Il caffè del rientro. Ancora confuse e con le valige da disfare, i panni da infilare in lavatrice. Ma arriva la punizione divina: quelli che devono raccontarti la loro vacanza. Per farti soffrire ancora di più il rientro
È giunta l’ora del viaggio al contrario, le stesse strade da ripercorrere, ma in direzione inversa. Si torna a casa baby. Il mare è mosso e nero, si scatta l’ultima foto sul ponte, nella stessa posizione titanicheggiante dell’andata, ma anche le facce sono opposte rispetto a quelle di due settimane prima. Con i sorrisi tirati, come la pelle abbrustolita dal sole.
Il viaggio di ritorno ha il sapore di un Alka Seltzer. Digerire, metabolizzare e ricominciare a produrre con lo stesso ottimismo di una supposta appena scartata. Lo stress da rientro è esagerato.
Sulla barchetta si dava un’occhiata rapida alla posta. Si vedeva chi rompeva, ma senza rispondere. Se se ne leggeva una, al massimo poi la si segnava con la funzione “mail non letta” (mai staccare del tutto, fatturare is a state of mind).
Al rientro, il primo dramma. Si clicca la casella posta dal PC, ed ecco centinaia di mail arretrate da dover aprire, come se fossero mille mani che ti picchiettano sulla spalla per dirti “Zia, welcome back, è finita la pacchia”. E, no way, ci devi stare.
Peggio di un cazzotto in piena faccia, i meeting rimandati a dopo le vacanze. Quei “ci ribecchiamo quando torniamo” che tanto davano l’aria di libertà, ora ritornano alla carica e clienti, fornitori, amici poco amici inonderanno il tuo cellulare di messaggi, chiamate, audio e piccioni messaggeri. E l’abbigliamento non aiuta perchè, sul lavoro, il caftano in stile Santanché non è un’opzione decorosa.
Il rientro dalle vacanze però, colpisce anche e, forse in maniera più dura, chi ha scelto di passare le ferie sul divano.
La crisi non ferma i vacanzieri convinti che pur di sbeffeggiare i rimasti a casa durante la calda estate, venderebbero la nonna al mercatino vintage per pagarsi il volo per New York. Il dramma non è restare a casa, ma sopportare i racconti da rientro. Quelli degli avventurieri alla Marco Polo, che poi scopri essere stati a Terracina, o quelli della movida sfrenata alla Lapo Elkann, che poi sarebbero quelli che hanno passato la vacanza alla casa al mare della suocera da portare a passeggio la mattina all’alba.
In ogni racconto post vacanze due personaggi non mancano mai: il cugino acchiappone e l’amico imbecille.
Di solito i connazionali all’estero stanno immancabilmente sulle balle tranne nel momento del rimorchio perchè così la componente sforzo è minima. Con questa premessa, il vacanziere tornato, partirà col racconto delle innumerevoli figuracce del cugino acchiappone con i vari gruppetti di ragazze, ma non mancherà di sottolineare il fatto che, alla fine, il risultato se l’è comunque portato a casa.
Tu sei lì, già dai primi dieci minuti, stremata, sfiancata, torturata psicologicamente afflitta, distrutta, frastornata, con la lingua attorcigliata su se stessa per evitare di mandarlo, di nuovo, a quel paese.
“Noo!, E non ti ho ancora raccontato di Mauro!” E via di aneddoto da tre ore e mezza. Che si chiami Franco, Pino, Paolo, Vic, nei racconti del vacanziere c’è sempre un soggettone che ha combinato qualcosa che non doveva e che diventa il fiore all’occhiello del remake delle vacanze in modalità eterno repeat.
Ascolti, vaghi nel nulla, non ti fa ridere per niente. Assumi un’espressione da paresi e pensi che preferiresti essere rapita e torturata da Charles Manson.
Arriva il momento: “Dai guarda, ti faccio vedere le foto che ho fatto”. Che gioia. Non vedevi l’ora.
La punizione divina da scontare per essere stata lontana da colleghi e parenti è quella di sopportare cinque gallery da millecinquecento foto l’una. Una più idiota dell’altra, dove enormi faccioni con lingue da fuori, deturpano paesaggi bellissimi.
Anche questa però è passata. Sei felice perchè pensi che da adesso è tutta una discesa. Almeno fino alle prossime vacanze di Natale.