Fanno tutti così: la scusa per non cercare la purezza

La differenza fra quello che la coscienza ci suggerisce e quello che davvero facciamo puo' distruggerci. Perché solo vivere il bene lascerà il segno su chi ci incontra.

Pietro Alviti

Insegnante e Giornalista

Quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri.

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Sfido chiunque a non essere d’accordo: eppure molto spesso, oggetto dei nostri pensieri sono ben altri comportamenti e desideri. Come se il giusto, il puro, l’amabile fossero cose da rigettare. Come se noi non desiderassimo nel nostro intimo ciò che è virtuoso, ciò che merita lode. E’ impressionante la discrasia che c’è fra quello che la nostra coscienza ci dice di fare e quello che invece facciamo. Cedendo alle lusinghe di emozioni, passioni. E di obiettivi che sin da subito risultano essere il contrario della nobiltà, della giustizia, della purezza.

Un andazzo che non esiste

San Giovanni Paolo II

Spesso ci nascondiamo dietro la frase che ci sentiamo sempre ripetere: “Fanno tutti così. E così siamo disponibili a cedere ad un andazzo generale che invece non esiste.

Ci sono infatti tante persone che vivono secondo le parole che l’apostolo Paolo scrive ai cristiani di Filippi. Indicando loro una semplice regola di vita: guardate in alto, seguite i migliori. Non cadete nell’abisso del male da cui poi è difficile rialzarsi. Pensate alle cose belle dell’esistenza, non incancrenitevi nell’avidità, nella superbia. Non siate succubi dell’ira. Non fatevi cullare dall’accidia, appunto dal “tanto fanno tutti così”.

Luigi Beltrame e Maria Corsini

Luigi e Maria Beltrame, i coniugi che Giovanni Paolo II innalzò insieme alla gloria degli altari, dicevano una cosa ai figli. Che bisogna guardare la vita dai tetti in su, trascurando le tante miserie di cui la nostra esistenza è costellata. Bisogna cercare, al contrario, di raggiungere le vette più alte della qualità della vita. Che non è fatta di possesso di cose ma di qualità di rapporti, di onestà intellettuale, di chiarezza, di sincerità.

Altrimenti ci ritroveremo nella stessa condizione di quell’uomo che ottiene dal suo lavoro un raccolto così grande che non sa dove metterne i frutti. Allora si dà da fare per costruire un granaio più grande. E, una volta completata l’impresa, soddisfatto, dice: ora, finalmente, mi godrò la vita. E la notte morì.

Il commento di Gesù alla vicenda non è commiserante, anzi. Mette in evidenza la poca intelligenza di quel grande lavoratore che aveva dedicato la sua vita ad accumulare cose che non gli sarebbero servite.

Invece se saremo giusti, nobili, amabili, virtuosi la nostra vita lascerà un segno indelebile sulle persone che incontreremo. 

(Leggi qui tutte le meditazioni di Pietro Alviti)