino nella sua associazione, schiacciato da un anatema pronunciato dal potentissimo Maurizio Stirpe vice presidente nazionale di Confindustria. Che sarà anche ruvido ma non è sciocco, i rapporti personali hanno un perimetro ed una temperatura indipendenti da quelli industriali.
Ad appoggiare subito la proposta avanzata da Giovanni Turriziani è stato Giovanni Proia di CNA (4 consiglieri). È il segnale che la capacità di relazione esterna di Pigliacelli è immutata, il suo schema di relazioni è solido. Come conferma l’ulteriore appoggio arrivato da Luciano Cianfrocca di Federlazio (2 consiglieri). E poi anche da Antonio Morini degli Ambulanti.
Un’ipoteca? No
Non è un ipoteca. Non è quello che in questa fase interessasse a Pigliacelli. Se anche avesse avuto 33 presenti e 30 voti a favore sarebbe andato alla ricerca di quei tre che mancavano per l’unanimità. Perché Pigliacelli è l’uomo che ha creduto più di tutti nella creazione di Unindustria: va ricordato, è la fusione delle Confindustrie di Roma, Frosinone, Rieti, Viterbo mentre Latina aderì solo dopo. Fu lui a far capire che se da un lato si perdeva qualcosa, dall’altro però si otteneva un peso sul tavolo nazionale secondo solo a quello della potentissima Assolombarda.
Marcello Pigliacelli sa che la Camera di Commercio del Basso Lazio ha una potenzialità enorme. È per questo che non vuole una vittoria dimezzata, una prova di forza, un’ostentazione di abilità diplomatica e potenza. Vuole un risultato che tenga tutti uniti intorno ad un progetto.
La prima partita l’ha vinta solo scendendo in campo, la seconda è quella più complessa: la vittoria in nome della collegialità.