Un bambino di 12 anni è ricoverato a Roma con il setto nasale fratturato, un dente rotto ed un trauma cranico, riportati a seguito delle percosse inferte da un ragazzo di 16 anni. Il fatto è avvenuto ad Anagni. Ed è il fallimento di due generazioni
In principio furono gli spari davanti alla porta d’ingresso di un bar. Chiuso, per fortuna. Si disse che si trattava di una “ragazzata”. Poi arrivarono i calci ad una capretta. Colpevole solo di essere lì, a subire le conseguenze di una festa di diciott’anni eccessiva nei modi e nei comportamenti. Forse già allora bisognava capire che, se non era stato già superato, il limite era pericolosamente vicino. E invece no.
Si è fatto come si fa sempre in Italia. Si è scelto di mettere la testa sotto la sabbia. L’idea che se una cosa non la vediamo è come se non esistesse. E invece esiste eccome. Esistono eccome le risse che ad Anagni periodicamente mettono in allarme le forze dell’ordine, costrette ad intervenire impiegando tempo che potrebbe essere riservato al controllo di un territorio già pesantemente segnato, e da tempo, dal fenomeno dei furti. Esistono gli sballi del fine settimana, con i ragazzi che vomitano nelle strade e nei vicoli. Così come esistono gli scontri che vedono bande fronteggiarsi nel fine settimana.
Il problema che non si vuole vedere
Esiste un problema di sicurezza ad Anagni? il caso di sabato scorso ci dice di sì. Perché non si può chiamare in un altro modo il fatto che, nell’ora in cui si prende l’aperitivo e ci si prepara a fare serata, cinque ragazzi mettono in mezzo un 12enne costretto ad andare all’ospedale con fratture multiple al naso, un dente rotto ed un sospetto trauma cranico.
Il sindaco Natalia dice, giustamente, che è solo per pura fortuna che non c’è stato un nuovo caso Willy. Il problema però è che non si può sempre contare sulla fortuna. Ci vogliono mezzi, ci vuole controllo, ci vuole prevenzione. Ci vuole un’attenzione costante.
All’epoca del caso della capretta tutti si stracciarono le vesti, parlando di emergenza e chiedendo a gran voce la creazione di una commissione ad hoc. Un paio di riunioni ci sono state. E poi? Cosa è successo? Nulla. Si è andati avanti aspettando il prossimo caso. Che adesso è arrivato.
Il fallimento di una città
Nel tripudio di parole che in queste ore stanno investendo la città, quella più dura, ma forse anche più giusta, l’ha usata Viviana Cacciatori. Che non è solo un esponente di Sinistra Italiana. Ma è anche, e soprattutto, un’educatrice. Che, a proposito di quanto è accaduto, ha parlato di “fallimento”. Ed è così. Inutile girarci intorno.
C’è, ad Anagni e non solo, una generazione allo sbando. Un vuoto figlio di tante cose; lo straniamento ereditato dagli anni della pandemia; l’allergia alle regole di chi vive senza punti di riferimento che diano limiti e modelli; l’illusione che la violenza fisica serva a regolare i rapporti di forza.
Ad essere precisi, a ben vedere le generazioni allo sbando sono due. Perché ha ragione il sindaco Daniele Natalia quando annuncia che lunedì denuncerà il caso in caserma e pretenderà l’intervento dei Servizi Sociali, “poiché ritengo che la colpa di atteggiamenti simili non sia da attribuire esclusivamente agli interessati: credo che le famiglie dovranno rispondere di quanto accaduto e assumersi le proprie responsabilità genitoriali, affinché non si verifichino mai più situazioni del genere“.
Come si combatte questo vuoto? Legalità, certo. Ma la repressione non può essere l’unica strada. Si deve percorrere la via della prevenzione. Dell’investimento su scuola, famiglia, cultura. E non attraverso misure spot; ma con una lunga, faticosa, costante azione sul territorio. Lavorare con lentezza, si sarebbe detto un tempo. Ed in profondità. Altrimenti continueremo a contare le risse. Sperando che non ci scappi il morto.
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